Tre giorni di tempo per il "Lodo Bettini" su programma e riassetto. Renzi pronto al ritiro dei ministri il 6/1. Alternativa Conte ter o nuovo Governo. Non si vota, la legislatura continua, per pandemia
Il primo scenario si è già consumato, in questa crisi strisciante la cui deadline è fissata il 6 gennaio: “O Conte arriva per quella data con una proposta complessiva – è il ragionamento di Renzi ai suoi – oppure ritiro i ministri e a quel punto non c’è più Conte”. Lo scenario che si è consumato, nelle frequenti telefonate di Zingaretti e Bettini con palazzo Chigi nelle ultime 48 ore è quello dello showdown in Aula, prospettato dal premier nel corso della conferenza stampa di fine anno. La cosiddetta “linea Travaglio”, che prevedeva di “sfanculare” Renzi in Parlamento, e andare avanti imbarcando responsabili, disponibili e novelli Scilipoti, insomma il partito della cadrega: “Non solo non ci sono i numeri – è il ragionamento che Conte si è sentito ripetere - ma anche se ci fossero ne usciremmo massacrati, non si può gestire un’emergenza del genere con una maggioranza raccogliticcia”.
Con esso, sparisce dai radar anche la diretta conseguenza di un gioco del genere a somma zero, non a caso nessuno nomina più la parola elezioni, neanche strumentalmente. E non solo perché è lunare l’eventualità di andare al voto in una situazione segnata da una ripresa dell’emergenza sanitaria, in cui il Cts ha suggerito anche di rinviare le urne in Calabria, figuriamoci su tutto il territorio nazionale. Ma anche per ragioni tutte politiche: il rischio, fotografato dai sondaggi con l’attuale legge elettorale, di dare il paese al centrodestra, che conquisterebbe in un colpo solo Governo, maggioranza per il Quirinale e numeri per cambiare la Costituzione. Con l’aggiunta che un’eventuale lista Conte toglierebbe voti al Pd, ancorandolo alle percentuali del 2018, se non meno. Ovvero: punire se stessi, perdere le elezioni, pur di far fuori Renzi. Più che una linea, un atto di masochismo.
Ecco perché, finito il primo round che oggettivamente si è aggiudicato Renzi, i cui parlamentari magari soffrono ma non s’offrono, il premier ha accettato il consiglio di cercare una “soluzione politica” di qui al giorno del Consiglio dei ministri sul Recovery, ancora previsto per il 6 gennaio. È attorno a questa soluzione che è iniziata una triangolazione tra palazzo Chigi, il Nazareno e il leader di Italia Viva. Il “lodo Bettini”, fondato sulla consapevolezza che Renzi non si ferma perché non vuole e, per come l’ha portata avanti, a questo punto non può indietreggiare di un centimetro.
Il “lodo” prevede quattro punti che vanno, e non poco, incontro alle richieste renziane. Il primo prevede un’ulteriore revisione del Recovery, diminuendo le voci di spesa e aumentando le risorse in investimenti. Il secondo riguarda un parziale, non totale, utilizzo del Mes per la spesa sanitaria da destinare all’emergenza. Il terzo la famosa delega i Servizi, prevedendo che, nell’ambito delle prerogative che la legge istitutiva dell’Autorità attribuisce al premier, possa essere ceduta a una figura autorevole, di esperienza e in grado di occuparsene a tempo pieno. Sulla base di un accordo su questi punti, il quarto prevede il “riassetto” della squadra di governo, il più delicato: Conte si è detto disponibile a offrire alcune caselle, in particolare quelle dell’Interno, della Scuola e delle Infrastrutture (tre donne), lasciando ai partiti libertà di scelta, ma l’ipotesi è stata già bocciata anche dal Pd.
Il punto politico è che il premier vorrebbe ancora evitare una crisi anche “pilotata”, come si diceva una volta (accordo su una nuova lista di nomi, dimissioni, reincarico lampo e giuramento della nuova squadra) perché teme che i piloti lo portino a sbattere: “Ha paura – sussurrano fonti del Pd che ne hanno raccolto le preoccupazioni – che, una volta che si dimette, Renzi pone il veto e addio”. Tuttavia senza l’atterraggio di un ter è complicato anche il decollo della mediazione.
E se dunque il primo scenario, quello dell’urto, non c’è più, i prossimi tre giorni serviranno a testare la praticabilità del secondo scenario, che è tutt’uno con la permanenza di Conte a palazzo Chigi. Se cioè si può andare avanti con Conte o vanno esplorate le alternative: ad esempio, i Cinque stelle accettano Franceschini con Di Maio vicepremier? È di questo che si parla nei palazzi della politica. Non più “Conte o voto” ma “Conte ter o nuovo governo”. I bookmaker di Italia Viva, piuttosto abili nel tenere alta la tensione, ad oggi danno queste maliziose quotazioni: “Conte ter al 33 per cento, un governo politico a maggioranza invariata al 33, Draghi al 33”.
L’epilogo è chiaro: il Conte 2 non c’è più, e se il premier, di qui al 6 non propone quantomeno il proposito di nuovo governo – operazione complicata assai - fondato su un nuovo programma, il ritiro della delegazione di Italia Viva è scontata. Ma il passo dopo è un’incognita: ciò che un mese fa Renzi avrebbe firmato, quando dopo la vittoria di Biden andò a palazzo Chigi ad offrire un patto che avrebbe portato al rimpasto, oggi è stato anch’esso consumato dalla tensione di queste settimane. Si direbbe: tutto questo casino per le poltrone? Sarebbe una vittoria politica di Renzi per gli addetti ai lavori, ma comunicativamente non è il massimo.
E poi la politica è fatta anche di sentimenti e risentimenti, come quelli che avvolgono il rapporto tra il presidente del Consiglio e l’ex segretario del Pd che, in questa vicenda ha intercettato un umore diffuso proprio del Pd e, a giudicare dall’eloquente silenzio di Di Maio, anche nei Cinque stelle. C’è tempo. Questi tre giorni servono a capire se si va avanti con Conte, ma la legislatura continua. Per pandemia. Anche se del come è stata gestita non se ne parla in questa singolare verifica.
Il primo scenario si è già consumato, in questa crisi strisciante la cui deadline è fissata il 6 gennaio: “O Conte arriva per quella data con una proposta complessiva – è il ragionamento di Renzi ai suoi – oppure ritiro i ministri e a quel punto non c’è più Conte”. Lo scenario che si è consumato, nelle frequenti telefonate di Zingaretti e Bettini con palazzo Chigi nelle ultime 48 ore è quello dello showdown in Aula, prospettato dal premier nel corso della conferenza stampa di fine anno. La cosiddetta “linea Travaglio”, che prevedeva di “sfanculare” Renzi in Parlamento, e andare avanti imbarcando responsabili, disponibili e novelli Scilipoti, insomma il partito della cadrega: “Non solo non ci sono i numeri – è il ragionamento che Conte si è sentito ripetere - ma anche se ci fossero ne usciremmo massacrati, non si può gestire un’emergenza del genere con una maggioranza raccogliticcia”.
Con esso, sparisce dai radar anche la diretta conseguenza di un gioco del genere a somma zero, non a caso nessuno nomina più la parola elezioni, neanche strumentalmente. E non solo perché è lunare l’eventualità di andare al voto in una situazione segnata da una ripresa dell’emergenza sanitaria, in cui il Cts ha suggerito anche di rinviare le urne in Calabria, figuriamoci su tutto il territorio nazionale. Ma anche per ragioni tutte politiche: il rischio, fotografato dai sondaggi con l’attuale legge elettorale, di dare il paese al centrodestra, che conquisterebbe in un colpo solo Governo, maggioranza per il Quirinale e numeri per cambiare la Costituzione. Con l’aggiunta che un’eventuale lista Conte toglierebbe voti al Pd, ancorandolo alle percentuali del 2018, se non meno. Ovvero: punire se stessi, perdere le elezioni, pur di far fuori Renzi. Più che una linea, un atto di masochismo.
Ecco perché, finito il primo round che oggettivamente si è aggiudicato Renzi, i cui parlamentari magari soffrono ma non s’offrono, il premier ha accettato il consiglio di cercare una “soluzione politica” di qui al giorno del Consiglio dei ministri sul Recovery, ancora previsto per il 6 gennaio. È attorno a questa soluzione che è iniziata una triangolazione tra palazzo Chigi, il Nazareno e il leader di Italia Viva. Il “lodo Bettini”, fondato sulla consapevolezza che Renzi non si ferma perché non vuole e, per come l’ha portata avanti, a questo punto non può indietreggiare di un centimetro.
Il “lodo” prevede quattro punti che vanno, e non poco, incontro alle richieste renziane. Il primo prevede un’ulteriore revisione del Recovery, diminuendo le voci di spesa e aumentando le risorse in investimenti. Il secondo riguarda un parziale, non totale, utilizzo del Mes per la spesa sanitaria da destinare all’emergenza. Il terzo la famosa delega i Servizi, prevedendo che, nell’ambito delle prerogative che la legge istitutiva dell’Autorità attribuisce al premier, possa essere ceduta a una figura autorevole, di esperienza e in grado di occuparsene a tempo pieno. Sulla base di un accordo su questi punti, il quarto prevede il “riassetto” della squadra di governo, il più delicato: Conte si è detto disponibile a offrire alcune caselle, in particolare quelle dell’Interno, della Scuola e delle Infrastrutture (tre donne), lasciando ai partiti libertà di scelta, ma l’ipotesi è stata già bocciata anche dal Pd.
Il punto politico è che il premier vorrebbe ancora evitare una crisi anche “pilotata”, come si diceva una volta (accordo su una nuova lista di nomi, dimissioni, reincarico lampo e giuramento della nuova squadra) perché teme che i piloti lo portino a sbattere: “Ha paura – sussurrano fonti del Pd che ne hanno raccolto le preoccupazioni – che, una volta che si dimette, Renzi pone il veto e addio”. Tuttavia senza l’atterraggio di un ter è complicato anche il decollo della mediazione.
E se dunque il primo scenario, quello dell’urto, non c’è più, i prossimi tre giorni serviranno a testare la praticabilità del secondo scenario, che è tutt’uno con la permanenza di Conte a palazzo Chigi. Se cioè si può andare avanti con Conte o vanno esplorate le alternative: ad esempio, i Cinque stelle accettano Franceschini con Di Maio vicepremier? È di questo che si parla nei palazzi della politica. Non più “Conte o voto” ma “Conte ter o nuovo governo”. I bookmaker di Italia Viva, piuttosto abili nel tenere alta la tensione, ad oggi danno queste maliziose quotazioni: “Conte ter al 33 per cento, un governo politico a maggioranza invariata al 33, Draghi al 33”.
L’epilogo è chiaro: il Conte 2 non c’è più, e se il premier, di qui al 6 non propone quantomeno il proposito di nuovo governo – operazione complicata assai - fondato su un nuovo programma, il ritiro della delegazione di Italia Viva è scontata. Ma il passo dopo è un’incognita: ciò che un mese fa Renzi avrebbe firmato, quando dopo la vittoria di Biden andò a palazzo Chigi ad offrire un patto che avrebbe portato al rimpasto, oggi è stato anch’esso consumato dalla tensione di queste settimane. Si direbbe: tutto questo casino per le poltrone? Sarebbe una vittoria politica di Renzi per gli addetti ai lavori, ma comunicativamente non è il massimo.
E poi la politica è fatta anche di sentimenti e risentimenti, come quelli che avvolgono il rapporto tra il presidente del Consiglio e l’ex segretario del Pd che, in questa vicenda ha intercettato un umore diffuso proprio del Pd e, a giudicare dall’eloquente silenzio di Di Maio, anche nei Cinque stelle. C’è tempo. Questi tre giorni servono a capire se si va avanti con Conte, ma la legislatura continua. Per pandemia. Anche se del come è stata gestita non se ne parla in questa singolare verifica.
- Alessandro De AngelisViceDirettore
- Alessandro De AngelisViceDirettore
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