(Vittorio Feltri – Libero Quotidiano) –
Riassumo la vicenda in poche righe. Una rom leggermente incavolata afferma: sarebbe bello piantare un colpo di pistola in testa a Salvini. Il quale risponde a tono: taci zingaraccia. Non è stato un battibecco fra aristocratici. Succede. Il punto è un altro. Il Pd, un partito e non un postribolo, si è avventato subito contro il leader leghista, rimproverandolo di aver definito zingaraccia una signora, mentre ha sorvolato su quanto questa avesse augurato a Matteo, cioè una rivoltellata nel cranio. Secondo i dem in sostanza è meno grave una pistolettata nelle tempie di un leader che ha utilizzato un termine ormai giudicato politicamente scorretto quale zingara o zingaraccia. Il che non indigna ma dimostra quanto la sinistra abbia perso il lume della ragione, ammesso che l’ abbia mai avuto...
Cosicché mi è venuta voglia di estrarre dal cassetto il capitolo di un libro che non ho mai pubblicato, in cui dico che un tempo si bruciavano i libri all’ indice o comunque sgraditi ai dominatori conformistici del momento, e ora addirittura si fa la guerra alle parole, al vocabolario, come se il linguaggio tradizionale e popolare fosse da bandire...
*** Distruggere un libro è un crimine contro l’ umanità. Eppure certi roghi, come la distruzione di intere biblioteche, erano pratiche non inusuali in passato, quando i volumi venivano considerati potenzialmente pericolosi o fuorvianti, non in linea con il pensiero dominante dell’ epoca, o con un determinato regime, allora venivano eliminati. Nell’ anno 642 le truppe arabe che conquistarono l’ Egitto, incenerirono i famosi tomi di Alessandria nonché quelli custoditi su ordine del califfo Omar. Diversi secoli più tardi il frate Girolamo Savonarola organizzò a Firenze, nel febbraio del 1497, il “falò delle vanità”, che non era una festa in spiaggia con annessa sfilata in costume da bagno, bensì un incendio di opere artistiche, considerate immorali.
Tra il 1930 ed il 1945, invece, i nazisti bruciarono tutti i testi di autori ebrei, o scritti da oppositori politici. Il 10 maggio del 1933, in particolare, in varie città tedesche, i nazisti organizzarono fuochi con le biblioteche delle università.
In Italia, nel 1961, nel cortile della questura di Casbeno a Varese fu realizzato l’ ultimo massacro di pagine stampate per disposizione legale. Ad essere eliminato fu il capolavoro “Storielle, racconti e raccontini” del Marchese de Sade, edito da Luigi Veronelli. Anche i terroristi islamici dell’ Isis si sono dedicati con passione alla eliminazione di libri considerati non islamicamente corretti. Nel gennaio del 2015 circa 2000 libri, tra cui trattati di diritto, poesie e saggi di scienza, romanzi eccetera.
Persino la Chiesa ha dato alle fiamme pubblicazioni messe al bando perché considerate eretiche o immorali. All’ Index Librorum Prohibitorum, la lista nera creata nel 1558, sono stati aggiunti titoli fino al 1966. Ad essere inseriti nella lista furono anche fascicoli oggi famosi, studiati persino a scuola, come il “Decamerone” di Giovanni Boccaccio, “Il Principe” di Niccolò Machiavelli. Finirono nella pattumiera autori come Erasmo da Rotterdam, Giordano Bruno (in questo caso, per velocizzare, sono stati abbrustoliti perfino gli autori), Cartesio, Bacone, Galileo Galilei, Darwin, Stendhal, Flaubert. Bastava anche una sola parola sbagliata per fare scattare la censura.
LA DENUNCIA
Proprio come accade ancora oggi. È bastata infatti una sola parola per disporre il ritiro immediato dal commercio di un manuale giuridico contenente una raccolta di pareri motivati di diritto penale destinato a coloro che si apprestano a sostenere l’ esame di abilitazione per l’ esercizio della professione di avvocato, edito dal Gruppo Editoriale Simone e stampato nel 2011.
Per spiegare il reato di “acquisto di cose di sospetta provenienza”, disciplinato dall’ articolo 712 del codice penale, l’ autore del volume, Fabio Visco, ha scritto: “Quando, ad esempio, la cosa, nonostante il suo notevole valore sia offerta in vendita da un mendicante, da uno zingaro o da un noto pregiudicato”.
Questo passaggio ha indotto la rom Dzemila Salkanavic a denunciare casa editrice ed autore del volume. A nulla sono valse in tribunale le spiegazioni dell’ avvocato Visco, che ha sostenuto di avere utilizzato la parola “zingaro” senza alcun intento denigratorio, o razzista, riferendosi esclusivamente al nomadismo caratteristico della cultura rom, dunque alla difficoltà di fissare una dimora certa, elemento che può configurare il sospetto di incauto acquisto.
Le sue motivazioni non hanno però convinto i giudici del tribunale di primo grado di Roma, che hanno ritenuto che “l’ associazione del termine zingaro alla commissione di reati contro il patrimonio di fatto diffonde uno stereotipo negativo oltre che un preconcetto razziale privo di fondamento, stigmatizzando Rom e Sinti con evidente pregiudizio sociale” degli appartenenti a queste comunità.
Scrittore ed editore, bollati come razzisti pur non essendolo affatto, sono stati condannati nel febbraio del 2015 per condotta discriminatoria, il manuale è stato ritirato dal commercio, per evitarne la diffusione, inoltre è stato disposto a favore della donna denunciante un risarcimento di mille euro per “la lesione subita”.
NESSUNA OFFESA
Sempre nel 2015 a finire nell’ occhio del ciclone della censura fu il leader di Lega Nord Salvini, reo di avere utilizzato su facebook la parola “zingaro”. Una leggerezza che il famoso social network non ha tollerato, bloccando il povero Matteo, che ha dichiarato in sua difesa: il termine “zingaro” non costituisce un’ offesa, ma è un sostantivo di uso comune.
Tuttavia, si dice che gli zingari non gradiscano di essere chiamati zingari, in quanto questo termine sarebbe troppo generico e quindi incapace di indicare e descrivere le diversità e le identità delle numerose comunità di rom. Insomma, un po’ come se gli abitanti della penisola italica si sentissero offesi nell’ essere chiamati “italiani”, appartenendo ciascuno ad un contesto regionale specifico, con una propria storia, una propria identità, una propria cultura, proprie tradizioni, e fossero convinti gli uni di essere migliori degli altri, tanto da non accettare di essere messi in un unico calderone.
È innegabile che il termine “zingaro” abbia acquisito con il tempo un’ accezione negativa. Per antonomasia, “zingaro” è colui che è vestito male, o che si cura poco. Ma, giustamente, immagino che sia difficile avere un armadio che offra un’ ampia scelta di capi quando ci si sposta di continuo da un luogo ad un altro.
Mettendo da parte lo spirito di patata (non bollente), bisogna sottolineare il fatto che la parola “zingaro” conserva tuttora, anche dopo la sua incriminazione, dei significati, a mio modesto avviso, stupendi. Si tratta di un termine “romantico”, che ci fa pensare a persone tanto coraggiose da essere libere o tanto libere da essere coraggiose. “Zingaro” è colui che viaggia, che non si ferma, che non mette radici da nessuna parte per la sua sete di conoscenza e per il suo desiderio di vivere.
Gli zingari sono musicisti, danzatori, artisti, che girano il mondo. “Zingaro” ero pure io da ragazzo, quando rientravo più tardi la sera, lo sono stati i nostri figli, allorché dicevamo loro: “Questa casa non è un albergo”. Se io uso la parola zingaro in riferimento ad un mio amico, intendo dire che questi è ramingo, che non sta mai fermo, e non che puzza o che sembra uno straccione.
Mi sembra quasi che i periodi più felici della nostra vita siano stati quelli in cui eravamo un po’ zingari e facevamo le zingarate come nel film “Amici miei”. Poi abbiamo messo le tende, poi abbiamo fatto il mutuo, poi sono arrivate le grosse responsabilità ed i grossi problemi, insieme all’ Imu e alle bollette. Stiamo attenti a vietare le parole, perché potremmo perdere i loro significati più belli.
TV E CANZONI
Nel dialetto calabrese esiste un verbo molto affascinante: “zingariare”, ossia cercare di arrabattarsi come si può, arrangiarsi facendo questo e quello. Io lo trovo davvero divertente.
Tra il 1996 ed il 2002 era molto in voga un programma televisivo che andava in onda su raiuno, “La Zingara”, un gioco-quiz, ideato da Pippo Baudo e condotto da lui e poi da diversi altri presentatori, tra cui Paolo Bonolis, Mara Venier, Milly Carlucci, Fabrizio Frizzi, Carlo Conti.
Ricordo la sigla della versione itinerante del programma: “Io sono la zingara, qui di passaggio, proprio per te nell’ estate italiana, la zingara è in viaggio. Ma fai molta attenzione perché c’ è la luna che viaggia con me, se si arrabbia e si tinge di nero, fortuna non c’ è”.
Il concorrente doveva scegliere tra le sette carte disponibili sul tavolo della zingara, interpretata da Cloris Brosca, che ebbe un successo strepitoso. E poi dicono che gli zingari sono odiati!
Chissà come sarebbe stato chiamato oggi questo programma, oggi in un’ epoca di oscurantismo della parola.
Mettendo al bando la parola “zingaro”, dovremmo in automatico cancellare il brano musicale vincitore del festival di Sanremo del 1971, presentato in doppia esecuzione da Nicola Di Bari e Nada, “Il cuore è uno zingaro”.
“Che colpa ne ho, se il cuore è uno zingaro e va e va, catene non ha, il cuore è uno zingaro e va e va, finché troverà il prato più verde che c’ è, raccoglierà le stelle su di sé e si fermerà, chissà”.
Non oso immaginare quale potrebbe essere la sua versione moderna, quella che sarebbe anche politically correct. Magari oggi gli artisti sarebbero stati denunciati per avere usato il termine ingiurioso e razzista di “zingaro” all’ interno di un brano cantato nell’ ambito di un concorso musicale tanto celebre in Italia. E non mi sarei stupito nemmeno troppo qualora un giudice, nel caso in cui il brano fosse stato scritto oggi, avesse condannato i cantanti e disposto la censura di quella che è e resta una delle canzoni italiane più belle che siano mai state scritte.---
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