La compagnia di San Donato è a un passo dal conquistare la Norvegia, diventando – attraverso Vår Energi – la maggiore compagnia straniera nel Paese scandinavo. Exxon invece sta lasciando il Mare del Nord, dove ha operato per oltre cent’anni
di Sissi Bellomo
3' di lettura
Eni è a un passo dal conquistare la Norvegia, diventando – attraverso Vår Energi – la maggiore compagnia straniera nel Paese, con una produzione di oltre 300mila barili al giorno tra petrolio e gas, quasi il doppio rispetto a oggi.
In seguito a indiscrezioni, ExxonMobil ha confermato di essere in trattative esclusive con la società controllata da San Donato, erede di Eni Norge, per cederle tutti gli asset residui nell’upstream norvegese. Il prezzo secondo i rumor potrebbe sfiorare 4 miliardi di euro...
La major statunitense completerebbe così l’uscita da un’area in cui è stata presente per 125 anni, fin dai tempi in cui era ancora la Standard Oil di John Rockefeller, e dove ha avuto un ruolo da protagonista. Al punto da vantarsi nel suo sito Internet di essere «una fetta di storia norvegese».
Si deve agli americani la scoperta di idrocarburi nel Mare di Norvegia a metà degli anni ’60. Ed era proprio Exxon a conservare fino all’anno scorso la Licenza di produzione numero 001, quella di Balder. Il giacimento oggi è in mano a Vår Energi, che dalla compagnia Usa ha ereditato anche molte altre attività (oltre che la ceo Kristin Kragseth, una veterana di Exxon).
La società, di cui il Cane a sei zampe possiede il 69,6%, è nata lo scorso dicembre dalla fusione di Eni Norge – altro attore importante nell’offshore della Norvegia, cui si deve lo sviluppo di Goliat, primo giacimento operativo nel Mare di Barents – con Point Resources, compagnia figlia in gran parte proprio delle dismissioni di Exxon nel Paese scandinavo.
Una prima tornata di vendite era avvenuta nel 2017 e a comprare era stata Point Resources, società creata dal nulla dal fondo di private equity HitecVision, che oggi è socio degli italiani
in Vår con il 30,4%. Ora gli americani sono alla ricerca di un acquirente per gli asset residui: partecipazioni in venti giacimenti sfruttati da Exxon (senza il ruolo di operatore) insieme alla compagnia statale Equinor e a Royal Dutch Shell.
La Major si propone di vendere anche le attività nelle acque britanniche del Mare del Nord, per concentrarsi su
aree che considera più promettenti: lo shale oil negli Stati Uniti
(in particolare il Bacino di Permian, dov’è diventata uno dei principali operatori ) e la Gujana, dove ha fatto importanti
scoperte.
«Ci sono aree in cui stiamo crescendo e il Mare del Nord non
è una di queste», aveva spiegato una portavoce a giugno, per giustificare i piani di dismissioni.
Oggetto delle trattative con Vår Energi sono comunque solo gli asset in Norvegia, per i quali Exxon afferma di non essere ancora giunta a un accordo definitivo. Restano dunque indiscrezioni quelle riferite da Reuters, secondo cui nelle
settimane passate avrebbero manifestato interesse anche Equinor, Aker Bp, DNO e Lundin Petroleum.
Nessuna conferma neppure alle voci raccolte dal quotidiano norvegese Dagens Naeringsliv, a proposito di un annuncio
ufficiale sull’operazione che dovrebbe arrivare entro fine mese e di discussioni su un prezzo di vendita di 38 miliardi di corone (4,2 miliardi di dollari o 3,8 miliardi di euro).
Rystad Energy, società di consulenza di Oslo, lo scorso giugno
aveva ipotizzato che Exxon potesse ricavare 3,1 miliardi di $, spiegando che sarebbe stata la più grande transazione nella
storia dell’Oil & Gas norvegese dopo le privatizzazioni del 2001.
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