Secondo le ultime che arrivano dalle famose stanze dei famosi bottoni,
Giuseppe Conte, cui l’ego non fa difetto, soprattutto quando è
sapientemente accarezzato dai suoi brillanti comunicatori, sarebbe assai
tentato dalla “mossa” che fu fatale a gente assai più esperta come
Romano Prodi e Arturo Parisi, e tutti ricordano come andò a finire: la
conta in Aula. È bastato leggere le dichiarazioni di Renzi, lunedì sera,
ospite della trasmissione di Porro, per trovare conferma di tutti i propri
sospetti. Per la serie: è evidente che mi vuole fare fuori, non si può fare
nessuna crisi pilotata. E allora sono ricominciate le telefonate verso i
senatori, alla caccia di responsabili. Non trovandoli nel centrodestra qualche
squillo è arrivato a quelli di Italia Viva: “Ma vi rendete conto”, “se si va
votare vi rischiate”, eccetera, eccetera, col risultato che sono arrivate
all’orecchio di Renzi, segno che lusinghe e minacce non hanno fatto
breccia. Il quale Renzi ha preso carta e penna, anzi l’i-pad e ha scritto una
e-news in cui ribadisce di essere pronto a ritirare i ministri.
Per farla breve, siamo punto e accapo, col non trascurabile dettaglio che un altro
giorno è passato, con i suoi morti, i suoi contagi, le sue difficoltà sui vaccini. E
si continua a ciurlare nel manico, al punto che la famosa bozza sul Recovery, che
sarebbe dovuta arrivare ai leader di maggioranza, ancora non è pervenuta e, udite
udite, è pressoché certo che anche il consiglio dei ministri previsto per domani
slitterà. Ci sarebbero tutti i presupposti per intingere la penna nel calamaio
di una sana indignazione, magari riproponendo le parole del capo dello Stato
nel suo messaggio di fine anno, ove chiese “costruttori” capaci di decidere, per
ritrovarsi inconcludenti temporeggiatori. E magari chiedersi anche quousque
tandem lassù si può tollerare una situazione del genere, senza chiamare a
rapporto pubblicamente chi ha l’onore e l’onere di guidare il paese per chiedergli
se è in grado di garantire l’operatività del governo.
Lasciando da parte l’indignazione, limitiamoci all’amara descrizione. La
descrizione della scarsa consapevolezza di quel che sta accadendo. Una
verifica, pensata e impostata, sul presupposto ottimistico che la seconda ondata
sarebbe terminata e i vaccini arrivati in tempi brevi, si è trascinata in una nuova
fase della crisi che, anziché attuarsi, si è aggravata. Accade così in tutta Europa,
dove una terza ondata segnata da una maggiore velocità di contagi impone
prolungati lockdown e dove tutti i paesi sono alle prese con le difficoltà dei vaccini.
Accade in Italia, con i suoi surplus in termini di ritardi e inefficienze e il
collasso delle previsioni ipotizzate. E nell’affannoso tentativo di mettere qualche
pezza a colori, gialla o arancione a seconda dei giorni, per contemperare bisogni
della popolazione, ci si muove solo nell’ottica di mitigare la pandemia. Ma è
saltato il tracciamento, la tempistica sui vaccini, insomma, se mai vi è stato, un
orizzonte strategico.
Ecco, la crisi si allunga, intesa come pandemia e, invece di accorciarsi, si allunga
anche la crisi politica, gestita in modo arido, burocratico, senza connessione
sentimentale col paese. Una spudorata orgia politicista attorno a ciò che sarà,
il Recovery, che rimuove ciò che oggi è: gli ospedali che tornano a riempirsi.
Provate, in questo teatro dell’assurdo, a immaginare le elezioni con le urne nelle
scuole dove sono sospese le lezioni e magari utilizzate come luoghi per le
vaccinazioni: dammi la fiala, anzi no dammi la scheda.
È tutto qui il senso della crisi: l’incapacità di risolvere una strisciante crisi di governo
perché gli attori sono i protagonisti di una crisi di sistema più grande, ognuno
imprigionato dall’interesse della propria sopravvivenza, incapace di uno slancio
che raddrizzi il capovolgimento dei bisogni degli italiani. Chi cerca numeri in
Parlamento per rimanere aggrappato al potere, chi aspetta come il Pd, chi tace
come i Cinque stelle, chi, come Renzi, ha di fatto aperto la crisi ma, di tutti i terreni
possibili, ha scelto non il cuore della questione su cui battono paure, speranze,
aspettative degli italiani. Eppure nella prima fase fu proprio l’emergenza a dare a
questo governo (allora sul punto di franare sulla prescrizione) l’ubi consistam che
non aveva. Sia pur nell’irritualità dei dpcm e nel reality delle conferenze stampa
c’era un tentativo di parlare al paese, oggi affogato nell’ordinaria amministrazione,
come fosse un rinvio di Autostrade o Alitalia.
In attesa che arrivi la bozza, e con essa la data del cdm, ci si diletta con gli spifferi
su chi gestirà i servizi e con i nomi dei ministri dati in pasto all’opinione
pubblica attraverso i giornali, a partire dal titolare dell’Interno, finora lodata
perché “tecnica” e per una sobrietà così lontana dal predecessore, ora
sacrificabile per brama di potere di partiti esangui. Non proprio una figura
qualunque mentre sulle strade ai cittadini si chiedono le autocertificazioni su
dove andare. È evidente che tra Renzi e Conte finirà male. E se crisi sarà, sarà al
buio. È già buio pesto.
Secondo le ultime che arrivano dalle famose stanze dei famosi bottoni,
Giuseppe Conte, cui l’ego non fa difetto, soprattutto quando è
sapientemente accarezzato dai suoi brillanti comunicatori, sarebbe assai
tentato dalla “mossa” che fu fatale a gente assai più esperta come
Romano Prodi e Arturo Parisi, e tutti ricordano come andò a finire: la
conta in Aula. È bastato leggere le dichiarazioni di Renzi, lunedì sera,
ospite della trasmissione di Porro, per trovare conferma di tutti i propri
sospetti. Per la serie: è evidente che mi vuole fare fuori, non si può fare
nessuna crisi pilotata. E allora sono ricominciate le telefonate verso i
senatori, alla caccia di responsabili. Non trovandoli nel centrodestra qualche
squillo è arrivato a quelli di Italia Viva: “Ma vi rendete conto”, “se si va
votare vi rischiate”, eccetera, eccetera, col risultato che sono arrivate
all’orecchio di Renzi, segno che lusinghe e minacce non hanno fatto
breccia. Il quale Renzi ha preso carta e penna, anzi l’i-pad e ha scritto una
e-news in cui ribadisce di essere pronto a ritirare i ministri.
Per farla breve, siamo punto e accapo, col non trascurabile dettaglio che un altro
giorno è passato, con i suoi morti, i suoi contagi, le sue difficoltà sui vaccini. E
si continua a ciurlare nel manico, al punto che la famosa bozza sul Recovery, che
sarebbe dovuta arrivare ai leader di maggioranza, ancora non è pervenuta e, udite
udite, è pressoché certo che anche il consiglio dei ministri previsto per domani
slitterà. Ci sarebbero tutti i presupposti per intingere la penna nel calamaio
di una sana indignazione, magari riproponendo le parole del capo dello Stato
nel suo messaggio di fine anno, ove chiese “costruttori” capaci di decidere, per
ritrovarsi inconcludenti temporeggiatori. E magari chiedersi anche quousque
tandem lassù si può tollerare una situazione del genere, senza chiamare a
rapporto pubblicamente chi ha l’onore e l’onere di guidare il paese per chiedergli
se è in grado di garantire l’operatività del governo.
Lasciando da parte l’indignazione, limitiamoci all’amara descrizione. La
descrizione della scarsa consapevolezza di quel che sta accadendo. Una
verifica, pensata e impostata, sul presupposto ottimistico che la seconda ondata
sarebbe terminata e i vaccini arrivati in tempi brevi, si è trascinata in una nuova
fase della crisi che, anziché attuarsi, si è aggravata. Accade così in tutta Europa,
dove una terza ondata segnata da una maggiore velocità di contagi impone
prolungati lockdown e dove tutti i paesi sono alle prese con le difficoltà dei vaccini.
Accade in Italia, con i suoi surplus in termini di ritardi e inefficienze e il
collasso delle previsioni ipotizzate. E nell’affannoso tentativo di mettere qualche
pezza a colori, gialla o arancione a seconda dei giorni, per contemperare bisogni
della popolazione, ci si muove solo nell’ottica di mitigare la pandemia. Ma è
saltato il tracciamento, la tempistica sui vaccini, insomma, se mai vi è stato, un
orizzonte strategico.
Ecco, la crisi si allunga, intesa come pandemia e, invece di accorciarsi, si allunga
anche la crisi politica, gestita in modo arido, burocratico, senza connessione
sentimentale col paese. Una spudorata orgia politicista attorno a ciò che sarà,
il Recovery, che rimuove ciò che oggi è: gli ospedali che tornano a riempirsi.
Provate, in questo teatro dell’assurdo, a immaginare le elezioni con le urne nelle
scuole dove sono sospese le lezioni e magari utilizzate come luoghi per le
vaccinazioni: dammi la fiala, anzi no dammi la scheda.
È tutto qui il senso della crisi: l’incapacità di risolvere una strisciante crisi di governo
perché gli attori sono i protagonisti di una crisi di sistema più grande, ognuno
imprigionato dall’interesse della propria sopravvivenza, incapace di uno slancio
che raddrizzi il capovolgimento dei bisogni degli italiani. Chi cerca numeri in
Parlamento per rimanere aggrappato al potere, chi aspetta come il Pd, chi tace
come i Cinque stelle, chi, come Renzi, ha di fatto aperto la crisi ma, di tutti i terreni
possibili, ha scelto non il cuore della questione su cui battono paure, speranze,
aspettative degli italiani. Eppure nella prima fase fu proprio l’emergenza a dare a
questo governo (allora sul punto di franare sulla prescrizione) l’ubi consistam che
non aveva. Sia pur nell’irritualità dei dpcm e nel reality delle conferenze stampa
c’era un tentativo di parlare al paese, oggi affogato nell’ordinaria amministrazione,
come fosse un rinvio di Autostrade o Alitalia.
In attesa che arrivi la bozza, e con essa la data del cdm, ci si diletta con gli spifferi
su chi gestirà i servizi e con i nomi dei ministri dati in pasto all’opinione
pubblica attraverso i giornali, a partire dal titolare dell’Interno, finora lodata
perché “tecnica” e per una sobrietà così lontana dal predecessore, ora
sacrificabile per brama di potere di partiti esangui. Non proprio una figura
qualunque mentre sulle strade ai cittadini si chiedono le autocertificazioni su
dove andare. È evidente che tra Renzi e Conte finirà male. E se crisi sarà, sarà al
buio. È già buio pesto.
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