Che la "Saudi connection" inizi ad imbarazzare il governo italiano è una buona notizia. I tentativi dei due ministri Gentiloni e Pinotti di dire che il commercio di armi dall'Italia all'Arabia Saudita è lecito e normale appare non solo politicamente insostenibile, ma per certi aspetti goffo.
Ad esporsi in particolare è la titolare del dicastero della Difesa, che in una recente video-intervista a Repubblica Tv, ripresa poi da diverse agenzie di stampa, in merito alla bombe destinate all'Arabia Saudita prodotte in Italia dalla RWM ha affermato: "(...) Ricordo che quelle bombe non sono italiane, sono di altri con fabbriche in Italia", e che tali ordigni sarebbero solo "transitati" dal nostro paese. Tesi ardita, facilmente confutabile leggendo, per esempio, lo straordinario materiale di ricerca e denuncia prodotto da Giorgio Beretta, direttore dell'Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Sicurezza e Difesa (OPAL)....
I deputati del M5s inoltre in una interrogazione (primo firmatario il deputato Luca Frusone) allegano addirittura la visura camerale del Registro delle imprese di Brescia, della società RWM Italia spa "con sede a Ghedi (BS) e stabilimento in Domusnovas (CA, ex SEI, Sarda Esplosivi Industriali) di proprietà dell'azienda tedesca Rheinmetall, ma è una società italiana a tutti gli effetti e produce bombe, proiettili, spolette e mine". La stessa relazione del Governo al Parlamento del 2013, in base alla
legge 185/1990, la individua infatti tra prime dieci società italiane esportatrici di armamenti con un volume di affari all'esportazione di 72.141.148 di euro, pari al 3,36 % del totale italiano.
Allora basta a sollevare la coscienza e dalla responsabilità italiana il fatto che la ditta sia di proprietà tedesca e il tipo di bomba prodotto su licenza Usa? Perché il ministro Pinotti nega il fatto che queste bombe siano made in Italy quando carte ufficiali (e la logica) dicono il contrario?
La questione non è di lana caprina, guidando l'Arabia Saudita una coalizione sunnita che negli ultimi mesi ha messo a ferro e fuoco lo Yemen. Una guerra apparentemente lontana ma della quale, nella relazione che accompagna l'ultimo decreto di proroga delle nostre missioni militari all'estero, è lo stesso governo a segnalare la pericolosità. Per l'inevitabile afflusso di migliaia di rifugiati in fuga dalla guerra che potrebbero cercare riparo proprio nel Corno d'Africa, mettendo sotto pressione la nostra base militare a Gibuti. Pinotti, sempre nell'intervista a Repubblica TV, afferma tra l'altro: "Chi decide se si può vendere o meno? Ci sono indicazioni dell'Onu oppure dell'Unione Europea per quanto riguarda l'Arabia Saudita per la vendita di bombe...." .
Ora, questa affermazione andrebbe verificata. Dall'inizio del conflitto, l'Unione Europea ha stanziato aiuti umanitari per lo Yemen per oltre 200 milioni di euro.
È sensato che mentre si mandano aiuti umanitari contestualmente si autorizzi l'invio di bombe e altro armamento destinato ad aumentare le sofferenze di quel popolo?
Appena il 16 novembre 2015 - mentre le bombe della RWM venivano stoccate e imbarcate nell'aeroporto di Elmas - il Consiglio europeo adottava alcune conclusioni sullo Yemen denunciando l'impatto delle ostilità in corso, gli attacchi indiscriminati contro le infrastrutture civili, le strutture sanitarie, le scuole e gli impianti idrici.
Come da tutto questo possa discendere un via libera ad armare i sauditi rimane un vero e proprio mistero.
Cosi anche la supposta "autorizzazione dell'Onu" all'iniziativa militare della coalizione sunnita appare un azzardo. La risoluzione del
Consiglio di Sicurezza n. 2216(marzo/aprile 2015) di fronte alla richiesta di sauditi e Qatar di autorizzare i bombardamenti sullo Yemen ripropone la via negoziale e l'invito alle parti al cessate il fuoco. Il rapporto (ottobre 2015) dell'incaricato speciale Onu in Yemen Ismail Ould Cheikh Ahmed parla giustamente delle atrocità prodotte da quei bombardamenti, di 21 milioni di persone prive di accesso all'acqua e della necessità di arrivare al più presto a un immediato cessate il fuoco pena una catastrofe umanitaria.
Ma che la "Saudi connection" nasconda corposi interessi dell'industria bellica nazionale lo si desume anche dalla relazione che il deputato Luigi Laquantiti (Pd) ha fatto in Commissione presentando le parti di competenza della difesa della legge di Stabilità per il 2016.
L'Arabia Saudita avrebbe ordinato ben 72 caccia Efa (European Fighter Aircraft - Eurofighter), che si sommano ai 12 ordinati dall'Oman e ai 28 dal Kuwait (tutti paesi impegnati nei bombardamenti in Yemen e, almeno due di essi, sospettati di finanziare il Califfato). Lo scrittore marocchino
Kamel Daoud definisce l'Arabia Saudita sul
New York Times come "un Daesh riuscito". Il settimanale
Famiglia Cristiana ha domandato apertamente alla Pinotti se ritiene morale la vendita delle armi ad un simile regime. Per noi non lo è. La lotta al terrorismo richiede efficacia e coerenza delle proprie azioni anche su questo versante.
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