Amazon è il più grande vincitore durante il periodo di diffusione del Covid. Con queste parole il New York Times ha recentemente descritto il boom economico che ha coinvolto il colosso americano del commercio online.
Restrizioni e guerra alla concorrenza: la strada del successo di Amazon
Un’ascesa senza precedenti che ha permesso di triplicare in tutto il mondo gli utili netti dell’azienda rispetto all’anno precedente. Numeri che si sono potuti realizzare soprattutto grazie alle misure restrittive introdotte dai Governi e che hanno limitato fortemente il settore del commercio al dettaglio.
In Italia per esempio, Paese dove fino al 2019 solo il 40% dei cittadini effettuava acquisti in rete, Amazon ha letteralmente sbancato. Nel 2020 infatti questa percentuale è salita oltre il 75%. L’impennata della multinazionale americana è frutto anche di una strategia altamente aggressiva e ai limiti della legalità attuata nel tempo.
Nel corso degli ultimi anni tutti i principali competitors di Amazon sono stati infatti eliminati con metodi più che discutibili. Come quando Amazon commercializzò scarpe da ginnastica pressoché identiche a quelle targate Allibirds per conquistare questa fetta di mercato. Pratiche scorrette che hanno portato all’accusa di usare i dati dei venditori per favorire i propri prodotti fatta dalla stessa Commissione europea.
La socializzazione dei rischi d’impresa
E così oggi la multinazionale guidata da Jeff Bezos si ritrova ad avere il monopolio del mercato online globale con un organico composto da più di un milione di dipendenti. Questo peso economico nel mondo non sembra però essere affiancato dai vertici dell’azienda alla consapevolezza di avere un’enorme responsabilità sociale nei confronti di tutte le famiglie dei dipendenti, ma anche ormai dell’intera società.
Mentre gli utili aziendali salgono alle stelle, gli stipendi e le condizioni di lavoro dei dipendenti e dei collaboratori di Amazon non sembrano migliorare, anzi. Prendiamo per esempio lo stabilimento Amazon di Castelguglielmo in provincia di Rovigo, dove circa 800 dipendenti hanno visto il loro contratto non rinnovato.
Tra questi è salita agli onori della cronaca la storia di Marco Straccini che per mesi ha vissuto in un camper nel parcheggio dello stesso stabilimento perché privo di un contratto stabile che gli permettesse la sistemazione in un alloggio. Anche a lui, così come alle altre centinaia di dipendenti non è stato rinnovato il contratto. Condizione ancora peggiore è quella dei cosiddetti “driver“, coloro che consegnano direttamente i pacchi di Amazon. Per questa particolare categoria si parla di contratti non solo mensili, ma addirittura settimanali. L’apoteosi del precariato.
E i turni di lavoro sono estenuanti: la richiesta dei vertici è che il driver effettui almeno 20 consegne ogni 60 minuti. Ritmi frenetici ed alienanti che fanno venire alla mente la celebre pellicola “Tempi Moderni” di Charlie Chaplin, facendo però così tornare indietro di almeno un secolo la lancetta della storia dei diritti del lavoro.
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