(Maurizio Belpietro – la Verità) –
Il destino dei 5 Stelle è segnato e porta a un’ inevitabile integrazione con il Pd, di cui probabilmente diventerà una costola. Se fino a ieri, infatti, c’ erano dubbi sulla evoluzione del Movimento, ora si possono mettere da parte. Perché, dopo aver più volte sostenuto di avere una linea politica antitetica a quella dem, i grillini con il Pd non solo hanno fatto un governo, ma ora si preparano ad andare a braccetto con il partito di Bibbiano pure alle prossime regionali.
A dare il via libera all’operazione è stato lo stesso Luigi Di Maio, un signore la cui carriera politica è appesa a un filo, cioè alla sopravvivenza di questa legislatura. Il capo politico pentastellato, in una lettera al quotidiano La Nazione, ha aperto ieri la porta a un’ intesa con il Pd fino a prima respinta. Lo ha fatto ricorrendo a un escamotage linguistico, che se da una parte esclude un patto con Nicola Zingaretti, dall’ altra nei fatti lo propone.
Si tratterebbe in pratica di candidare un esponente terzo, uno dei cosiddetti uomini della società civile, cioè un signore non immediatamente riconducibile né al Movimento né al Pd. Una volta trovata la testa di legno da mettere capolista per imbrogliare gli elettori, il resto verrebbe facile e di conseguenza, perché ogni partito con il proprio simbolo, dunque sia i 5 stelle che i piddini, sosterrebbe il prescelto....
L’operazione, per i grillini e per i democratici, presenterebbe numerosi vantaggi, a cominciare dalla possibilità di ridurre i rischi di una sconfitta. Già, perché le prossime elezioni regionali sono un banco di prova piuttosto complicato per la maggioranza che sostiene il Conte due. Se si presentassero separati al voto, sia il Movimento che il Pd, rischierebbero una batosta.
I primi perché alle elezioni amministrative sono quasi sempre andati male e, con molta facilità, lo sarebbero anche questa volta, visto che rispetto alle elezioni nazionali del 4 marzo dello scorso anno oggi sono dati in calo, cioè attorno al venti per cento. Ai secondi potrebbe anche andare peggio, in quanto il voto riguarderebbe le regioni da sempre governate dai compagni, ossia Umbria, Toscana e Emilia e Romagna.
Perdere nei feudi rossi equivarrebbe a una catastrofe, a cui difficilmente Nicola Zingaretti e il governo dell’ inciucio potrebbero sopravvivere. Basti ricordare che nel 2000, il primo comunista che riuscì a conquistare con un altro ribaltone Palazzo Chigi, cioè Massimo D’ Alema, fu costretto a fare le valigie dopo aver perso le elezioni regionali. E all’ epoca non era in gioco il cuore rosso dell’ impero, ma la Puglia, il Lazio e la Calabria. E visto che là dove da sempre governa la sinistra, alle ultime amministrative diverse città sono cadute in mano al centrodestra, nel Pd è suonato l’ allarme ed è venuta l’ idea di replicare il modello dell’ ammucchiata già sperimentato con il governo.
Fino a ieri, fra i 5 Stelle c’ era chi si dimostrava contrario, preoccupato di mischiarsi troppo con i compagni fino a sembrarne una corrente. Ma con la lettera al quotidiano toscano, Di Maio ha tagliato la testa al toro, dichiarandosi pronto all’ inciucio, anche se mascherato da scelta civica. Nella sostanza, pur di non vedere saltare il banco, cioè il Conte due, il capo pentastellato è pronto a fare da stampella a un sistema che da settant’anni malgoverna quelle regioni.
Basti ricordare che la prima scadenza elettorale è quella umbra, dove la governatrice e la giunta sono state costrette alle dimissioni dallo scandalo della sanità. Sapendo di rischiare il controllo della regione, Zingaretti aveva provato a puntellare Catiuscia Marini, la presidentessa finita nella bufera, ma poi era stato costretto ad alzare bandiera bianca, accettando che a decidere fossero gli elettori.
Ora però, per il segretario del Pd c’è un’ occasione insperata di salvare il feudo rosso ed è offerta dallo stesso Di Maio, che propone di sommare i voti dei 5 Stelle a quelli del Pd, proprio come piace a Dario Franceschini, il democristiano che ha ispirato anche l’ alleanza per il Conte due.
Insomma, nati gridando un grande vaffa… al sistema, in particolare a quello democristiano e comunista che ha dominato prima e seconda repubblica usando le leve di Palazzo Chigi e del Quirinale, oggi i 5 Stelle si riscoprono custodi di quello stesso sistema. Dovevano aprire la scatola di tonno e oggi di quella stessa scatola sono i più tenaci e strenui difensori. Da movimento del cambiamento a movimento della conservazione. Da incendiari a pompieri.
Di questo passo pare evidente quale sarà la prossima mossa. Da stampella del Pd che oggi sono, diventeranno una delle gambe del tavolo su cui si reggerà il partito di Zingaretti. Anzi, più precisamente ne diventeranno una costola. Ci saranno la corrente del segretario, quelle di Renzi e di Orlando e infine l’ area che fa capo a Di Maio.
Chissà però se, una volta entrati a far parte del sistema, la scelta del prossimo presidente della Repubblica la farà ancora la piattaforma Rousseau. Forse no: forse Rousseau sarà mandato in pensione. In attesa del vitalizio.---
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