Domani a Porta a Porta Renzi pronuncerà il suo me ne vado dal Pd. Sulla scissione la rottura con Lotti e Guerini. Alla Leopolda la celebrazione del nuovo inizio
L’annuncio ha una data e un orario e fissato, quello di martedì 17 (con scarsa sconsiderazione per la scaramanzia) alle ore 18, quando inizierà la solita registrazione nel solito studio di Vespa. È in quella sede che Matteo Renzi pronuncerà il suo “me ne vado dal Pd”. Fonti vicine all’ex segretario assicurano che “è pressoché certo, anche se con Matteo non si sa mai fino all’ultimo”. E tutto racconta di una precipitazione, con l’obiettivo di fare della Leopolda la celebrazione del nuovo inizio e non il luogo di un dibattito su “che fare”, rituale che il decisionismo renziano non ha mai particolarmente apprezzato. Proseguono le stesse fonti: “Anche perché vogliamo vedere chi viene alla Leopolda, chi sta con noi e chi no”.
Ecco, ci siamo, è il partito (o partitino di Renzi), che ancora non ha un nome, ennesimo capitolo di una storia politica all’insegna del referendum su di sé, nel paese, nel partito, ora tra i suoi. Perché su questo strappo si è consumata una frattura vera, tutta dentro il mondo che fu renziano: “Ormai Guerini e Lotti sono con Franceschini”, sono queste le parole di chi in questi giorni ne ha raccolto lo sfogo...
. C’è anche questa “solitudine” nella decisione maturata in queste ore, in cui c’è stata una accelerazione operativa proprio nella domenica passata a Firenze per definire i dettagli: soldi, sede, nome. Pare cioè un atto di forza, in verità è un modo per dire “io esisto”. Il colpo duro da digerire è “il Lotti” che in questi anni è stato a Renzi come Verdini a Berlusconi, custode dei segreti, braccio operativo delle operazioni più delicate. Tra i due si è consumata una separazione vera. Il giglio ha perso un petalo. Con Lotti resterà il grosso di Base riformista: “La rottura è stata sul governo, nella fase finale della trattativa sui sottosegretari”. E adesso anche le amazzoni del renzismo entrate nella stanza dei bottoni, come Alessia Morani, scrivono “Matteo ripensaci”. Diverso il discorso con Matteo Orfini, che ha sostenuto Renzi con lealtà, ma non lo seguirà in questa avventura. I due hanno parlato nei giorni scorsi, senza psicodrammi. Senza che l’uno facesse cambiare idea all’altro.
VIDEO - Appello all’unità dei sottosegretari renziani: “Abbiamo giurato, restiamo in questo governo”
L’ex segretario ha deciso: “Non è più sostenibile la situazione, vogliono che me ne vada, me ne vado”. Al Senato l’idea è di trasferirsi, già nei prossimi giorni, nel misto con tre o quattro senatori, poiché il regolamento a palazzo Madama impedisce di formare gruppi ai partiti che non si sono presentati alle elezioni. Ma anche perché, in tal modo, Marcucci resterebbe capogruppo del Pd. Primo caso nella storia in cui gli scissionisti controllano anche il partito da cui si sono scissi. Alla Camera non c’è problema di numeri e circola già l’ipotesi di Roberto Giachetti, che oggi si è dimesso dalla direzione del Pd, come capogruppo.
Altro che separazione consensuale, si dice sempre così quando si inizia. L’obiettivo è di Renzi è chiaro, quello di muoversi nella nuova maggioranza come un Salvini turbo-riformista, condizionare l’agenda di governo, porsi come l’alfiere dello spirito autentico del Pd, di fronte a un Pd che rischia la “grillizzazione”, tornare in tv, parlare, sentirsi capo. Di pochi, ma capo. Perché poi il punto è sempre questo, l’incapacità di stare dentro un progetto senza essere colui che comanda.
- Alessandro De AngelisPolitics Reporter, L'Huffington Post
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