Maurizio Belpietro
Molti si stupiscono della nascita di Italia Viva, Panorama ne aveva anticipato tempi e ragioni: nomine e potere.
Nicola Zingaretti dice di non aver capito perché Matteo Renzi abbia lasciato il Pd e fondato un suo partito. Anche Matteo Richetti, uno che l’ex segretario lo conosce bene, parla di scelta incomprensibile. Emanuele Macaluso, vecchio direttore de l’Unità, spiega invece di non rintracciare neppure una motivazione politica nella decisione di far nascere Italia viva.
Sarà, ma a noi le ragioni dell’uscita dal Partito democratico dell’ex presidente del Consiglio paiono chiarissime, tanto chiare da averle raccontate in anticipo. Era la metà di agosto, cioè prima che si compisse lo strappo fra Lega e 5 Stelle, quando per Panorama scrivemmo un articolo dal titolo: Ritorno al potere. In esso spiegavamo quale ruolo avrebbe giocato Renzi una volta aperta la crisi di governo. Per ragioni di stampa e distribuzione (il settimanale era stato chiuso in tipografia qualche giorno prima della sua uscita in edicola) lo avevamo preparato a cavallo di Ferragosto, dunque quando il Parlamento non era ancora stato riaperto, Giuseppe Conte non si era ancora presentato in Senato per rispondere alla mozione di sfiducia di Matteo Salvini e Renzi non aveva ancora fatto il suo discorso per sostenere un esecutivo fra 5 Stelle e Lega....
Tuttavia quel numero di Panorama aveva un’immagine e un titolo eloquente: “Se torna lui”. E nell’editoriale raccontavamo delle molte nomine ai vertici delle aziende pubbliche e delle istituzioni che erano al centro dell’azione dell’ex premier. Quando nella primavera del 2014, con un colpo di mano detronizzò Enrico Letta e da segretario del Pd si autoproclamò presidente del Consiglio, Renzi la prima cosa che fece fu tagliare la testa a tutti i capi delle società partecipate dal Tesoro, prendendo poi il controllo delle forze dell’ordine, dei servizi di sicurezza e della Rai. In breve, occupò lo Stato, prendendo in pugno come mai avevano fatto Berlusconi e Prodi prima di lui i principali centri di potere del Paese. Molti degli uomini piazzati cinque anni fa da Renzi hanno resistito sulle poltrone in cui erano stati collocati anche dopo la caduta del Rottamatore e più d’uno è alla fine del mandato. In pratica nei prossimi mesi dovranno essere sostituiti e le decisioni spetteranno alla nuova maggioranza che sostiene il governo.
Ecco, la spiegazione della decisione di fondare un nuovo partito sta tutta lì: nelle nomine che l’esecutivo dovrà fare a partire dai prossimi mesi. Giuseppe Conte, che per quanto sia un neofita della politica ha imparato a capirla in fretta, dopo l’uscita di Renzi dal Pd, pare abbia confidato di essere allibito per la decisione dell’ex segretario del Pd, aggiungendo un giudizio al vetriolo: “Vuole solo potere e nomine”.
Del resto, non ci vuole un’aquila per vedere da lontano dove vuole arrivare il già presidente del Consiglio: è stato lui stesso a rivelarlo. Come quei rapinatori che non riescono a tenere segreto il colpo, ma nell’ambiente della malavita si fanno vanto di averlo messo a segno, Renzi ha raccontato a Repubblica, nell’intervista in cui annunciava l’addio al Pd, la sua visione di politica industriale. In quelle risposte infatti citava l’amministratore delegato dell’Enel, dicendosi orgoglioso di averlo nominato e parlando di altre due aziende pubbliche, Fincantieri e Leonardo, si domandava perché non fossero ancora state fuse in un’unica società. Siccome la lingua batte dove il dente duole, era chiarissimo il messaggio. Renzi ha fatto un partito perché da senatore semplice di Scandicci non gli sarebbe stato possibile mettere bocca nelle nomine e nella scelte strategiche di politica industriale.
Ma da capo di un partito che sostiene il governo sì. Insieme agli altri, ma con più furbizia degli altri, ossia di Luigi Di Maio e Zingaretti, Renzi si siederà al tavolo delle nomine e vorrà piazzare i suoi uomini e spingere il piano Capricorn, ridisegnando l’assetto delle ultime aziende strategiche per il Paese nel settore della Difesa e dello spazio. Lo ha confessato lui a Repubblica. “Voglio dire la mia sulla strategia. Perché continuano a tenere divise Leonardo-Finmeccanica e Fincantieri? Che senso ha?”.
I toscani, parlando di chi non sa tenere un segreto, dicono che non è capace di tenersi un cecio in bocca. Ecco, Il fondatore di Italia viva, da buon toscano e tenendo fede al suo soprannome da studente (“il Bullo”), non sa tacere e ha anticipato perché ha dato vita a un partito. Come quando era a Palazzo Chigi il suo interesse era mettere mano alla cybersicurezza e alle reti telematiche, ora punta al grande business dell’aerospazio e della Difesa, perché più della politica gli sta a cuore il mondo degli affari e dell’industria. Del resto, quand’era premier si occupò delle banche. Adesso che queste sono sistemate, non gli resta che prendere il volo con aerei e missili.
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