Riceviamo e con grande piacere pubblichiamo in anteprima il prossimo editoriale di "Cumpanis"
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La crisi ucraina: il colpo di Putin
di Fulvio Bellini, editorialista di "Cumpanis"
Premessa: mai vista una propaganda così
È passato poco più di un mese dall’inizio dell’operazione militare speciale condotta dall’esercito russo in Ucraina, ed è opportuno fare un primo bilancio di quanto accaduto sotto molteplici aspetti.
Questo conflitto, come tutti quelli dove sono coinvolte le grandi potenze, è un formidabile “acceleratore politico” che sta mettendo a dura prova gli equilibri tra gli Stati, e i rapporti sociali all’interno dei singoli paesi. Faremo quindi una valutazione di questo primo mese sotto diversi punti di osservazione: quello militare, quello diplomatico, quello economico, quello finanziario, quello monetario nella cornice della geopolitica. Effettuare questo tipo di valutazioni non è affatto banale per un osservatore che scrive in Occidente, in quanto non si può omettere di denunciare il clima di forsennata propaganda che si è impadronita del racconto della guerra in Ucraina da parte dei mass media occidentali, che accusano l’informazione russa di fare quello che loro stessi compiono quotidianamente: pura propaganda appunto.
Non si tratta più di dare notizia delle vicende belliche, prendendo anche le parti del paese “aggredito”, ma cercando anche di trasmettere a lettori e telespettatori una visione più complessiva della crisi, riportando le posizioni russe anche in modo ridotto e semplificato e chiosando criticandole. È tale il disprezzo che i mass media occidentali hanno dei propri “clienti”, che si è degenerati alla pura parodia: il folle dittatore Putin, tiranno odiato in patria e ovunque nel mondo, ha aggredito senza nessuna ragione l’Ucraina. Il novello Hitler russo ha sfidato l’eroico presidente ucraino Zelensky elevato al ruolo di santo. Giornali e televisioni, non sapendo più cosa raccontare per descrivere il mostro moscovita, hanno pensato bene di affidarsi direttamente all’ispiratore delle veline che ricevono quotidianamente. La Repubblica del 25 marzo: “Ucraina, l’avvertimento di Biden a Putin, «Reagiremo se usa armi chimiche»” (ma siamo ancora alla favola delle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein); oppure l’Ansa del 27 marzo: “Biden incontra i profughi ucraini, «Putin è un macellaio»”. È chiaro, quindi, che non abbiamo a disposizione delle notizie da vagliare e analizzare, siamo di fronte ad una selva di mistificazioni di basso livello, che hanno però la forza di essere trasmesse “a reti unificate”, tutti i giorni, da tutti i giornalisti e opinionisti di regime, presi in un sabba di disonestà intellettuale, che si danno spallate a chi “la spara più grossa”, un terreno dove l’informazione italiana tradizionalmente primeggia. Come trovare la via per arrivare ad una visione la più corretta possibile di quanto sta accadendo? Proviamoci.
Il Bilancio militare
Cerchiamo quindi di mettere dei punti fermi nella nostra analisi. L’operazione militare speciale russa in Ucraina ha delle precise ed elementari ragioni di sicurezza nazionale, riguarda l’integrità politica e territoriale non di un paese qualsiasi, ma di una super potenza nucleare, vera vincitrice della seconda guerra mondiale in Europa, e membro permanente del Consiglio di sicurezza dell’ONU, unica istituzione che veramente conta tra tutte quelle che stanno al Palazzo di vetro.
Quali sono state le minacce che sono giunte ad un livello tale da costringere il Cremlino a tirare una riga rossa invalicabile?
Sostanzialmente l’espansione ad est della NATO successiva al crollo del muro di Berlino. A Mosca non erano così ingenui da credere che gli americani non si sarebbero approfittati del ritiro unilaterale dall’Europa per spingersi ad est, è possibile però che gli attori europei avessero sottovalutato la strategia con la quale la NATO avrebbe attuato tale espansione. Occorre infatti notare che la trasformazione dell’alleanza atlantica ha sempre preceduto di qualche anno, oppure coinciso, con l’ingresso dello stesso candidato nella Comunità europea, il cui progetto originario è stato totalmente stravolto trasformandosi in Unione Europea.
Nel 1973 i paesi europei facenti parte della NATO erano Islanda, Norvegia, Regno Unito, Danimarca, Germania Ovest, Portogallo, Italia e Grecia. Sempre nello stesso anno, i membri della CEE erano Belgio, Francia, Germania Ovest, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi, Regno Unito, Danimarca e Irlanda. Non vi era una precisa sovrapposizione tra le due organizzazioni, ad esempio un paese importante come la Francia non faceva parte dell’alleanza atlantica, e neppure l’Irlanda. L’espansione della NATO verso est ha invece sempre coinciso con l’ingresso dei paesi orientali nell’unione europea. Elenchiamo di seguito le date d’ingresso nell’alleanza militare dei paesi ex “oltre cortina” riportando tra parentesi l’anno d’ingresso nell’Unione Europa: nel 1999 Polonia (2004), Repubblica ceca (2004) e Ungheria (2004); nel 2004 Bulgaria (2007), Repubbliche baltiche (2004), Romania (2007), Slovacchia (2004) e Slovenia (2004); nel 2009 Albania e Croazia (2013).
Risulta evidente che tale simmetria rispondeva ad una precisa strategia: a fronte dell’abbraccio dei paesi ex Patto di Varsavia nei confronti degli americani e alleati, la Casa Bianca “affidava” il mantenimento delle nuove “provincie imperiali” a quelle vecchie. Nel crogiolo perverso di appartenenza all’alleanza militare atlantica e di sussidi da parte dei paesi ex CEE, nelle capitali orientali si sono affermati dei regimi formalmente democratici, più o meno corrotti, più o meno fascistoidi, tutti accomunati da una forte russofobia e da uno sfrenato filo atlantismo.
Gli Stati Uniti possono quindi contare su governi facilmente influenzabili, pronti a provocare Mosca alla bisogna della Casa Bianca. Ai regimi orientali dotati dei due cappelli NATO e UE si voleva aggiungere il presidente ucraino Zelensky, e da bravo ex attore ed ex comico, ha offerto il suo paese quale palco della crisi, e lui stesso come burattino mosso e vocalizzato direttamente dalla famiglia Biden, come ci raccontano le vicende personali di Hunter Biden, figlio di Joe e membro del consiglio di amministrazione della società energetica tra le principali in Ucraina, Burisma Holdings, tra il 2014 e 2019.
Oggi l’ex tossico dipendente Hunter si dedica alla produzione di armi chimiche come ci informa Il Messaggero del 25 marzo: “Hunter Biden, Russia accusa figlio del presidente Usa: «Coinvolto in gestione laboratori per sviluppo armi chimiche … Mosca alza il tiro della sua offensiva mediatica contro gli Usa accusando il figlio del presidente Joe Biden, Hunter, di finanziare laboratori del Pentagono per lo sviluppo di armi biologiche in Ucraina (in particolare antrace), insieme al miliardario dem George Soros»”. Entrando nel tema militare, cosa ci insegna l’azione russa sul campo. Ad esempio, balza agli occhi di coloro che non sono bendati dalla propaganda, uno stile di conduzione della campagna diverso rispetto a quello classico degli Stati Uniti.
Quando l’esercito americano attaccò l’Iraq, entrambe le volte, la strategia fu quella dello “strike”: colpire pesantemente con bombardamenti aerei e missilistici prima di avanzare. La strategia americana non fa distinzione tra obiettivi civili e militari, in quanto si parte dal presupposto che ogni casa, ogni strada può essere un nascondiglio per il nemico. E siccome la fanteria americana è di pessima qualità morale e professionale occorre un “lavoro preparatorio” terribile da parte di marina e aviazione prima che le truppe decidano di mettere gli stivali sul terreno. Il risultato di questa strategia, ad esempio, è contenuto nel rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità pubblicato sul New England Journal of Medicine nell’articolo del 31 gennaio 2008 “Violence-Related Mortality in Iraq from 2002 to 2006” dove si afferma che 151 mila iracheni sono deceduti di morte violenta tra marzo 2003 e giugno 2006. Lo studio ha rilevato che, a partire da marzo 2003, la violenza è la causa preminente di morte per gli adulti iracheni, la principale per gli uomini tra i 15 e i 59 anni.
La media giornaliera di morti violente è di 128 iracheni al giorno nel primo anno successivo all’invasione, di 115 nel secondo anno e di 126 nel terzo. Più di metà delle morti in questione sono avvenute a Bagdad. Alla faccia dei corridoi umanitari. Vediamo ora i dati forniti dalla propaganda occidentale sui decessi nel primo mese di operazione speciale russa, accettando dunque dati che possono benissimo essere manipolati in eccesso, lasciamo stare quindi la stampa italiana la quale, lo abbiamo già detto, gareggia a chi la dice più grossa. Secondo il sito Statista nella pagina “Number of civilian casualties in Ukraine during Russia's invasion verified by OHCHR as of March 27, 2022”, pertanto in un mese di guerra, il numero delle vittime civili verificate dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani è di 1.151 morti, cioè 37,12 vittime al giorno, essendo l’invasione iniziata il 24 febbraio. Quindi il concetto di operazione militare speciale andrebbe approfondito, come il funzionamento delle numerose tregue umanitarie offerte dall’esercito russo, il quale, sempre secondo la nostra informazione, sta invece avendo perdite ingenti: Adnkronos del 29 marzo: “Guerra Ucraina, Kiev: «Morti 17.200 soldati Russi»”. Il totale dei morti americani nella seconda guerra in Iraq nei 9 anni di conflitto (2003-2011) fu di 4.396, per cui, dal punto di vista della strategia americana dello “strike”, uccidere 151 mila civili ha una sua bieca utilità.
Il Bilancio diplomatico
Sotto questo capitolo possiamo annoverare quei paesi che hanno assunto un ruolo di rilievo nell’opera di mediazione tra le parti in conflitto, e che grazie a questo ruolo tentano di fare un ulteriore salto di qualità nello status di potenze globali (Cina) oppure regionali (Francia e Turchia). Al contrario, l’atteggiamento supino rispetto ai diktat americani ha privato altri paesi d’importanza sulla scena internazionale, ridotti a semplici esecutori di altre volontà, anche se palesemente contrari agli interessi nazionali (Italia e Germania). Altri ancora hanno tentato di giocare un ruolo, ma essendo palesemente compromessi con gli Stati Uniti sono stati giudicati inidonei alla mediazione (Israele). Daremo, quindi, uno sguardo a questi paesi fino alla svolta decisiva fatta da Putin e che molto probabilmente sarà decisiva per le sorti del conflitto e che vedremo a tempo debito. La Cina indubbiamente ha ricoperto la parte più importante in queste settimane. Occorre ricordare da dove prende le mosse la crisi ucraina, come scritto nell’articolo pubblicato il 10 luglio 2021 su Cumpanis “Cosa si sono detti Biden e Putin a Ginevra?” nel quale si ipotizzava di cosa avessero discusso i due leader il 16 giugno 2021, durante il loro incontro a Ginevra, ragionando sui loro principali interessi del tutto conciliabili, quello americano di avere “mano libera” nel Pacifico e quello russo di ricacciare la NATO nei suoi confini precedenti il 1990: “Alla fine del mese (giugno 2021 N.d.R.) il Presidente della Russia ha messo il suo paese al centro di tutte le strategie internazionali; come se nelle sue notti di riposo, fosse apparso in sogno a Putin niente meno che Giulio Andreotti suggerendogli la sua storica e celebre politica dei due forni. L’alta politica è fatta di valutazioni, calcolo e strategie, quindi non deve assolutamente sorprendere se la Russia adotterà proprio la politica dei due forni, Washington da un lato e Pechino dall’altro”.
E in effetti il Cremlino poteva trarre il massimo vantaggio dalla posizione di mediazione tra i due contendenti, salvo aver sottovalutato che ad entrambi i contendenti era la posizione della Russia che non andava bene. Per la Cina, infatti, è fondamentale che la Russia mantenga un atteggiamento di sostanziale appoggio sia per quanto riguarda il Pacifico, sia per quanto riguarda le “retrovie” nel continente asiatico. La ricerca dell’appoggio, però, non può scadere in quella sorta di subalternità di fatto che, al contrario, avrebbe potuto spingere Putin ad accettare le lusinghe di Biden: la neutralità europea in cambio della neutralità russa nei confronti di un’aggressione USA ai danni della Cina, proposta moralmente indecente ma terribilmente vantaggiosa.
L’attendismo cinese ha pagato, gli americani hanno deciso di “stanare” Putin attivando il loro uomo a Kiev, Zelensky, e lo scenario diplomatico è cambiato. Pechino si è mostrata come la potenza capace di sorreggere la Russia nel suo scontro con tutto il mondo occidentale sotto ogni profilo: politico, economico e finanziario, costituendosi come solvente mercato di sbocco per il gas russo, offrendosi come esportatore di quei beni che l’embargo europeo ha reso indisponibili.
L’Unione Europea, gigante economico e nano politico, ha cominciato a sudare freddo, comprendendo chi avrebbe veramente pagato le sanzioni a Mosca: il Tempo del 23 marzo 2022, “Guerra Ucraina, l'appello di Draghi alla Cina: «Non aiuti la Russia»”. Ma a Pechino le opinioni del Proconsole degli Stati Uniti in Italia non hanno un grande ascolto, Pechino ha colto l’occasione per rafforzare i suoi rapporti con Mosca e creare i presupposti per la svolta data da Putin al conflitto. Francia e Turchia si stanno ritagliando la parte di potenze regionali europee capaci di una propria politica anche se entrambe sottoposte al tallone americano della NATO. Fin dall’inizio il presidente francese è uscito fuori dal coro dei vari Johnson, Draghi, Scholz e leader dell’Europa orientale, cercando un dialogo col “malvagio” Putin.
Quando poi, l’astuto Joe Biden ha voluto misurare quanto Macron fosse “non allineato” con gli altri Gauleiter europei, il presidente francese ha risposto a tono: titola il Fatto Quotidiano del 27 marzo, “Macron prende le distanze da Biden: «Putin macellaio? Non lo chiamerei così»”. Un altro paese che sta marcando una certa indipendenza da Washington è la Turchia, e non è un mutamento di linea banale in quanto da sempre paese NATO di primissima linea nei confronti dell’orso russo. Erdogan, però, ha potuto assaggiare lo scudiscio del padrone americano nei giorni del luglio 2016, quando anche ad Ankara si stava profilando una “rivoluzione colorata” simile a quella ucraina, come sempre griffata “Central Intelligence Agency”. Il Fatto Quotidiano del 29 marzo: “Guerra Russia-Ucraina, Erdogan ai negoziatori: «Possibile trovare una soluzione accettata dalla comunità internazionale»”.
Occorre infine citare coloro che, per la propria posizione anti russa addirittura più oltranzista di quella americana, non contano nulla in questo delicato momento. Citeremo velocemente l’Italia, unicamente perché ci viviamo, e per notare con stupore e dispiacere che l’abisso morale e intellettuale nel quale è caduta la sua classe politica non sembra trovare mai un fondo. Sono due gli elementi da segnalare sulla diplomazia del Bel Paese: aver creato un modello di capo di governo che si sta replicando, quello del Proconsole americano nella persona di Mario Draghi, incredibile personaggio, di gran lunga il peggiore capo di governo della storia repubblicana, capace di farci rimpiangere un Silvio Berlusconi. Draghi è l’esatto contrario di come dovrebbe essere un responsabile di governo che ha cura degli interessi del proprio paese. Molto più grave, invece, è l’avvento alla cancelleria tedesca di un altro “Mario Draghi”, Olaf Scholz, e del partito social democratico tedesco da sempre particolarmente attento ai desideri USA. Come Draghi, anche Scholz non si esime dall’adottare politiche evidentemente contrarie agli interessi tedeschi: Linkiesta del 23 febbraio «Con lo stop al Nord Stream 2 Scholz ha messo fine alla politica estera merkeliana». In ogni caso la speculazione internazionale, nel mese di marzo, ha ringraziato questi due capi di governo.
Il Bilancio economico
In questo mese di guerra abbiamo potuto assistere plasticamente il dispiegarsi di un sistema che ha avuto due anni di rodaggio tra il 2020 ed il 2021 nella vicenda del Covid-19. A base del sistema vi è un’informazione che ha abbandonato ogni elementare principio di correttezza, onestà intellettuale, per approdare alla mistificazione della realtà e all’imbonimento del pubblico televisivo e dei lettori; non si può che essere d’accordo con Giulietto Chiesa: «Noi viviamo in un mondo in cui sessanta milioni d’italiani sono totalmente ingannati tutti i giorni da tutti i canali televisivi (le mistificazioni N.d.R.). Se come accade uscite di qui e parlate con le prime dieci persone che incontrate per strada scoprirete che quasi tutti, se non tutti, risponderanno che Putin è un aggressore, che la Russia ha invaso l’Ucraina, tutti lo pensano; e perché lo pensano? Perché tutti questi giornali, tutte queste televisioni non hanno fatto che ripetere per un anno intero questa falsificazione (l’imbonimento N.d.R.)». Una definizione che sembra scritta ieri mattina, ed invece è stata enunciata da Chiesa nel 2015. Su questa propaganda incessante e forsennata si inserisce la politica dell’era dell’assenza di opposizione, quindi libera di piegarsi ai poteri particolari a discapito di quelli generali. Questa politica stila elenchi di buoni e cattivi senza evidenze oggettive, in regime di totale autoreferenzialità. Sul combinato disposto di propaganda e politica contraria agli interessi nazionali, si poggia la grande speculazione internazionale, nelle diverse forme che assume a seconda delle crisi.
Nel caso della Pandemia, a fronte di una innegabile realtà fatta di contagi, la propaganda ha convinto la pubblica opinione che solo i vaccini di alcune Big Pharma anglo-americani fossero validi (Moderna, AstraZeneca e soprattutto Pfizer), mentre altri vaccini prodotti in Russia, in Cina e a Cuba non lo fossero; che i brevetti dei vaccini di queste Big Pharma, realizzati con fondi pubblici, non potessero essere divulgati; che la durata di questi vaccini mutasse alla bisogna, 12 mesi nel Settembre 2021 in occasione della campagna per la seconda dose e 5 mesi nel gennaio 2022 in occasione della campagna per la terza.
Nel caso della crisi ucraina, la propaganda ancor più scatenata ci racconta quotidianamente dell’invasione della pacifica Ucraina voluta dal folle dittatore moscovita, inesistenti quindi 8 anni di guerra e crimini degli ucraini nel Donbass, inesistenti anche le truppe NATO dislocate lungo i confini russi e bielorussi. La politica ha quindi deciso di adottare forti sanzioni economiche e finanziarie con l’obiettivo sbandierato di far crollare il regime putiniano sotto il peso della crisi interna. Quali sono stati i risultati? Vediamoli in rapida successione. Se l’obiettivo doveva essere il crollo del “regime” di Putin, il giornalista Rampini, tutt’altro che un amico di Russia e Cina, ci informa che «Se la Russia può permettersi di avere un atteggiamento intransigente al tavolo delle trattative è perché questa Russia, contrariamente a certe descrizioni un po’ troppo ottimistiche che facciamo in Occidente, non è così isolata come crediamo noi. C'è tutta una parte del mondo che ha un atteggiamento di neutralità o di ambivalenza in questo conflitto, una parte vasta che abbraccia il mondo arabo e l’India, poi c'è una Cina che sta con la Russia, c'è un asse strategico tra Mosca e Pechino, non sono né ambivalenti e né neutrali, hanno usato parole pesantissime. C’è un sostegno economico da parte della Cina. Può darsi che la Cina stia sbagliando i suoi calcoli, non faccio un’esaltazione, ma questa Russia – sottolinea il giornalista – non si sente così isolata perché ha alle spalle un gigante economico come la Cina» (L’Aria che Tira, talk show mattutino de La7 del 30 marzo).
Se l’obiettivo era di “rapire” i fondi esteri della Banca Centrale russa, come ci informa la Repubblica del 28 febbraio “Le sanzioni occidentali fanno male a Mosca. Il salto di qualità con il congelamento delle riserve estere. Crolla il rublo, la Banca centrale corre ai ripari”, per causare un “default” del debito pubblico di un paese che sostanzialmente non ne ha (Il rapporto debito/PIL della Russia, secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale, era al 19,3 per cento nel 2020 ed è sceso al 17,9 nel 2021), anche questa mossa è andata a vuoto: “La Russia ha rimborsato le cedole da 117 milioni di dollari sui bond. Default scongiurato” Il Sole 24 Ore del 17 marzo. Se l’obiettivo invece era di rapinare gli antichi ladri dell’immenso patrimonio sovietico e i loro eredi, i cosiddetti oligarchi, al di là delle veridicità di tali azioni (“I sequestri dei beni degli oligarchi potrebbero essere revocati”, Panorama del 18 marzo) ci dovremmo porre la domanda perché in Russia pagano i potenti mentre in Italia pagano le classi meno abbienti? Se, infine, il vero obiettivo delle sanzioni alla Russia era il solito, cioè scatenare la grande speculazione internazionale su nuovi mercati e bastonare l’economia dell’Europa, allora questi risultati sono stati tutti raggiunti.
Raggiunto l’obiettivo, ad esempio, di far pagare ai cittadini italiani la speculazione sul prezzo del gas liquido americano e quello naturale algerino, speculazione certificata dallo stesso ministro della Transizione ecologica, “Rincari dell’energia, Cingolani: «Colpa della speculazione sul mercato europeo». Ma non parla degli extra-profitti degli importatori”, Il Fatto Quotidiano del 16 marzo. Questa affermazione di Cingolani è assai curiosa, il ministro fa un’affermazione da bancone del bar mentre sorseggia un caffè, perché in qualsiasi altro paese dotato di un minimo di serietà governativa, ci si sarebbe attesi tutt’altra affermazione, ad esempio: “Bloccata la speculazione sul prezzo del gas grazie ad apposito decreto legge”. Se l’obiettivo era quello di far pagare ad automobilisti e trasportatori la speculazione sugli idrocarburi, anche questo obiettivo è stato largamente raggiunto: “La procura di Roma indaga sui carburanti, speculazione e stoccaggi nel mirino”, La Repubblica del 14 marzo. Centrato anche il target di scatenare la speculazione sulle materie prime comprese quelle alimentari “Mercati: la guerra infiamma i prezzi delle materie prime. Prezzi delle materie prime alle stelle, soprattutto quelle energy, in accelerazione dall’inizio del conflitto: petrolio e gas sono rincarati di oltre il 30 per cento. Sugli scudi anche oro, grano e acciaio”, FondiOnLIne.it del 7 marzo.
Insomma, come da tradizione, quando gli Stati Uniti ordinano alle province imperiali, pardon all’Unione Europea, di applicare sanzioni contro Russia e/o Cina il risultato è sempre lo stesso: “Ucraina, Russia e Unione europea: chi paga il prezzo delle sanzioni? Tra commercio, energia e caro-bollette, le misure contro il Cremlino peseranno più sull’Europa e sull’Italia che sugli Stati Uniti”, Il Giorno del 23 febbraio. Tralasciando il danno dal punto di vista energetico, lo abbiamo già visto, soffermiamoci su quello commerciale contenuto nell’articolo: “Quando la Russia invase e annetté la Crimea nel 2014, l’Occidente mise in atto estese sanzioni commerciali. Nei tre anni successivi, queste misure ebbero effetti molto diversi tra i Paesi occidentali, colpendo soprattutto Ungheria, Polonia, Germania e Paesi Bassi, per nulla gli Stati Uniti. All’epoca, l’Italia perse parecchio. L’ambasciatore italiano a Mosca, Pasquale Terracciano, ha ricordato che nel 2013, prima delle sanzioni, «le nostre esportazioni in Russia sfioravano i 15 miliardi di dollari ma, subito dopo l’adozione delle sanzioni siamo scesi a 7 miliardi, ora risaliti a 11 miliardi». Oggi, in termini commerciali, l’Unione europea rischia di subire un danno maggiore rispetto agli Stati Uniti a causa delle sanzioni economiche. La Russia è il quinto partner commerciale dell’Unione europea, il terzo dell’Italia.
Al contrario, gli Stati Uniti hanno traffici molto più limitati… Il problema, poi, «è che in ogni caso le sanzioni potrebbero non essere efficaci», spiega Carlo Jean, ex generale di corpo d’armata ed esperto di strategia militare e geopolitica, nonché docente di Studi strategici. «La situazione è diversa rispetto al 2014 perché la Russia è meglio preparata dal punto di vista finanziario. In questi anni, approfittando dell’aumento delle materie prime, ha aumentato le sue riserve di dollari ad oltre 600 miliardi, mentre il suo fondo sovrano è salito da 80 a 200 miliardi di dollari». Insomma, potrebbe resistere a lungo a un “assedio economico”. Se poi la Cina sostiene la Russia come sta facendo, le sanzioni dell’Unione Europea sono principalmente contro l’Unione Europea: non si subisce l’occupazione degli Stati Uniti per settantasette anni “gratuitamente”.
Il Bilancio finanziario
Se il Bilancio economico per i paesi occidentali non è positivo, quello finanziario è peggiore.
Ancora una volta l’azione combinata di propaganda e politica favorevole alle speculazioni internazionali sta creando un danno che difficilmente verrà riparato. Ci occuperemo del bilancio finanziario sotto due profili tra loro strettamente collegati: inflazione e crescente debito pubblico. Si potrebbe paragonare il livello inflattivo alla temperatura corporea di un paziente: se la temperatura sale significa che il corpo è vittima di una febbre che a sua volta denuncia una malattia da diagnosticare e curare. Il livello inflattivo delle principali economie occidentali dimostrano che le loro economie sono malate e che questa malattia si chiama debito, sia esso pubblico che privato. Soffermiamoci sul dato inflattivo più importante al mondo, quello degli Stati Uniti. Il sito governativo U.S. Bureau of Labour Statistics (una specie di ISTAT americana) ci informa che: “Il tasso di inflazione annuo negli Stati Uniti è accelerato al 7,9% nel febbraio 2022, il più alto da gennaio 1982, in linea con le aspettative del mercato. L'energia è rimasta il maggior contributore (25,6% contro 27% a gennaio), con i prezzi della benzina in aumento del 38% (40% a gennaio).
Inflazione accelerata per i rifugi (4,7% vs 4,4%); il cibo (7,9% vs 7%, il più alto dal luglio 1981), ovvero il cibo domestico (8,6% vs 7,4%); veicoli nuovi (12,4% vs 12,2%); e auto e camion usati (41,2% vs 40,5%). Tuttavia, l'aumento dei costi energetici dovuto alla guerra in Ucraina deve ancora arrivare”. Qual è allora il tasso inflazionistico statunitense relativo al primo mese di guerra? Secondo il sito Trading Economics si è attestato tra l’8,2 e l’8,3%, è quindi tendenziosa l’idea che gli USA sono sostanzialmente indifferenti, da un punto di vista finanziario, alla crisi ucraina. In passati articoli ci siamo spesso soffermati sullo spaventoso livello del debito federale (ad oggi è 30.364 miliardi di dollari circa), questa volta invece ci soffermeremo sulla recente serie dei deficit annuali: nel 2019 è stato di 984 miliardi di dollari, nel 2020 di 3.132 miliardi e nel 2021 di 2.772 miliardi, a dimostrazione che la volontà politica, con la scusa delle crisi pandemica prima e militare ora, è sempre quella di spendere molto di più di quanto si incassa. Questa maggiore spesa alimenta la madre di tutte le bolle speculative, il dollaro appunto, che non trovando adeguati mercati da aggredire in giro per il mondo, si sta pericolosamente “interessando” alla madre patria; il risultato è l’aumento preoccupante dell’inflazione. Diamo ora un’occhiata all’inflazione del mese di marzo 2022 dell’area euro: il Sole 24 Ore del 3 aprile ci informa che: “Eurozona, il caro energia spinge l’inflazione al 7,5% … Il forte incremento è quasi tutto legato all’energia, che ha registrato un rincaro del 44,7%, dal 32% di febbraio. L’aumento mensile è stato del 12,5%. Tutte le componenti hanno registrato però accelerazioni dei prezzi e i tassi di crescita sono tutti al di sopra dell’obiettivo Bce. I prezzi dei beni industriali (energia esclusa) sono aumentati del 3,4%, dal 3,1% di febbraio (+2,5% su base mensile); quelli dei servizi sono saliti del 2,7% dal 2,5% di febbraio (+0,4% su base mensile)”.
Cosa non ci dice l’articolo del Sole 24 Ore? A differenza dell’inflazione dell’area dollaro, generata dal dollaro stesso, l’inflazione dell’area Euro è dovuta a precise decisioni politiche prese dall’Unione e dai governi nazionali: applicare sanzioni alla Russia per poter acquistare gas e petrolio in dollari da Stati Uniti e alleati produttori a prezzi decisamente superiori in quanto sottoposti a fortissime tensioni speculative. In altre parole, il prezzo del gas russo fungeva anche da calmieratore delle tensioni inflattive importate dagli Stati Uniti. Questa scelta “suicida” avrà avuto almeno il risultato di causare ripercussioni sulla capacità di esportazione di gas da parte della Russia, perché questo era l’obiettivo sbandierato dai vari Draghi, Letta, Von der Leyen, Scholz eccetera.
Sembra proprio di no, come ci racconta il Fatto Quotidiano del 28 marzo: “Gas, petrolio e carbone russi mettono d’accordo Cina, India e Pakistan: corsa all’acquisto a prezzi da saldo”. Infine diamo un’occhiata a come viene gestito finanziariamente, da parte di un paese “ottimamente” amministrato come l’Italia, il complesso capitolo degli aiuti a famiglie e imprese per quanto riguarda, ad esempio, il caro energia e carburanti, che abbiamo visto sono una conseguenza delle scelte del governo stesso.
Il Corriere della Sera del 17 marzo “Il governo taglia di 15 centesimi le accise su benzina e diesel. Le misure nel nuovo decreto”; l’esecutivo diminuisce un importante gettito fiscale (anche gli innumerevoli evasori fiscali fanno benzina) aumentando così il deficit di bilancio. Stesso discorso sul fronte del gas: Bollette, Draghi: “6 miliardi per aiutare famiglie. Interventi per produrre gas italiano”, Sky Tg24 del 18 febbraio, addirittura prima dello scoppio della crisi ucraina. Anche in questo caso è utile osservare l’andamento della finanza pubblica negli ultimi due anni: al 31 dicembre 2021 il deficit è stato di quasi 105 miliardi (AGI del 16 febbraio), a fine 2020 era stato di 160 miliardi (Italia in Dati). In due anni si sono fatti 265 miliardi di maggiori debiti e nei primi mesi del 2022 si sta tagliando una delle principali entrate per poter far partecipare l’Italia al sabba della speculazione su gas e benzina. L’Italia però non sono gli Stati Uniti, ovviamente, e non può far pagare agli altri i propri debiti; al contrario deve pagare i propri e anche quelli degli americani. Come?
Non solo piegando il collo del paese alla mannaia della speculazione in dollari, ma anche aumentando le spese militari al 2% del PIL. Ad esempio, dettaglio sempre taciuto, non vi sono solo Leonardo oppure Beretta a beneficiare delle commesse militari, si annoverano soprattutto le grandi corporation dell’industria militare a stelle e strisce, anche quando rifila “sole” come il famigerato bombardiere F35 della Lockheed: “Gli F35 sono un bidone. Un documento del Pentagono ammette che l'aereo da guerra più costoso del mondo è vulnerabile, ha difetti nelle ali e rischia di precipitare vicino alle nuvole. L'Italia si è impegnata a comprarne 90, per oltre 12 miliardi”, Espresso del 16 gennaio 2013. Gli anni passano, i costi aumentano, e se assemblati in Italia forse i bidoni diventano campioni: “Gli F-35 in Europa li faremo a Cameri: accordo Usa-Italia”, Il Fatto Quotidiano del 27 marzo 2022.
La politica finanziaria del governo dei migliori segue quella americana: fare sempre più debiti per aumentare la massa monetaria a disposizione della speculazione, ma anche in Italia l’inevitabile sanzione (ovviamente per noi cittadini) è arrivata, l’Istat certifica un’inflazione a marzo del 6,7%, mai così alta dal 1991; tuttavia sappiamo quanto sia prudente l’Istat nel certificare il progressivo impoverimento dei redditi da lavoro.
Putin fa scacco matto: il rublo diventa la moneta più pregiata del mondo
Abbiamo visto che, al contrario di quanto ci sta raccontando quotidianamente la propaganda di casa nostra, che ancora ci illudiamo di chiamare informazione, le sanzioni e una pressione mediatica furiosa non stanno scalfendo affatto il Cremlino: “La “Fortezza Russia” è pronta a limitare l’impatto delle sanzioni. Debito bassissimo, autosufficienza e gigantesche riserve di valuta”, titola Il Fatto Quotidiano del 25 febbraio. Al contrario, il combinato disposto di propaganda e politica a favore della speculazione sta agevolando l’impennarsi dell’inflazione sia nell’area dollaro che in quello euro. Questo pesante bilancio per l’Unione Europea, tuttavia, non ha convinto per nulla gli americani ad ordinare al loro burattino Zelensky di venire a buoni consigli al tavolo delle trattative. Alla fine di marzo, allora, Putin ha varato una nuova politica monetaria tesa a salvaguardare il rublo dal deprezzamento subìto nel primo mese di operazioni militari in Ucraina. La prima mossa sembrava non cambiare molto lo scenario, ma invece era un fondamentale presupposto: “Gas in rubli, Putin firma il decreto e fa la voce grossa.
Ma si potrà continuare a pagare in euro. I contratti per il gas russo restano in vigore e si continuerà a pagare in euro: alla conversione in valuta russa ci penserà Gazprombank”, recita il Sole 24 Ore del 31 marzo. Subito dopo questa iniziativa, il rublo è tornato ad apprezzarsi sui mercati finanziari; soprattutto presso Gazprombank si è creato un sistema di vasi comunicanti che permette a rublo ed euro, e anche rublo e dollari, di scambiarsi a tassi variabili. Da un certo punto di vista il rublo è diventato “convertibile in gas”. Ma è la seconda mossa che rappresenta un vero e proprio cambio epocale nella storia recente delle monete: il 28 marzo 2022 La Banca Centrale russa annuncia che è possibile cambiare rubli in oro al cambio di 5.000 per 1 grammo, cioè 52 dollari per un grammo d’oro russo: “Russian cenbank to restart buying gold from banks, will pay fixed price from March 28. The Russian central bank will restart buying gold from banks and will pay a fixed price of 5,000 roubles ($52) per gramme between March 28 and June 30”, titola Bloomberg del 25 marzo. Milano Finanza del 31 marzo ci dà qualche elemento in più: “La Russia torna agli accordi di Bretton Woods. Una manna per il rublo. Il Paese è il terzo estrattore al mondo di oro e il quinto detentore di riserve, custodite entro i confini e non raggiungibili dalle sanzioni (nonché protetto da un più che adeguato arsenale atomico N.d.R.). La Banca centrale sta rastrellando a sconto tutto il metallo giallo presente negli istituti del Paese usandolo come collaterale del rublo, avverte Cesarano (Intermonte) …
Il rublo torna al suo valore pre-bellico, che smacco per l'Occidente”. La notizia è veramente recentissima per poter valutare adeguatamente le sue conseguenze, ma una prima impressione sul meccanismo ideato dal Cremlino possiamo azzardarla. Il rublo aggiunge alla convertibilità in gas quella in oro, e nella storia delle monete, facendo mente locale grazie al fondamentale testo di John Kenneth Galbraith “La Moneta”, non ricordo una valuta che avesse una doppia convertibilità in gas ed oro, ergo il rublo in questo momento è la valuta più pregiata del mondo. Al contrario, le altre due monete “antagoniste” nella crisi ucraina, dollaro ed euro, sono valute inconvertibili in oro, rappresentano solo se stesse: la moneta americana non ha nessun valore intrinseco, viene accettata solo perché rappresenta il potere militare degli Stati Uniti; l’Euro ha un valore intrinseco relativo, in quanto rappresenta delle economie di alcuni paesi forti, come Germania e Francia, bilanciate però da altrettante economie deboli come quelle italiane e spagnole.
Ora, tutte le maggiori compagnie energetiche europee, spesso pubbliche come ENI e SNAM, mentre tengono il cordone ai rispettivi governi che starnazzano quotidianamente contro il diavolo Putin, continuano ad acquistare il suo gas in un luogo finanziario, Gazprombank, nel quale cedendo una valuta “carta straccia” (il dollaro) oppure una valuta a valore parziale (l’Euro) possono acquistare gas e oro attraverso il loro rappresentante monetario: il rublo. Se voi foste un dirigente ENI che potesse operare senza il controllo dei Gauleiter americani, pardon del governo italiano, non vendereste i dollari in cassa a favore di una valuta che rappresenta contemporaneamente gas e oro? Chi non lo farebbe in Europa, e soprattutto chi non lo farebbe nella City e a Wall Street?
Conclusioni: è l’ora della “exit strategy”
Il rublo pregiato evidenzia la palese contraddizione dei governi dei Proconsoli come Draghi e Scholz con gli interessi nazionali. Evidenzia altresì quanto sia fragile la politica atlantista dell’attuale commissione europea, costringe tutti a prendere posizione che non può più essere la pantomima propagandistica del mese di marzo.
Vediamo le reazioni. Gli americani hanno ovviamente accolto malissimo l’iniziativa della Banca centrale russa, che rischia di creare “panico” tra i possessori di dollari che pur di disfarsene sono pronti ad innescare una svalutazione “alla tedesca” del 1923 se non peggio. È tale la rabbia della Casa Bianca, a mio personale avviso, e con lo scopo di bloccare i governi europei già pronti a “vendersi” al rublo, da aver ordinato al criminale Zelensky e ai suoi tagliagole, come il battaglione Azov oppure i mercenari islamici, di organizzare la mattanza di Bucha, guarda caso scoperta il 1 di aprile, tre giorni dopo l’annuncio della Banca centrale russa. Il rublo doppiamente convertibile è un serio “casus belli”, e a Washington stanno valutando seriamente di mandare gli eserciti ausiliari della NATO al macello. Il fronte degli alleati, però, non si sta allineando come desiderato.
Ad esempio, una rete che rappresenta da sempre l’opinione del sionismo internazionale e dei signori del denaro come La7, permette a Michele Santoro di dire cose che solo qualche giorno prima non sarebbero state permesse su nessuna rete; Santoro a Piazza Pulita: «Fermiamo Putin con un accordo. Ma dite a Biden che la sua linea è sbagliata … Processiamo Putin, ma allora processiamo pure Bush... A Baghdad bambini morti bruciati dai missili … L’Europa faccia un accordo con lui, questo è il momento migliore perché Putin non ha realizzato i suoi obiettivi ed è in difficoltà.
Ma per offrirgli una via d’uscita l’Europa deve dire a Biden che la sua linea è sbagliata, Biden non vuole la pace. Ma vuole che continuiamo a sostenere la resistenza con le armi», il Corriere della Sera del 1° aprile. Wall Street e la City vogliono i rubli pregiati, e per ottenerli occorre una strategia di uscita dalla crisi ucraina. Qual è poi il pensiero delle classi dirigenti europee, magari riunite nel gruppo Bildenberg, escluse dalla recente pioggia di denaro pubblico riservato alle Big Pharma anglo-americane? Quale potrebbe essere l’opinione di un Werner Baumann, amministratore delegato di Bayer, che non ha potuto incassare 95 milioni di dollari al giorno; Paul Achleitner, presidente di Deutsche Bank, accetterà di non potersi disfare della carta dollari a favore dei rubli?
Come loro, quali sono i veri interessi dei vari Oliver Bäte Ceo di Allianz, Tom Enders Ceo di Airbus, e dei loro prestigiosi collegi francesi: Henri de Castries attuale presidente di Bildenberg, vice presidente di Nestlé e direttore di HSBC, oppure di Thomas Buberl, Ceo di AXA eccetera, eccetera. Questi personaggi sono tutti d’accordo di perseverare nella politica russofoba e atlantista dei vari Von der Leyen, Draghi, Scholz, adesso che si presenta la possibilità di disfarsi dei dollari per avere la moneta più pregiata al mondo?
A mio avviso, già nel mese di aprile potremmo assistere ai primi contrasti con gli Stati Uniti sul prosieguo della gestione della crisi ucraina: per il dollaro è suonata la campana.
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