Pietro Paganini, economista e professore universitario, analizza al DiariodelWeb.it la crisi economica e le ricette della politica: «Governo debole, non può fare la rivoluzione»
Superata la crisi sanitaria, ora l'Italia si ritrova a fare i conti con quella economica, sintetizzata da un numero: il -12,4% del Pil nel secondo trimestre, una contrazione senza precedenti. Il governo ha risposto con l'atteso decreto Agosto, che contiene misure per 25 miliardi di euro, per un totale di 100 miliardi di interventi dall'inizio della pandemia. Ma le scelte dell'esecutivo sono sufficienti e, soprattutto, le ricette vanno nella direzione giusta? Il DiariodelWeb.it ha fatto il punto con l'economista Pietro Paganini, professore alla Temple University di Philadelphia e alla John Cabot University di Roma.
Professor Pietro Paganini, a che punto è la crisi economica in Italia?
La crisi dell'Italia era già grave e drammatica prima del Covid: il Paese era stagnante, non riusciva a creare un mercato del lavoro dinamico, né ad aumentare la propria produttività. Poi è arrivata la pandemia, che ci ha messo un carico mostruoso. E infatti, nonostante i nostri numeri del contagio siano attualmente i migliori, dal punto di vista economico siamo quelli che subiamo più di tutti in Europa....
Il Recovery Fund può rappresentare una soluzione?
L'iniezione di danaro pubblico, in questo caso di natura europea, era una delle poche soluzioni a disposizione. Se funzionerà o meno dipenderà da come saranno investiti i soldi.
Insomma, l'Europa ha fatto la sua parte?
Sì, perché ha compiuto un grande passo verso una politica economica più comunitaria. Ma anch'essa si è assunta una grossa responsabilità, perché sta per elargire una somma enorme, che però ha i suoi costi. Ovvero: l'aumento del budget, dunque del contributo dei cittadini dei singoli Stati, l'emissione di un debito comune e l'introduzione di tasse europee. Il che significa che anche il bilancio europeo, come quello italiano, si baserà sulle previsioni di entrate, che non sempre vengono rispettate. Con questa politica, il nostro debito nel corso degli anni è andato esplodendo.
Dunque anche il debito dell'Europa rischia di esplodere come il nostro?
Intanto finirà sul mercato, quindi potrà essere comprato: e sappiamo bene che, quando il debito ce l'hanno in mano altri, non si è mai al sicuro. E poi andrà gestito in modo responsabile: se faranno come l'Italia, finiremo tutti male.
E il governo italiano, invece, che responsabilità ha, ora che deve scegliere come spendere questi soldi?
Non vorrei essere nei loro panni, in questo momento. La politica del governo prevede molti bonus e incentivi, per aumentare i consumi e, di conseguenza, far ripartire le aziende, far crescere il Pil e così anche le entrate fiscali. Capisco che questa sia una politica di emergenza, ma crea un'ulteriore complicazione fiscale, non è per nulla costruttiva, e non è detto che darà una spinta reale all'economia. Intanto il bilancio sta andando sempre più a debito e i soldi, da qualche parte, dovranno comunque rientrare.
Quindi ci sarebbero modi migliori di spendere i soldi del Recovery Fund?
Dovrebbero essere usati per investire sull'innovazione, sulle infrastrutture e sulle politiche del lavoro attive, che consentano alle aziende di fare investimenti e quindi di assumere. Solo così in Italia continueremmo a realizzare prodotti unici, che non sa produrre nessun altro. Con una politica dei consumi bassi, con la flat tax entro 60 mila euro e con questa specie di reddito di cittadinanza ci ritroveremo intere fasce di popolazione che si accontenteranno della decrescita felice. E il Paese finirà per vivacchiare, per potersi permettere solo i prodotti scadenti di Amazon e per vedersi comprare da altri tutto il know how. Insomma, diventeremo una succursale della Cina.
Mi sta dicendo che è contrario sia alla flat tax che al reddito di cittadinanza?
Al contrario: penso che se si adottano queste misure debbano valere per tutti, non solo per alcuni. Credo di essere uno dei pochi liberali che guarda con occhio quasi favorevole al reddito di cittadinanza, nel contesto di un mercato del lavoro dinamico, in cui non ci sono più rapporti continuativi e si entra e si esce dalle aziende. Il concetto è: se io perdo il lavoro, posso contare su quella risorsa per rieducarmi e riformarmi. Così avrebbe un senso. Ma se lo si concede soltanto ad alcuni, come accade da noi, l'unico effetto è quello di creare una cultura lassista. Lo stesso vale per la tassa piatta, che ha certamente contribuito a semplificare, ma finisce per spingerti dentro il limite di 60 mila euro.
Quindi si tratta di buone idee, ma realizzate male?
Il motivo per cui sono state realizzate male è che questo governo non ha la forza di fare la rivoluzione. Quello che mi piace del Movimento 5 stelle è che hanno sempre colto la necessità del cambiamento, ma non ha gli strumenti né politici né culturali per realizzarlo.
E questo Mes, sul quale si sta scatenando una sorta di guerra santa?
Io non ho un approccio ideologico. L'Italia ha bisogno di soldi da investire e li può prendere ovunque, purché a condizioni di convenienza: non solo finanziaria, ma anche di termini legali. Nel caso del Mes, purtroppo, ci sono dei dubbi, perché è un organismo che risponde solo ad un pezzo della Ue. Non risponde al parlamento europeo, cioè ai cittadini; risponde solo ad alcuni Paesi europei e non a tutti; c'è dentro la Commissione europea con la troika, e questo è già un campanellino d'allarme; prende le decisioni di nascosto, senza dover pubblicare gli atti; non risponde al diritto europeo, ma a quello internazionale.
Tutto questo cosa significa?
Che sostanzialmente il Mes è una banca del Lussemburgo. Quindi possiamo anche accettare questi benedetti 37 miliardi dal Mes, ma sedendoci prima ad un tavolo e negoziando condizioni chiare che ci tutelino: ad esempio levando di mezzo la troika. Invece prendere questi soldi fregandosene di cosa sia il Mes è da sciocchi, perché significa nascondere ai cittadini che qualcosa non va. E il rischio è che i cittadini si infurino e vadano ad accrescere le file dei No Euro.
E allora perché il Pd insiste tanto con questi 37 miliardi, quando ne abbiamo già ottenuti 209 dal Recovery Fund?
La loro risposta è che i soldi del Mes arrivano subito. Ma mi lascia un po' sospettoso. Quest'ansia e questa morbosità mi fanno pensare che ci sia qualcosa che ci sfugge, che non sappiamo.
Un altro tema che la vede schierata in prima linea è il referendum sul taglio dei parlamentari, che si terrà il 20 e 21 settembre. Qual è la sua posizione?
Non credo che il problema dell'Italia sia solo il malfunzionamento del parlamento e neanche che la riduzione del numero dei parlamentari salvi il Paese. Però la politica in questi anni ha lavorato male e ha sbagliato, dunque ora ha il dovere di dare un segnale di cambiamento ai cittadini. Tagliare i parlamentari da 945 a 600 sarebbe un segnale di responsabilità e un tentativo di far funzionare meglio le istituzioni. Nonché un modo migliore per interpretare la rappresentatività: non più unicamente numerica, ma basata sulle idee e sui progetti. Continuare ad opporsi perché questa misura metterebbe a rischio la democrazia significa prendere ancora in giro i cittadini.
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