Altro che Italia dei due Mattei. Al popolo salviniano di
San Giovanni si contrappone la Leopolda renziana,
priva della forza immateriale che caratterizza lo
stato nascente.
By Alessandro De Angelis
Il senso di megalomania è grande quanto quel simbolo di Italia Viva che plana dal cielo di alluminio, nel frastuono di una musica da colossal americano. Alla Ben Hur. Simbolo che peraltro ricorda quello dell’Italia dei Valori. La megalomania di chi celebra un trionfo senza neanche un esercito che ha vinto la guerra, cesarismo senza un Rubicone attraversato, armate e vittorie, anzi con Roma invasa dai barbari, che sono cento volte il cosiddetto popolo della Leopolda. Direbbe Alberoni che manca la forza immateriale che caratterizza lo stato nascente, in questa “cosa” che nasce da una scissione, compiuta solo in nome di un Io che preferisce comandare in una casa più piccola piuttosto che condividere un progetto, senza essere il protagonista sul palco....
Ma quale Italia dei “due Mattei”, narrazione che si infrange sulle istantanee di metà pomeriggio. Che fotografano un popolo a San Giovanni, potenzialmente maggioritario e un’enclave revanchista, stretta attorno al culto di un Capo che il paese lo ha perso, e non da oggi. Ecco, la differenza è tutta qui, perché San Giovanni è uno specchio del paese, dove si avverte il fuoco vivo della storia, la Leopolda un mondo che si esaurisce in sé e nei sui rituali, nonostante l’abilità della regia. Un format intenso per gli abbonati ma sconnesso dalle sedimentazioni profonde del paese. E allora, giù la maschera sul senso vero di questa operazione “Forza Italia viva”, dopo tante chiacchiere sulla separazione “consensuale” e il bon ton di maniera che ha preceduto il duello rusticano. Ecco la Boschi, circondata dalle telecamere. Guardatela come si compiace della luce dei riflettori mentre attacca il Pd diventato “il partito delle tasse”. Proprio così, “partito delle tasse”, un “avversario politico”. E ci manca solo “e delle manette”, per completare l’effetto deja vu. Perché, insomma, non ci vuole chissà quale fine politologo per capire il gioco.
Prima l’Iva, poi “quota cento”, poi il family act, poi la polemica sulle tasse e sul cuneo: più i sondaggi dicono che la sua creatura non sfonda, più Renzi se ne inventa una al giorno, nel tentativo di aprire, attraverso la fibrillazione di governo, uno spazio politico. A destra. In quell’elettorato di Forza Italia che non si riconosce in piazza San Giovanni. Sentite Cosimo Ferri, l’uomo delle relazioni pericolose con Lotti e Palamara, di casa alla Leopolda: “Qualcuno è arrivato, ma tanti altri arriveranno. Ci sono delle trattative con la Carfagna e Mallegni, trattative sui ruoli e sulla visibilità. È un percorso naturale questo partito per chi viene da Forza Italia”. Già, aspettando Mara. I ben informati raccontano una storia bellissima per gli amanti del genere. E cioè che Renzi la vorrebbe, che ci sono stati già diversi contatti, che invece la Boschi è più tiepida e che però il problema è il ruolo perché la vicepresidente della Camera non può aderire senza un ruolo da protagonista.
Sia come sia, tutto racconta di una operazione senza gravitas, che cozza col trionfalismo da palcoscenico, e che, absit iniuria verbis, sembra la chiusura di un ciclo, dalla rottamazione al riciclo. Basta farsi un giro tra la gente. Un giovane calabrese, Adolfo De Santis, impegnato nel Pd da anni e più volte minacciato dalla sue parti con lettere anonime è quasi sconsolato: “Io ero per la rottamazione, ma vedo che ora Renzi si affida ai capibastone. Qui c’è l’area vicina a Jole Santelli, insomma gente di Forza Italia”. Non solo la Calabria. Lo stesso sta accadendo in Campania e in tutto il Sud. Donatella Consatti, ex Forza Italia, è entusiasta: “Questo non è il centro, è il baricentro”.
Diciamo le cose come stanno, stavolta anche la scena non è commisurata all’ambizione. Tanto mistero sui nomi dei vip che sarebbero saliti sul palco per poi scoprire che non ci sono i “sostituti” dei tanti persi per strada, da Farinetti a Baricco agli intellettuali che pure sono passati da queste parti. Il palco è un’orgia di retorica sulle città green, sull’innovazione tecnologica e sull’Italia delle start up che neanche fosse la Silicon Valley, tipici discorsi di un partito appena nato alla ricerca di finanziatori. Con i mitici “millennials” esibiti sul palco, applauditi da una sala di mezza età, molto medio borghese. Alla fine, la firma dell’atto costitutivo nel momento clou è affidata a Ettore Rosato e Teresa Bellanova. Non i testimoni di un modo che aderisce al progetto, ma i soldati più fedeli: “Ci voleva un leader per non lasciare l’Italia a Salvini”. Massì, “menomale che Renzi c’è”. Per loro.
- Alessandro De AngelisViceDirettore
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