#CORTOCIRCUITI DI AUGUSTO BASSI
Mi sarebbe piaciuto scrivere di Will Smith e del suo ceffone a Chris Rock durante la notte degli Oscar, perché con quello scorno tra fratelli neri in diretta planetaria il politicamente corretto è andato in tale cortocircuito da surriscaldare anche il puritanesimo più tiepido, quello hollywoodiano. Malauguratamente, il recente Caffè di Massimo Gramellini pubblicato sul Corriere della Sera con il titolo “Gli indifferenti” non mi ha lasciato indifferente, rappresentando la summa teologica di quella degradazione professionale ed esistenziale che abbiamo affrontato con gli amici di Byoblu nei pezzi precedenti. In genere non ho l’autolesionistico piacere di svegliarmi con sferzate sermoneggianti, ma l’altra mattina, alle 10:30, quel pezzullo era già stato rilanciato cinque volte dai miei contatti social, il che fa capire molto sul magnetismo intellettuale di Gramellini e sulla qualità degli ecosistemi multimediali. Avevo già inserito il giornalista torinese fra i pretini laici dell’informazione e in questa occasione si è confermato tale, esibendosi in una lectio magistralis di consacrata ipocrisia.
Esaminiamola dunque con disincanto intergalattico, come fossimo dei reggicoda-checkers appena scesi dalla navicella spaziale di John Rawls, alla vana ricerca di forme di servilismo giornalistico intelligente. Costringervi a passare in rassegna tutto l’articolo sarebbe cybermolestia, per cui mi limiterò a scandagliare ouverture e conclusione, comunque sufficienti per un manifesto della più scalcagnata contraffazione, che meriterebbe di essere retribuita dai suoi mandanti con le banconote del Monopoly.«Parecchi di coloro che contestano gli aiuti all’Ucraina… ».
Chiedo scusa per la presta interruzione del poderoso attacco. Lungi da me ricorrere alle lusinghe dell’aposiopesi, ma qui ogni sintagma è un piccolo trattato di pragmatica cialtrona. Massimo salta l’incipit in quanto sa di avere nel proprio recinto interlocutori già ammaestrati, pronti a brucare l’erba dalle sue mani, e tosto decolla sulla prima delle cinque W della prammatica anglosassone: Who?
«Parecchi di coloro».
Un “Chi” ineffabile, interrazziale, gender fluid, che trasuda una vaghezza carezzevole e la voglia di lasciarsi alle spalle i rigori del giornalismo d’inchiesta per calzare le ciabatte della chiacchiera da sdraio e farsi spalmare di crema solare i bias più pelosi.
Ma questi «parecchi di coloro» che cosa contestano? «Gli aiuti all’Ucraina».
Quali aiuti, di preciso? Cibo, medicinali, consulenze diplomatiche, per esempio? Gramellini anche qui resta sul vago, sull’evanescente, per inzaccherare a piacimento il pozzo, lasciando intendere al lettore più innocente che chi contesta l’invio di armi ai battaglioni ucraini sia contro ogni aiuto alla popolazione civile. Ma procediamo.
«Parecchi di coloro che contestano gli aiuti all’Ucraina ritengono irrilevante che in Russia ci sia un regime non democratico».
Boom! L’autore sgancia immantinente l’uranio impoverito della superstizione ideologica per radere al suolo ogni replica possibile. Retoricamente si delinea come una fallacia di presupposizione, di fatto è la fregnaccia regina chiamata a far deflagrare tutte le fregnacce a catena. Il giornalista, scrittore, conduttore televisivo presuppone infatti che in Russia non vi sia traccia di volontà popolare e al contempo sottintende che la democrazia splenda invece da noi come in Ucraina. In realtà la Federazione Russa è una democrazia rappresentativa, dove il leader di governo attualmente in carica si è presentato alle elezioni – a differenza del primo ministro della Repubblica italiana – e a capo del partito Russia Unita nel 2018 ha meritato 56.430.712 voti – circa il numero di sberle morali prese da Mario Draghi martedì a Torino – ovvero il 76.69% dei consensi, che oggi i sondaggi danno addirittura all’83%; eppure tutto ciò è ritenuto irrilevante dall’autore, che liquida la Russia come «un regime non democratico». Certo molti complottisti russofobi parlano di manipolazioni elettorali, di forzature, di brogli, ma preferiamo affidarci a dati verificabili e non dare spazio a certe dicerie terrapiattiste, a deliri di gente laureata all’università della vita, tipo Gramellini, che non ci risulta essere laureato altrove. Quanto alla democrazia ucraina, costruita sulle macerie di un colpo di Stato eterodiretto e con la benedizione dei cecchini polacchi, preferirei soprassedere in ossequio alla decenza. Ma che cosa indichino di preciso per l’autore “democrazia”, “democratico”, “non democratico” – voci che i corsivisti dell’Internazionale Progressista amano sbrodolare dappertutto – non è dato sapere.
Ci dica, Gramellini, esercita maggiore sovranità un popolo che in larga maggioranza si identifica con il proprio leader e ne approva l’operato, o un popolo che in larga maggioranza manda al diavolo il proprio leader da ogni piazza della nazione, ricevendo in cambio una sorda indifferenza? Ha più potere un popolo governato da uomini che ne difendono gli interessi, o un popolo governato da uomini che difendono interessi foresti?
Non sia indifferente a questi interrogativi, Gramellini, e cortesemente risponda nei suoi prossimi interventi.
Proseguendo la lettura del pregno elzeviro si passa poi attraverso uno sfoggio di proiezioni e negazioni da far quasi tenerezza e che vi risparmio nel dettaglio. Basti sapere che il pastore massimo dei qualunquisti, Gramellini, prima accusa gli altri di qualunquismo, e quindi, nel goffo tentativo di ridicolizzarne il sospetto, certifica che le nostre democrazie sono appunto dittature mascherate, dove la libertà è soltanto una finzione. Ma veniamo all’implacabile conclusione, che si abbottona al preludio con accuratezza sartoriale.
«Chissà se queste persone nel 1939 avrebbero saputo distinguere tra Hitler e Churchill, tra Hitler e Roosevelt, o se avrebbero ridotto la questione a un derby fra imperialismi, magari trovando più utile scendere a patti con quello nazista».
Qui la proiezione negativa raggiunge gli imbarazzi di Gianni Ciardo di fronte ad Alvaro Vitali vestito da lupetto di mare come lui in “La dottoressa preferisce i marinai”, film di inebriante attualità anche sotto angolazioni controspionistiche. Gramellini sta fedelmente descrivendo sé medesimo e quelli come lui, ma per colmare la propria carenza interiore, per placare quella dissonanza che lo fa sentire un pusillo, attribuisce il proprio collaborazionismo ad altri, a “queste persone”, a “parecchi di coloro”.
Chissà se Gramellini e parecchi di coloro che ne rilanciano i pezzulli sapranno distinguere tra Putin e Zelensky, o se si accorgeranno mai che i nazisti del 2022 sono quelli che abbiamo armato…
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