
Marco Tosatti
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, offriamo alla vostra attenzione alcuni elementi di valutazione su quanto sta avvenendo in Medio Oriente e in particolare a Gaza. Buona lettura e condivisione.
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Il primo è questo commento di Avvenire, che ringraziamo per la cortesia:
Analisi. A Gaza si sta combattendo una guerra contro i bambini. Nell’indifferenza

Una bimba di Gaza, affamata, mostra una sua foto di prima della guerra sul telefonino. Da settimane gli aiuti alimentari alla Striscia sono bloccati da Israele – Ansa
Ci potrebbe essere un contrasto più tragico e doloroso di quello fra le ultime volontà di papa Francesco, che ha voluto la trasformazione della “papamobile” in una clinica veloce per i bambini di Gaza, e la decisione del governo israeliano di prolungare e ampliare la guerra, puntando all’occupazione della Striscia?
In questi giorni il giornale israeliano Haaretz, certo non un foglio liquidabile come antisemita, ha scritto che, se proprio vogliamo continuare a definire quanto avviene a Gaza con il termine di guerra, dobbiamo precisare come si tratti di una guerra di generali contro bambini. È confortante che siano ancora molte le voci in Israele di chi rifiuta la deriva razzista, fondamentalista e xenofoba del governo di ultradestra al potere; e che parte di quella società non rinunci a provare orrore verso la catastrofe umanitaria della popolazione palestinese e la cinica indifferenza governativa verso le sorti dei cittadini israeliani ancora ostaggi. Una catastrofe, va ricordato, frutto della deliberata volontà del primo ministro Netanyahu di continuare sine die la guerra, per permetterne la rioccupazione a lungo termine – con alcuni ministri che proclamano apertamente essere «per sempre» – e per avviare lo «spostamento» dei suoi abitanti, secondo quanto previsto dall’incommentabile piano del presidente Trump per creare una nuova «riviera del Mediterraneo».
In Europa, stretti fra la doverosa memoria delle nostre colpe storiche nei confronti del popolo ebraico e il timore di essere associati agli odiosi rigurgiti di antisemitismo, siamo spesso cauti nel giudicare le azioni del governo di Tel Aviv nei confronti dei palestinesi. Ma di fronte a queste decisioni, dinanzi alla vergogna di un blocco degli aiuti umanitari che dura da più di due mesi e che impedisce di portare acqua, cibo e medicinali alle donne, ai bambini e agli uomini che tentano di sopravvivere nella Striscia, non si può non scrivere che Netanyahu stia attuando una politica abietta, inconciliabile con gli ideali liberali. Anche l’ultima proposta del governo israeliano di permettere la distribuzione di aiuti di pura sopravvivenza tramite imprecisate “agenzie private”, sembra solo un escamotage per impedirli di fatto. E l’orrore di Gaza, purtroppo, è solo una tessera di un puzzle più ampio che la destra nazionalista o ultrareligiosa porta avanti per ricreare l’Israele biblico. In Cisgiordania siamo dinanzi a una occupazione strisciante, con la creazione continua di insediamenti ebraici illegali che spingono alla distruzione delle terre agricole palestinesi e all’evacuazione di villaggi. Sono quotidiani i soprusi e le violenze dei coloni israeliani, con la convivenza delle forze di sicurezza, contro la popolazione locale. Violenze, umiliazioni e minacce che non risparmiano la comunità cristiana e talora interferiscono con le sue pratiche religiose.
In Siria, la caduta del regime di al-Assad, ha creato una situazione magmatica che vede Israele intervenire con azioni mirate in quel Paese, di cui – va ricordato – occupa già le alture del Golan, annesse allo Stato ebraico senza il riconoscimento delle Nazioni Unite. La giustificazione formale è la difesa dei villaggi in Siria della minoranza drusa, dato che almeno 150.000 di essi vivono in Israele e molti servono nelle forze armate. Ma in tanti ormai sospettano che l’obiettivo vero sia un ampliamento dei territori siriani controllati.
Dinanzi a tutto ciò, l’inerte silenzio di buona parte della comunità internazionale appare deprimente, e mostra quanto ormai ci si stia assuefacendo al dilagante virus della logica di potenza, della realpolitik più cinica, che esalta la forza militare e irride chi crede nella forza della diplomazia e della pace. Sembra che non vi sia neppure più l’interesse di arrivare a una tregua permanente a Gaza: falliti i precedenti tentativi, si volge lo sguardo da un’altra parte. Del resto, le guerre e le crisi umanitarie non mancano nel mondo.
E invece bisogna ribadire con forza che una strada per fermare le armi a Gaza vada cercata con ostinazione e trovata. È necessario tentarlo per sottrarre due milioni di abitanti della Striscia dall’inferno in cui sono piombati da più di un anno e mezzo. Ma è necessario anche per Israele, che rischia di perdere se stesso nella convinzione che la sua impunità possa garantirgli l’onnipotenza.---
Ci sono immagini che non dovrebbero esistere.
Un uomo in divisa, un fucile, e un numero: 13 bambini. Non sono un trofeo, non sono un bersaglio. Sono vite interrotte. Eppure, in questa foto, c’è chi sorride, chi si vanta, come se la morte degli innocenti fosse un merito da esibire.
Il silenzio dell’Occidente davanti a queste atrocità è assordante. Un silenzio che non è distrazione: è complicità.
Per decenni ci hanno parlato di diritti umani, di civiltà, di giustizia. Ma quei valori sembrano valere solo per alcuni. Per altri – i più deboli, i più lontani, i non allineati – resta solo la rimozione, la censura, il fastidio.
Chi racconta queste verità viene spesso messo da parte, etichettato, oscurato. Ma il giornalismo – quello vero – non può restare muto di fronte alla disumanità. Non può accettare che l’uccisione di un bambino, qualunque sia la sua lingua o la sua terra, diventi una medaglia da appuntare.
In questo mondo confuso, servono meno esperti di geopolitica da salotto e più testimoni umani, disposti a guardare in faccia l’orrore e a chiamarlo con il suo nome: vergogna.
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Anche il Financial Times sembra accorgersi di qualcosa…
Il Financial Times accusa Israele e i governi occidentali. “Silenzio vergognoso su quanto accade a Gaza”

Il londinese Financial Times, il più importante quotidiano economico-finanziario al mondo, prende una posizione netta contro Israele in merito a quanto sta accadendo a Gaza e sull’inazione di Stati Uniti e paesi europei. Lo fa con un’analisi attribuita all’ Editorial Board, che esprime quindi la posizione ufficiale della testata, intitolato The West’s shameful silence on Gaza, il vergognoso silenzio dell’Occidente su Gaza.
“Da due mesi Israele blocca la consegna di tutti gli aiuti nella Striscia di Gaza, dove i tassi di malnutrizione infantile sono in aumento e gli allarmi sulla carestia si fanno sempre più forti. Dopo 19 mesi di conflitto che ha ucciso decine di migliaia di palestinesi e suscitato accuse di crimini di guerra contro Israele, Benjamin Netanyahu si prepara nuovamente a intensificare l’offensiva israeliana a Gaza (….). Questo sarebbe un disastro per 2,2 milioni di abitanti di Gaza che hanno già sopportato sofferenze inimmaginabili”, esordisce l’editoriale.
Netanyahu insiste sulla necessità di un’offensiva allargata per distruggere Hamas e liberare i 59 ostaggi rimasti. La realtà è che il primo ministro non ha mai elaborato un piano chiaro da quando l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 ha ucciso 1.200 persone e ha innescato la guerra. Il giornale non manca di rimarcare l’ipocrisia di molti paesi mediorientali. “I leader arabi sono infuriati per quanto Netanyahu sta facendo a Gaza, eppure festeggeranno l’arrivo di Trump con sontuose cerimonie, con promesse di investimenti multimiliardari e accordi per il commercio di armi”.
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Intanto Israele continua la sua opera di sterminio, rivolta specialmente ai testimoni dei crimini che vengono commessi a Gaza:

Mi manca il respiro
Yahya non è stato ucciso non solo da Israele, ma dal mondo intero con il suo vergognoso silenzio.
Era così felice per l’arrivo di sua figlia. Forse stava cercando del cibo per la moglie
Mi ha ricordato il suo collega Ayman, @aymanalgedi12 , ucciso anche lui mentre attendeva la nascita di sua moglie.
Le persone vengono massacrate in Palestina, davanti ai nostri occhi… siate la loro voce.
L’occupazione è nemica della vita non solo a quella dei palestinesi .
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E vedete questo video:

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Nel frattempo Meta, di proprietà di Mark Zuckerberg..

“Meta è contrariata dalla mia vittoria del Pulitzer”.
Con queste parole, Mosab Abu Toha, poeta e scrittore palestinese originario del campo profughi di Al-Shati a Gaza, ha commentato la decisione di Meta di sospendere il suo account Facebook pochi giorni dopo aver ricevuto il prestigioso Premio Pulitzer 2025.
La sospensione è avvenuta senza preavviso e senza una spiegazione ufficiale da parte della piattaforma.
Abu Toha è noto per la sua intensa attività letteraria che dà voce alle sofferenze del popolo palestinese. Il suo primo libro di poesie, Things You May Find Hidden in My Ear, ha ricevuto riconoscimenti internazionali, tra cui l’American Book Award e il Palestine Book Award. Nel 2017, ha fondato la Edward Said Library, la prima biblioteca pubblica di lingua inglese a Gaza.
Durante il genocidio a Gaza, Abu Toha ha contribuito con articoli e poesie a importanti pubblicazioni internazionali come The New Yorker, The Atlantic e The New York Times Magazine, offrendo testimonianze dirette delle atrocità vissute dalla popolazione civile. Nel novembre 2023, mentre cercava di evacuare con la sua famiglia, è stato detenuto e torturato dalle forze israeliane.
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