sabato 5 ottobre 2019

Maurizio Belpietro attacca il premier: “Quei segreti che Conte nasconde agli italiani”



(Maurizio Belpietro – la Verità) – 
Fino a ieri Donald Trump era il puzzone, cioè una specie di bandito che, dopo aver occupato con una truffa la Casa Bianca, usava i servizi segreti e le relazioni internazionali per incastrare gli avversari politici. Così ci siamo dovuti sorbire le ricostruzioni di una telefonata al presidente ucraino, a cui il presidente degli Stati Uniti avrebbe chiesto se Joe Biden, la pedina più importante dei democratici nella corsa alle elezioni per il nuovo comandante in capo americano, avesse fatto pressioni per far rimuovere un magistrato colpevole di indagare sul figlio. Un affare dai contorni poco chiari, soprattutto per i liberal, ma che i giornaloni – americani e italiani – hanno trasformato in un intrigo di Trump contro la Democrazia con la D maiuscola. Il puzzone con i capelli arancioni va messo sotto impeachment, hanno tuonato per giorni, perché fa uso di pratiche scorrette....

State tranquilli, non è delle beghe americane e dei loro riflessi italiani che vi voglio parlare. Semmai è delle beghe italiane, le quali, quando sfiorano qualche amico caro alla sinistra, improvvisamente diventato argomento tabù di cui sulle pagine dei suddetti giornaloni è meglio non parlare. La storia è la seguente. Il presidente americano non ha solo chiesto all’ omologo ucraino di approfondire i pasticci combinati dall’ ex vicepresidente di Obama, ma a quanto pare si è anche dato da fare per conoscere chi abbia armato la pistola di Robert Mueller, il procuratore speciale del caso Russiagate. Ricordate?
Per mesi i democratici hanno accusato Trump di aver manipolato le elezioni americane, quelle perse da Hillary Clinton, grazie all’ aiuto dei troll russi. In realtà, dopo aver speso un anno a indagare, l’ ex capo dell’ Fbi ha dovuto gettare la spugna. Ma adesso che l’ inchiesta è chiusa e si avvicina la nuova campagna elettorale per decidere chi sarà il prossimo inquilino della Casa Bianca, il puzzone carica le armi e dunque, essendo convinto che il Russiagate sia stato un gran trappolone preparato contro di lui dagli avversari, si sta dando un gran da fare per sbugiardarli.
Embé, direte voi, e il nostro Paese che cosa c’ entra?
C’ entra, eccome. Perché uno dei protagonisti della campagna per incastrare Trump sarebbe stato un professore dell’ università Link, un tizio che guarda caso soggiornava a Roma e forse aveva rapporti con Mosca. Risultato, nella Capitale il 15 agosto scorso, mentre Matteo Salvini aveva aperto la crisi di governo e chiedeva di tornare alle urne, è atterrato il general attorney americano, vale a dire un collaboratore di Trump, William Barr.
Il quale non era in gita turistica dalle parti del Colosseo, ma alla ricerca di prove che dimostrassero come il Russiagate fosse tutta un’ invenzione dei democratici americani. Fin qui nulla da dire, anche se un alto funzionario straniero che si metta a indagare in casa d’ altri non è proprio il massimo delle corrette relazioni fra Stati sovrani, pur se in ottime relazioni. Ma la faccenda non è finita con l’ arrivo di Barr e il giro di piazza di Spagna alla ricerca del professor Joseph Mifsud, perché il general attorney è sbarcato in Italia per chiedere a Giuseppe Conte di mettere a sua disposizione i servizi segreti italiani allo scopo di rintracciare il docente, perché – guarda caso – Mifsud dopo aver cantato è diventato uccel di bosco.
E il nostro presidente del Consiglio, mentre traballa sulla poltrona perché Salvini lo vuole mandare a casa, che fa? Chiama gli 007, sui quali ha la delega, e li fa incontrare con Barr, mettendosi al servizio dell’ operazione. Come ha scritto Lucia Annunziata sull’ Huff post (tra le poche a parlare di questa oscura faccenda), Conte stende il tappeto rosso a Barr e cinque giorni dopo, in Senato, gonfia il petto e scarica Matteo Salvini, rovesciandogli addosso pure la vicenda Metropol e i suoi rapporti con la Russia.
E a quattro giorni dall’ apertura ufficiale della crisi, a Biarritz, il presidente del Consiglio parla a lungo con Trump, il quale passati tre giorni twitta a sorpresa un endorsement: «Spero che Giuseppi Conte resti premier». Il 5 settembre, in effetti, Giuseppi è di nuovo in sella.
Gli incontri tra i capi dei nuovi servizi e l’ emissario del presidente americano sarebbero stati almeno due, ma per quel che si sa, Conte avrebbe tenuto rigorosamente nascosto i rendez-vous anche agli alleati.
Così, se la telefonata di Trump al premier ucraino è divenuta un caso mondiale, le strane manovre italiane in un intrigo internazionale non sembrano appassionare. Soprattutto non sembra incuriosire il fatto che il premier abbia mosso gli 007 per rendere un servigio di certo anomalo al general attorney. C’ è forse stata una qualche contropartita? E se sì, quale? Quando Conte, che è atteso davanti a una commissione parlamentare, deciderà di raccontare i fatti?
Anche perché ciò che è accaduto non è così estraneo a ciò che succede in Italia. Ieri il nostro giornale ha raccolto le parole di George Papadopoulus, un signore spesso citato per il Russiagate, il quale nell’ intervista ha raccontato che all’ intrigo scatenato dai democratici contro Trump non sarebbe stato estraneo Matteo Renzi, il quale sarebbe stato sollecitato da Barack Obama a entrare in partita.
Come avrete capito, noi, al contrario di molti nostri colleghi, non facciamo gli schizzinosi di fronte al «puzzone» americano, ma vorremmo capire se gli schizzi di fango delle trame americane sono arrivati fin qui, contribuendo all’ ascesa di taluni personaggi. O anche solo al loro bis.---

Nessun commento:

Posta un commento