Articolo di Salman Rafi Sheikh apparso su New Eastern Outlook

Con il tweet del presidente degli Stati Uniti Donald Trump sulla distruzione di massa e con la risposta del generale iraniano Soleimani, la guerra delle parole tra Iran e Stati Uniti ha raggiunto nuovi livelli d’intensità. L’attacco verbale di Soleimani simboleggia molte cose. Oltre a riflettere correttamente il crescente stato d’animo anti-americano prevalente oggi nel paese, sembra voler indicare che l’attuale guerra fredda potrebbe trasformarsi, al sopravvenire di un attacco americano militare ed economico all’Iran, in una reale guerra totale. E se il crescendo arriverà al culmine, l’arma migliore in possesso dell’Iran sarà la possibilità di paralizzare l’Occidente semplicemente tramite il suo controllo sullo Stretto di Hormuz, ovvero con un semplice blocco dello Stretto. Sappiamo bene tutti quanto sia cruciale lo Stretto di Hormuz nell’approvvigionamento globale di petrolio, ma il motivo per cui riemerge oggi come un fattore decisivo è il sentimento estremamente anti-americano presente attualmente in Iran, unito al fatto che il governo iraniano, guidato da Rouhani, sta affrontando un contraccolpo politico per aver dato fiducia agli Stati Uniti. I fatti hanno dato ragione a Soleimani che, alla testa delle sue guardie rivoluzionarie, diceva di non fidarsi degli Stati Uniti. E spiega anche perché Soleimani sia attualmente sempre sotto i riflettori...
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Sicuramente, la minaccia dell’Iran di bloccare lo Stretto di Hormuz non sarebbe mai arrivata se gli Stati Uniti non avessero deciso una stretta sulle esportazioni di petrolio iraniano, con l’obiettivo finale di bloccare totalmente anche le sue importazioni e paralizzare così completamente la sua economia, arrivando poi a forzare un cambio di regime attraverso il finanziamento di una rivolta interna.
Dal momento che lo scopo rimane il cambio di regime in Iran, e poiché le nuove sanzioni [in inglese] statunitensi saranno [in inglese] molto più dure ed estese, l’Iran, reagendo al gioco, potrebbe essere costretto ad intraprendere misure da contrapporre alle azioni degli Stati Uniti. Lo stretto di Hormuz, quindi, potrebbe diventare un mezzo di ritorsione praticabile, anche se pericoloso.
L’Iran, quindi, si prepara ad alzare la posta in questo gioco di botta e risposta, ed è perfettamente pronto a farlo in modo da non dover affrontare una reazione internazionale, e senza neanche violare trattati o leggi sottoscritte. Le navi in ​​arrivo dalle rotte del nord e dell’est per entrare nel Golfo Persico, dovranno navigare nelle acque territoriali iraniane, il che significa che l’Iran, teoricamente, ha la reale possibilità di bloccare l’uso dello Stretto. E anche se l’Iran ha firmato la Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare del 1982, il suo Parlamento non l’ha mai ratificata, e questo significa che la possibilità per l’Iran di utilizzare lo Stretto come arma di ritorsione è molto reale, tale da essere presa in considerazione anche dai responsabili politici statunitensi nel momento di decidere un attacco economico-finanziario e un embargo petrolifero all’Iran.
Nel caso di nuove maggiori restrizioni e sanzioni sul suo petrolio l’Iran potrebbe volere che anche altri altri paesi vengano a soffrirne. Questo è esattamente il vero messaggio che i maggiori esponenti iraniani hanno dato nei giorni scorsi: a partire dalla stessa Guida Suprema del paese che ha detto, replicando alla minaccia di blocco di Rouhani, che “se l’esportazione di petrolio dell’Iran sarà bloccata, nessun altro paese nella regione potrà esportare petrolio”, fino al Generale Soleimani che, in una lettera inviata a Rouhani, ha scritto: “le tue precisazioni sul fatto che se il petrolio della Repubblica Islamica dell’Iran non potrà essere esportato, non ci sarà alcuna garanzia neanche per l’esportazione di petrolio da qualsiasi altro punto della regione … sono un motivo di orgoglio e di onore”.
Il fatto che Rouhani, altrimenti noto per essere un personaggio pragmatico e dalle posizioni diplomatiche misurate, abbia abbracciato l’opzione del blocco dello Stretto di Hormuz, riflette la misura della pressione politica che sta affrontando internamente per aver commesso l’errore di fidarsi degli Stati Uniti. Al contrario, l’opposizione delle guardie rivoluzionarie di Soleimani all’accordo sul nucleare non è mai stato un segreto, ed il ritiro degli Stati Uniti ha dimostrato che erano nel giusto, e li ha resi ancora più influenti sulle future azioni dell’Iran. Inoltre, Soleimani, è in piena simbiosi con il leader supremo Ayatollah Khamenei, che come lui non si fida degli Stati Uniti.
Con Rouhani pressato da una possibile guerra “economica” e politicamente sulla difensiva, con le guardie rivoluzionarie che oltre ad essere già schierate in prima linea hanno sotto controllo effettivamente lo Stretto, la possibilità di un vero blocco  sembra probabile come non mai.
La pressione politica su Rouhani lo ha portato perfettamente in linea con la posizione che la Guida Suprema e le guardie rivoluzionarie hanno nei confronti degli Stati Uniti. Ora concordano sul fatto che qualsiasi negoziato con Washington è futile. Il ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif ha poi fornito il colpo di grazia, twittando che l’Iran “è durato millenni e ha visto cadere molti imperi”.
Pertanto, visto il crescente umore altamente sprezzante dell’Iran, chiunque a Washington speri in una sua capitolazione si rivela abbastanza ingenuo oltre che ignorante della mentalità iraniana, forgiata dalla sua storia di migliaia di anni.
Gli iraniani sono pronti a fare in modo che, nel materializzarsi dello spettro di tutte le minacce di Trump e con l’Europa costretta a seguirlo sugli stessi passi, anche le ritorsioni iraniane sullo Stretto si materializzeranno.
Da non dimenticare: l’Iran continuerà ad esportare il suo petrolio ovunque, così come i paesi che attualmente usano lo Stretto ma, ovviamente, con un costo molto più alto e per un volume quantitativamente molto inferiore. Gli Stati Uniti, quindi, stanno per iniziare una guerra che colpirà in maniera parimenti grave anche i propri alleati. Si realizzerà così l’ennesima avventura autodistruttiva in Medio Oriente? Probabilmente, sì.
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Articolo di Salman Rafi Sheikh apparso su New Eastern Outlook  
Traduzione in italiano di Pier Luigi S. per SakerItalia