sabato 24 agosto 2019

M5S, i due fronti. Contro l’accordo con i dem sale la protesta sul web

M5S, i due fronti. Contro l'accordo con i dem sale la protesta sul web


Le tensioni nel Movimento. E i militanti tempestano il blog.

Alessandro Trocino per Il Corriere della sera.
Dopo anni con il tormentone «Il Pd si divide», equivalente politico dell’«L’Italia divisa in due dal maltempo», per i 5 Stelle ci siamo abituati a «dissidenti», «ortodossi», «malpancisti», «governisti». La natura doppia del Movimento, populismo tecnocratico da democrazia diretta e dirigismo verticistico con il duo Grillo-Casaleggio, ha trasformato i parlamentari in «portavoce», pigiabottoni per conto del popolo. Ma non è bastata a farne un corpo omogeneo. E così, proprio come i disprezzati partiti correntizi, anche il Movimento si trasforma spesso una maionese impazzita, con leader e leaderini, capibastone e cacicchi (come li chiamava D’Alema). Alla fine dell’avventura leghista, le truppe filogoverniste sono guidate da Beppe Grillo, convertito sulla via del Nazareno dopo anni di strali apocalittici. In prima fila, con natura androgina politico-istituzionale, c’è Roberto Fico. Il carro filoleghista si è un po’ alleggerito, ma è condotto con foga garibaldina da Alessandro Di Battista. Luigi Di Maio, invece, tiene saldamente il piede in due scarpe, la sneaker con rialzo leghista e la Clark dem radical-chic....
È singolare che un Movimento nato sulla trasparenza, sullo streaming e sulla «purezza etica», sia invece percorso da lotte intestine, giravolte, doppiogiochismi e cinismi vari. I militanti sono lievemente disorientati. Dopo anni di guerriglia contro il Pd, ora si sventola bandiera rossa (sia pure sbiadita). Sul blog e su Facebook, sotto i dieci punti programmatici di Di Maio, campeggia in sit-in un lungo elenco di indignados. Ma come, si lagnano comprensibilmente i militanti, il Pd non era il «partito di Bibbiano»? Quello dell’elettrochoc, dei bambini, se non mangiati come ai vecchi tempi venduti? Difficile riprogrammare in un paio di giorno il cervello di milioni di elettori. Non facile neanche con i parlamentari.
Di Battista, per esempio, non ce la fa. Pronunciare la parola Pd, senza insulti, è una sofferenza indicibile. Ieri se n’è uscito con un post nel quale definisce «una buona cosa» le aperture della Lega. Eppure era solo il 18 agosto quando firmava la nota congiunta, uscita dal summit nella villa di Grillo, nella quale ci si indignava per la «vergognosa retromarcia» di Salvini. Di Battista ora fa di più: «pretende» non solo taglio dei parlamentari, ma anche revoca delle concessioni. Troppo per il «fichiano» Luigi Gallo che sbotta: «Di Battista vuole sabotare l’accordo con il Pd. Sta facendo una guerra spietata a 11 milioni di italiani». Ma Di Battista agisce per conto suo o, come dicono ai vertici del Movimento, il suo era un intervento «concordato» e quindi funzionale al disegno alternativo filoleghista?
E mentre Di Maio ha appena finito di dire al Corriere che «ci vuole rispetto» per Conte ma che «non stiamo parlando di poltrone», ecco Grillo che se ne esce con un post dei suoi, nel quale fa un peana di Conte, invitando tutti a «perdonare le sue virtù» e definendo «una disgrazia» l’ipotesi che venga «scambiato nel mazzo di figurine del circo mediatico-politico». Nella maionese, un sapore piuttosto deciso è quello di Paola Taverna, emula di Roberta Lombardi che nello streaming del 2013 spiegò che «non avrebbe detto sì a Bersani neanche in ginocchio». Su Zingaretti la poetessa senatrice dice: «Nei suoi punti manca solo la pace nel mondo». C’è poi Gianluigi Paragone, che impazzisce all’idea di trovarsi insieme a Renzi e Boschi, lui paladino anti banche. Stefano Buffagni alimenta forni e microonde, pur di non rimanere scottato dentro quello dem. E se l’eterna Cassandra Elena Fattori tira un sospiro di sollievo, vedendo all’orizzonte il Pd, ci sono frotte di peones cotti dal sole delle vacanze, che sperano di scottarsi troppo e aspettano ansiosi. Gli «elevati», per dirla con Grillo, trattano. Anche il «tecnico informatico» (Di Maio dixit) Davide Casaleggio, che presiede vertici, fa telefonate, invia sms, smentisce e prepara voti online come le tre buste di Mike: «La uno, la due o la tre?».

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