Redazione
Il Presidente di Confindustria: «O tra Governo e parti sociali lavoriamo tutti uniti a un Grande Patto per l’Italia, oppure entriamo in una crisi drammatica, dalla quale rischiamo di non uscire più».
Quelli che l'Italia sta vivendo sono «giorni decisivi: o tra Governo e parti sociali ci confrontiamo, ci ascoltiamo e lavoriamo tutti uniti a un grande patto oppure entriamo in una crisi drammatica, dalla quale rischiamo di non uscire più». Lo dice il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, che, in un'intervista al quotidiano «La Stampa», afferma che si aspettava «un agosto completamente diverso». Invece, è «tutto fermo», sottolinea. A partire dal «piano per le riforme Ue» ai «progetti sanitari per attivare il prestito del Mes».
Sono fermi anche «400 decreti attuativi», aggiunge ricordando che in compenso sulla scuola «non si capisce nulla, non sappiamo se ripartirà e abbiamo sprecato tre settimane a discutere di banchi a rotelle». Secondo Bonomi, l'esecutivo «non è in grado di ristabilire la fiducia». Insomma, la politica fa peggio del Covid. «Lo ridirei anche oggi», conclude Bonomi che lamenta «un radicato pregiudizio ideologico e anti-industriale: quando abbiamo ricevuto minacce di morte e lettere con proiettili non si è alzata una sola voce per esprimerci solidarietà».
«La gente non si fida»
Nel decreto agosto «c'è un timido segnale, ma non è quello che serve al Paese - prosegue il leader di Confindustria - capisco Gualtieri che predica ottimismo, ma non è così che si raggiunge l'obiettivo. E' proprio la fiducia che manca e la prova è nel boom dei depositi bancari: la gente non si fida, per questo non muove i soldi dal conto corrente. Se vuoi lanciare un'operazione fiducia lo devi fare con chiarezza e trasparenza. Qui mancano sia l'una che l'altra».
Secondo Bonomi a dirlo sono i fatti: «Cento miliardi impegnati nei decreti incluso il decreto agosto. Tanti soldi, in effetti, la metà degli aiuti previsti dal recovery fund. Peccato però che siano quasi tutti bonus a pioggia. Le esperienze del passato dimostrano che misure del genere danno sempre risultato zero».
Il presidente dell'associazione di viale dell'Astronomia ricorda di aver presentato «il 16 luglio la nostra proposta su come riformare ammortizzatori sociali e politiche attive del lavoro: nessuna risposta. Abbiamo presentato le nostre idee su Italia 2020/2030, consegnando al Governo un documento completo: nessuna risposta. Abbiamo più volte detto che sul fisco serve una riforma organica per le persone fisiche e per le imprese, chiedendo un sistema tributario che sia leva per la competitività e non strumento punitivo per fare cassa: nessuna risposta».
«1 milione di posti di lavoro a rischio»
Senza un intervento del Governo sul lavoro «rischiamo una gigantesca macelleria sociale». E' quanto afferma il presidente di Confindustria che ribadisce però il no delle imprese al blocco dei licenziamenti.
«Noi abbiamo detto che nella prima fase dell'emergenza l'allargamento della Cig e il blocco dei licenziamenti erano interventi giusti - sottolinea - ma abbiamo aggiunto che contestualmente dobbiamo ragionare tutti insieme su una graduale exit strategy dall'economia assistita e su un nuovo sistema di protezione sociale. Per questo mi aspettavo una reazione immediata e positiva alla nostra proposta da parte del Governo e dei sindacati. Ma purtroppo non c'è stata».
Secondo Bonomi sono a rischio oltre un milione di posti di lavoro: «Temo di sì. Un milione di posti di lavoro bruciati resta un numero purtroppo molto credibile. Il Governo non ha una visione sul dopo, la riorganizzazione delle filiere del valore non c'è stata, il mercato è pietrificato. Il rischio di un'emorragia è serio».
Tutto questo si può arginare «ridisegnando il sistema della protezione sociale, come noi abbiamo chiesto ai primi di luglio - aggiunge - ma adesso è più difficile, perché si è perso tempo prezioso». A Cgil, Cisl e Uil che accusano Confindustria di non voler rinnovare i contratti, Bonomi risponde che «siamo i primi a volerli rinnovare. E chi ci accusa del contrario è un bugiardo. Ma noi chiediamo che chi sottoscrive i patti poi si impegni a rispettarli. Questo non sta avvenendo rispetto alle firme sindacali, al patto interconfederale del 2018, in cui insieme fissammo sia criteri di rappresentanza che il principio di contratti di produttività. Noi vogliamo rinnovi contrattuali agganciati agli aumenti di produttività. E vogliamo dare più soldi ai lavoratori per welfare aziendale, previdenza integrativa, formazione e assegni di ricollocazione. Ai lavoratori, non alle casse sindacali. Come ci viene invece chiesto, per esempio, nel contratto degli alimentari. Serve dire la verità, questi sono i punti del dissenso, non che non vogliamo i contratti. Chi ci accusa del contrario cerca lo scontro».
«Tridico vuole screditare le imprese»
Il presidente dell'Inps, Pasquale Tridico, «ha parlato di 234mila imprese che hanno preso la Cig senza averne diritto. Bene, anzi male. A quel punto abbiamo chiesto: quante sono le imprese che avete denunciato? Silenzio. Quante sono, almeno per categoria? Silenzio. Quali sono le imprese che hanno riaperto per prendere la Cig o che l'hanno presa pur avendo lavoratori in nero? Silenzio. Ho il diritto di sapere, perché se ho queste informazioni io, quelle imprese saranno messe fuori da Confindustria con effetto immediato. Ma finora il signor Tridico non me le ha fornite».
Il leader degli industriali si chiede se «queste imprese hanno veramente violato la legge o il criterio del fatturato non era un parametro previsto per richiedere la Cig? Mi viene qualche dubbio. Tridico vuole forse screditare l'industria? E per conto di chi? Ecco, questa è l'Italia che non vogliamo, pervasa da un sentimento anti-industriale».
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