lunedì 24 agosto 2020

Ugo Magri x HuffingtonPost - La trappola del rimpasto di Governo

 La trappola del rimpasto di

Fiutato l’inganno, Giuseppe Conte sta prendendo tempo perché sa che non uscirebbe vivo. Anzi, più Italia Viva, parte del Pd e i 5 stelle glielo sollecitano nel suo stesso interesse, più il premier si insospettisce e traccheggia.


Ugo MagriGiornalista

Qualche mente raffinata e perversa ha escogitato una trappola. Ma l’Avvocato del popolo ingenuo non è. Fiutato l’inganno, sta prendendo tempo. Come Bertoldo che non trovava mai l’albero dove farsi impiccare, anche lui accampa mille scuse per rinviare un rimpasto di governo che in molti gli propongono ma da cui non uscirebbe vivo. Anzi, più Italia Viva, una parte del Pd e i Cinque stelle glielo sollecitano nel suo stesso interesse, più il premier si insospettisce e traccheggia. È giunto alla conclusione che cambierà la squadra ministeriale solo se vi sarà davvero costretto; altrimenti ne farà volentieri a meno. E per capire dove stia la polpetta avvelenata, proviamo a metterci nei panni di Giuseppe Conte.

A rischio licenziamento risultano cinque ministre: tre ripudiate dai grillini (Nunzia Catalfo, Lucia Azzolina, Paola Pisano), due contestate dai Dem (Paolo De Micheli e Luciana Lamorgese). Per rimpiazzarle con un rimpasto, Conte dovrebbe chiamarsele una a una, magari invitarle a cena, e indurle con le buone a cedere la poltrona. Sperticandosi in elogi, si capisce; chiarendo che non di bocciatura si tratterebbe perché ciascuna di loro è stata di gran lunga la migliore; ma purtroppo c’è una folla di personaggi che sgomita (questa sarebbe la giustificazione del premier) e a bordo del governo non c’è posto per tutti, dunque qualcuna dovrà sacrificarsi per il bene comune.

Seguirebbero drammi, musi lunghi, disperazione. Per restare insensibile Conte, al posto del cuore, dovrebbe avere un bidone di spazzatura. E se qualcuna delle ministre cedesse, firmando le dimissioni, il premier troverebbe immediatamente un nuovo ostacolo: il passaggio parlamentare. Sergio Mattarella non risulta sia stato interpellato a riguardo; se mai lo fosse, però, direbbe a Conte che 2 o 3 cambi di poltrona non potrebbero passare sotto silenzio; esigerebbero un dibattito davanti alle Camere seguito da un voto di fiducia. Perciò Conte, dopo aver liberato un po’ di poltrone, dovrebbe compiere un ulteriore miracolo: accontentare l’intera maggioranza che lo sostiene, incominciando da Matteo Renzi che pretende un ministero in più; con il Pd che non glielo vuol dare; coi Cinque stelle che non sanno cosa volere. E tutto questo nel migliore dei casi, perché la maionese potrebbe impazzire.

Per esempio: se qualche ministra rispondesse seccamente no, “col cavolo che mi dimetto”, e si mostrasse determinata a resistere, Conte non saprebbe come farla fuori. Colpa dei nostri Padri costituenti i quali, nello scrivere l’articolo 92, dimenticarono di prevedere un potere di revoca in capo al premier. Ecco una vera riforma mancata, di cui però nessuno si cura: la possibilità di avvicendare  i ministri. Col risultato che questi, una volta nominati dal presidente della Repubblica, diventano tutti inamovibili. Imbullonati alle loro poltrone. Per schiodarli contro la loro volontà esistono due sole maniere. La prima è una mozione individuale di sfiducia votata dalla stessa maggioranza. C’è un precedente nella storia e risale al 1995, quando l’allora Guardasigilli Filippo Mancuso venne cacciato dal governo Dini per avere disposto delle ispezioni (allora considerate sacrileghe) sull’operato del “pool” di Mani Pulite. Ma Conte quali delitti potrebbe addossare alle sue ministre? Al massimo di non combinare nulla.

L’altra strada è azzerare tutto con una bella crisi: allora sì che il premier potrebbe ridisegnare l’intera squadra, liberandosi dei pesi morti. Sarebbe la via maestra o, se si preferisce, l’uovo di Colombo. Però Conte, qualora scegliesse di aprire la crisi, dovrebbe a sua volta dimettersi; dopodiché non è detto che riceverebbe di nuovo l’incarico. Durante le consultazioni sul Colle a qualcuno, magari, potrebbe venire in mente di proporre un nome diverso dal suo; Mattarella sarebbe obbligato a prenderne atto e così Conte, in un amen, verrebbe risucchiato nel mondo degli ex. Ecco perché, quando gli parlano di rimpasto, il presidente del Consiglio finge di non sentire. Mena il can per l’aia. E intanto si tiene strette le sue ministre, comprese le più improbabili. 

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