By Federica Fantozzi
Conte in Senato ignora la destra. L'interventismo del Capitano sulla Lombardia si rivela un boomerang.
Lo spiraglio di dialogo tra maggioranza e opposizione si chiude prima di aprirsi. Il tavolo di “consultazione permanente” proposto dal mediatore Casini non trova spazio. Il refolo di possibile clima bipartisan si spegne insieme al discorso di Giuseppe Conte che, nell’aula del Senato trasmessa in diretta televisiva per illustrare ex post i contenuti dell’ultimo Dpcm, non nomina mai la parola “opposizioni”. Rivendica le misure prese, il bilanciamento tra salute e produttività, la “resilienza”. Ringrazia Protezione Civile, Cts, cittadini, parti sociali, sindacati, associazioni. Si duole di non aver potuto riferire in via preventiva sul Dpcm, che è comunque frutto di “intenso dialogo tra ministri, forze di maggioranza, Cts, regioni ed enti locali”. Insomma, si impegna per spazzare via ombre di incrinature con i sindaci o all’interno dell’asse giallorossa. Il centrodestra invece non è pervenuto. Nessuna mano tesa, nessuna richiesta, nessuna forma di riconoscimento sia pure implicito.
Il resto è conseguenza. Molto duri i meloniani, gli unici già molto poco propensi ad aperture di credito. Daniela Santanché usa il sarcasmo: “Tutto bene madama la marchesa? No, gli italiani hanno visto che non eravate pronti. Avete un’idea e una visione? La gestione di scuola e trasporti dice di no...”. Snocciola i “fallimenti”. Chiama in causa proprio il premier: “Si assuma le responsabilità che scarica con disinvoltura su regioni ed enti locali, forse per paura di perdere consenso. Le opposizioni vogliono collaborare, ma dica con chiarezza cosa vuole fare”. Stesso refrain da Ignazio La Russa, nonostante la premessa di “parlare con cortesia e preoccupazione”: “Abbiamo l’impressione che la maggioranza guardi alla curva dei contagi con l’occhio del consenso”. Critica: “Tra gli italiani c’è paura, angoscia, quasi paranoia. Cresce l’allarmismo anziché un moderato allarme”. Recrimina: “Non avete accolto uno solo dei nostri emendamenti”.
Anna Maria Bernini, capogruppo di forza Italia, ha pochi spazi: “Abbiamo creduto alla collaborazione, la offriamo da mesi proponendo ricette che nel mondo funzionano. Tanti invocano margini di collaborazione, ma non può essere complicità”. La senatrice ribadisce l’irritazione delle opposizioni sull’ultimo Dpcm, di cui sono stati informati dal premier con una laconica telefonata prima della conferenza stampa: “Ci dica i contenuti dei provvedimenti prima di chiuderli, non glieli spoileriamo” dice con ironia. L’ultima offerta: “Vogliamo essere costruttivi. Non smetteremo di offrire aiuto al governo, ma ce lo riconosca”.
Tocca a Pier Ferdinando Casini ritagliarsi - previa citazione del Mahatma Gandhi: “La vita non è aspettare che passi la tempesta ma imparare a ballare sotto la pioggia” - il ruolo esplicito del mediatore tra le coalizioni: “Lega, Fi, FdI cercano di dare contributi positivi. Serve un tavolo di consultazione permanente tra maggioranza e opposizione”. Il pensiero di molti corre agli auspici del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. E’ il renziano Davide Faraone, subito dopo, a raccogliere la proposta: “Ho sentito gli applausi alla proposta di dialogo di Casini, serve coerenza, alle parole seguano i fatti”. Ancora più chiaro: “Temi come il vaccino anti-influenzale non sono né di destra né di sinistra”. Dalle file azzurre, il senatore “centrista” Antonio Saccone rilancia il tavolo di unità nazionale: “Presidente Conte, le abbiamo votato due scostamenti di bilancio...”.
La Lega, però, non gradisce la rigidità del capo del governo, né gli elogi che ne fanno i Cinquestelle in aula. Non parla Matteo Salvini, bensì Armando Siri, a significare la presa di distanza. Che spranga la porta: “Avete prodotto un provvedimento schizofrenico che dimostra la vostra incapacità ad affrontare la situazione con logica e lucidità: il virus si prende in piedi e seduti no, in 6 no ma in 7 sì… Il governo invece tranquillizzi perché rispetto a primavera si registra una drastica riduzione dei positivi”. Due preoccupazioni in quota leghista: le ricadute sulle attività produttive e il ripristino del protocollo domiciliare per trattare subito chi ha sintomi ma non tali da essere ricoverato. Un lungo pomeriggio che non ha cambiato lo status quo. A vederci lungo era stato Casini, durante il suo intervento: “C’è chi teme che questa occasione si riveli uno sfogatoio”.
Il pasticcio sul coprifuoco in Lombardia
Eppure, la preoccupazione per “il partito del Pil”, ovvero i ceti produttivi e industriali del Nord-Est tradizionali elettori della Lega ha rischiato di rappresentare un inciampo per Matteo Salvini. E un prodromo di frizioni con i governatori, per le scelte sui territori. Succede quando ieri, in videoconferenza con i suoi, il leader ha strigliato il governatore Attilio Fontana, reo di aver chiesto al governo la facoltà di imporre il coprifuoco notturno in Lombardia: “Voglio prima leggere il provvedimento, non tocca a noi imporre misure impopolari, tocca al governo”. Un altolà che ha fatto slittare di oltre dodici ore l’ordinanza in questione, che Pirellone e ministero della Salute stavano limando con l’obiettivo di licenziare già ieri sera. Tutto fermo fino al mattino.
Tuttavia, l’interventismo del Capitano ha provocato un effetto boomerang, prontamente cavalcato dal centrosinistra: “A che titolo interviene? Qual è il suo ruolo istituzionale?”. Un bel problema per l’autonomia sempre cavalcata dal Carroccio e rivendicata anche in questi giorni da Luca Zaia. Lo stesso Fontana ha fatto capire al leader che la “concertazione” con il governo su un tema così sensibile per i cittadini lombardi era cruciale. E che non c’erano alternative. Così a ora di pranzo l’ordinanza “incriminata” ha visto la luce. Da Via Bellerio si è ridimensionata la sfuriata del leader a semplice interesse per le conseguenze economiche del coprifuoco e per le istanze di ristoratori ed esercenti di locali notturni. La linea è diventata: piena condivisione delle scelte del governatore. Il presidente del Friuli Venezia Giulia Massimiliano Fedriga si è schierato: “Come ho difeso De Luca, ora difendo Fontana. Chi sta sul territorio non fa scelte a cuor leggero”. L’ex ministro Gian Marco Centinaio, salviniano di ferro, che ha criticato l’ordinanza, viene derubricato a voce fuori dal coro che ha fatto di testa sua. Incidente chiuso. Ma il confine virtuale tra centro e territori rischia di diventare una faglia all’interno dei partiti.
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