giovedì 23 agosto 2018

Marco Travaglio - Argento e bronzo...




“Argento e bronzo”, di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 23 agosto 2018
Non sono un esperto di #MeToo, come peraltro di nessun altro “hashtag” (ultimo sinonimo di conformismo). Ma stento a capire l’equazione Harvey Weinstein-Asia Argento formulata in questi giorni dalle migliori gazzette. Uno è un potentissimo produttore, considerato il padrone di Hollywood, influentissimo sulla giuria dell’Oscar e dei maggiori premi cinematografici mondiali: a chi fa l’attore conviene averlo amico e soprattutto non averlo nemico. L’altra è un’attrice che ha fatto anche la regista di piccoli film. Weinstein è stato denunciato, sia pur tardivamente, a livello mediatico e talvolta anche penale, da decine di attrici, incluse le più famose dello star system, non certo bisognose di pubblicità. E non perché fosse uno sporcaccione o un malato di satiriasi, ma per una miriade di ricatti sessuali sistematici e seriali, improntati a un solo copione: “O me la dai o non lavori”. E questa, per le leggi di tutto il mondo, si chiama estorsione. Non occorrono minacce o violenze esplicite: basta che l’autore si trovi in uno stato di superiorità nei confronti di chi lo subisce, che a sua volta si trova in condizioni di inferiorità e soggezione. Insomma, è un reato gravissimo punito dappertutto, se provato: e nel caso di Weinstein pare proprio che lo sia, da testimonianze e anche da registrazioni delle vittime, fra cui l’Argento (che poi ebbe una relazione con lui, prima di aprire gli occhi e sputare il rospo, divenendo una testimonial del #MeToo)....

Asia non è stata denunciata da alcuno, né mediaticamente né penalmente (infatti non è indagata): un anonimo, mentre parte il processo a Weinstein, ha spedito al New York Times le carte di una transazione privata fra lei e un giovane attorino in disarmo, Jimmy Bennett, che aveva recitato da ragazzo in un film diretto da lei, sua ex amica; e la accusava di aver abusato sessualmente di lui nel 2013 turbandolo al punto da rovinargli la presunta carriera. Accusa tardiva (giunta a 5 anni di distanza) e privata, con allegata una richiesta di soldi per non divulgare il fatto (che in California è vietato dalla legge, perché all’epoca la presunta vittima aveva 17 anni e rotti e l’età del consenso lì scatta a 18). Il caso vuole che Jimmy si sia svegliato proprio mentre Asia era impegnata nella battaglia contro Weinstein ed era fidanzata con un ricco e famoso chef francese, Anthony Bourdain. Il quale decise con lei di allungare al giovanotto un assegno da 380 mila dollari per evitare lo sputtanamento. Di solito pagare il silenzio di un accusatore significa ammettere il torto. Ma non necessariamente in questo caso.
La campagna #MeToo ha innescato, soprattutto nell’America puritana e ipocrita, una caccia alle streghe indiscriminata dove ormai è impossibile distinguere caso per caso. Complici i social, che appiattiscono tutto senza approfondire né discernere. L’ha scritto Pigi Battista sul Corriere: una concussione sessuale diventa uguale a un’avance, a un corteggiamento, a uno stalking, a un rapporto consenziente, ma anche a un’accusa ancora da provare. Ne sa qualcosa Kevin Spacey, praticamente rovinato perché, essendo gay, pare che ci abbia provato con un ragazzo a un party. E ne sa qualcosa Woody Allen, perseguitato da anni dall’accusa terribile dell’ex compagna Mia Farrow di aver molestato la figlia adottiva (di lei, ma non di lui), malgrado la vicenda sia passata per vari tribunali che hanno sempre scagionato l’artista. In questo clima, chi volesse ricattare un divo del cinema, o una testimone anti-Weinstein con false accuse troverebbe terreno fertilissimo: intanto c’è la condanna mediatica, poi fra qualche anno, quando il danno sarà fatto, magari si scoprirà che erano tutte calunnie. Ora, in assenza di indagini, che non partiranno senza denunce di Bennett, abbiamo la parola sua contro quella di Asia, più alcune foto e sms privati incredibilmente e illegalmente pubblicati (con tanti saluti alla privacy). Dunque i casi sono tre.
1) Asia ha fatto sesso con Bennett consenziente: penalmente, sarebbe illecito in America (non in Italia né in altri paesi europei, dove l’età del consenso è al di sotto alla maggiore età, esclusi i rapporti mercenari), ma non procedibile senza la querela, evitata con quell’assegno; moralmente, nulla di male, a parte la bugia raccontata l’altroieri.
2) Asia ha fatto sesso con Bennett non consenziente: condotta illegale e immorale, anche se resterebbe da spiegare come faccia una donna con quel fisico da colibrì a violentare un giovanotto di 17 anni e passa; e comunque nulla di paragonabile a Weinstein, visto che l’eventuale carriera attoriale di Bennett non dipendeva certo da lei.
3) Asia è rimasta vittima di un’estorsione fondata su una calunnia e ha pagato Jimmy per evitare lo sputtanamento di un’accusa falsa, ma impossibile da smontare su due piedi, in mancanza di prove oggettive. L’opinione pubblica tende a credere al più giovane e al più sfigato. E poi Asia ha il brutto vizio di dire ciò che pensa e s’è fatta molti nemici, nella stampa e nella politica. Basta leggere gli house organ berlusconiani, “garantisti” con un ex premier puttaniere, ricattabile e pregiudicato, ma giustizialisti con una privata cittadina incensurata come lei. E poi, se negli Usa la lobby di Weinstein lucra sullo scandalo sperando di fare pari e patta, qui ne impazza una ancor più potente: il Partito Trasversale dell’Impunità Planetaria, che gode voluttuosamente a screditare chiunque osi denunciare un sopruso, al grido di “porco è bello”, “tutti maiali nessun maiale” e ovviamente “tutti ladri nessun ladro”. Gentaglia talmente abituata a fare o ad avallare porcherie da non sopportare l’idea che esistano persone pulite. Non sappiamo se Asia lo sia, ma sappiamo perché tante facce di bronzo ce l’hanno con lei. A prescindere.---
“Argento e bronzo”, di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 23 agosto 2018

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