Renzi non ritira i ministri e aspetta "risposte". Conte teme la crisi pilotata e offre "percorsi" sul recovery. Pressing per evitare il voto in aula
Neanche le crisi sono più quelle di una volta, quando ogni giorno passato era un giorno guadagnato per far evolvere la situazione, in un senso o nell’altro. È la crisi dei giorni perduti, che ripete se stessa consumando scadenze annunciate come decisive, ma che decisive non sono. La prossima è il consiglio dei ministri, previsto per martedì prossimo. Perché il Tesoro aveva bisogno di un giorno in più per mettere le cifre, i renziani di un giorno in più per leggere. E nessuno, all’interno del governo, si stupirebbe se venisse chiesto un supplemento di tempo per approfondire la “bozza” da portare poi all’“interlocuzione” del Parlamento, per poi stendere la versione definitiva.
E se il clima racconta di un logoramento dei rapporti come se l’avventura fosse conclusa, gli atti politici raccontano una sorta di equilibrio del terrore. Perché Conte sa che il modo per sterilizzare Renzi c’è. Ed è la mossa che il leader di Italia Viva vuole ma, al tempo stesso teme: “Se proponesse il Conte ter – ha confidato ai suoi – come farei a dire di no? Glielo avevo proposto io per primo”. Sarebbe in fondo un successo politico nel Palazzo, un po’ meno agli occhi dell’opinione pubblica che, a torto o a ragione, direbbe che tutto questo casino è stato fatto solo per le poltrone. Però Conte questa mossa non la fa, nel timore che, una volta dimessosi, “quello mi silura”. E allora torna al mai sopito “piano a”: l’idea dello show down in Aula, la conta sul Recovery, per andare avanti con chi ci sta e, se non ci sono i numeri, precipitare a elezioni anticipate nel ruolo di leader. Il pallottoliere di palazzo Chigi indica che a palazzo Madama ci sarebbero 156 voti, dunque per andare avanti sulla carta ne basterebbero una manciata per andare avanti.
Scenario suggestivo per la sua curva di supporter, ma non per tutti. Sono stati proprio alcuni dei ministri pentastellati a lui più vicini, come Alfonso Bonafede a riferirgli che i gruppi sono piuttosto agitati. Nel corso di una riunione della delegazione di governo, in parecchi tra sottosegretari e viceministri hanno spiegato che “noi siamo con Conte, ma per salvargli la faccia non possiamo rischiare la pelle col voto anticipato e quindi va evitata la conta in Aula”. È un ragionamento di sopravvivenza che porta alla stessa conclusione cui è arrivato il Pd, dove c’è pure una forte articolazione interna, tra i ministri più contiani di Conte e capigruppo molto meno folgorati sulla via di Damasco di questo governo, a costo di arrivare alle elezioni: “In queste ore – sussurra un big del Nazareno – stiamo provando a farlo ragionare, un conto è andare in Parlamento per una informativa, un conto è andarci per un voto”.
Perché le crisi non sono più quelle di una volta, ma chi ancora ha una grammatica istituzionale, usa lo stesso alfabeto di una volta. E se qualcuno chiama il Quirinale per avere qualche delucidazione informale, si sentirà rispondere che se ne sono viste tante, ma per esperienza è difficile per chi cade in Aula poi ottenere un reincarico. E a quel punto il rischio di una crisi al buio è concreto. Buio non è diradato dall’eventualità di un governo raccogliticcio con i responsabili, dalla durata incerta e dalla stabilità discutibile. È stato Franceschini, uno che ha una certa esperienza di vita parlamentare, a spiegare: “Così non si va da nessuna parte, avremmo problemi di numeri nelle commissioni parlamentari”.
E se qualcuno sta provando a “far ragionare Conte”, Goffredo Bettini “sta provando a far ragionare Renzi”, da cui ha ricevuto un elenco piuttosto esigente di richieste su un nuovo programma e un nuovo governo, giudicate piuttosto esose. Però è un fatto che nemmeno Renzi compie ancora l’ultimo passo. La ministra Teresa Bellanova ha invitato il premier a prendere atto che l’esperienza è finita, ma ancora non ha preso atto delle sue dimissioni, le più minacciate della storia. Nell’attesa, è cambiato il paradigma, dal “siamo pronti a dimetterci” ad “aspettiamo risposte da Conte”, “faccia un gesto, si muova”, sia pur detto con maggiore foga.
Parliamoci chiaro: se è finita, ti dimetti, e finché non ti dimetti non è finita. E infatti non è finita, perché il percorso prospettato dal premier consente a tutti di aspettare risposte, in questa situazione di surplace rispetto alla quale l’indimenticabile Antonio Maspes era un principiante. Soprattutto adesso che la realtà, con la sua drammatizzazione oggettiva, sta entrando come il deus ex machina della tragedia greca, più forte della paralisi di questi attori. La vera notizia è che mercoledì Speranza annuncerà in Parlamento le restrizioni per venticinque milioni di italiani, col numero di morti che si avvicina a quota 80mila, provvedimento su cui sono tutti d’accordo, senza tante domande e tante risposte.
- Alessandro De AngelisViceDirettore
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