umberto marabese
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Oggi è anche il mio giorno. Pure il tuo, di giorno. Parlo con te, ragazzotto a ottocento euro al mese abituato a datarti come lo yogurt. Sissignore, siamo lavoratori, noi. E io sono quella che odi, tu, ragazzotto. Perché uno straccio di contratto lo stringo tra le dita, roba figlia dell’intraprendenza di qualche Intraprendente. Ma tu sei ancora nella giungla, non molto più di me, ma la differenza la colgo. Insultami ragazzo, che ci sto. D’altro conto io e te siamo i lavoratori moderni, attuali, quelli della flessibilità in un universo rigido peggio del marmo. Siamo della stessa pasta e tu, in fondo, lo sai. Perché quella marea di palta la conosco io pure e c’ho riso negli anni, mentre per cena ingerivo pezzi del mio fegato. Come fai tu. Ma ragazzo oggi è la tua festa, quella tua e mia, anche se in piazza ci sono tutti tranne noi. Ci sono i catafalchi a raccontare dell’operaio sessantottino che neppure sa che lottava per diritti che a noi ha divorato lui per primo, che non ha accettato il mutare del sistema assistenzialista in meritocratico, liberale. E allora fattela una birra, io me la bevo alla tua. Tutta d’un fiato, ripercorrendo mesi di mestiere col ghigno agrodolce di chi cinicamente ha scelto di prenderla così. Brindo alla festa dei lavoratori.
Me lo ricordo il giorno in cui, in preda a un attacco d’isteria, consuetudine per il lavoratore moderno, ho urlato a mia madre che no, non sarei stata a preoccuparmi dei contributi Inps perché io la pensione non l’avrei mai avuta. Incancellabile, la sua faccia. Ghiacciata, ché il mio estratto conto d’allora (non che sia cambiato drasticamente) lo conosceva: euro tre dal 20 del mese in poi. E allora i conti non le tornavano. Credo abbia aperto un fondo a nome mio, quella sera.
Raccontiamocela io e te questa festa,
sfogliando la carrellata di commedie umane e follie quotidiane, roba che
ci puoi costruire sopra una decina di serie di un Fantozzi rivisitato.
Scavalchiamo a piè pari la faccenda stage e il fatto che pure per
ottenerne uno non retribuito (ce ne sono anche di altro tipo, dicono le
leggende) si è disposti a vendere i reni. Tutti e due. E non conta se
hai anni di esperienza, se sei un asso nel settore, lo stage è l’unica
via per lavorare e allora la battaglia è durissima. Ai colloqui file di
trentenni stremati eppure agguerriti, lì, per il tirocinio numero sei
della loro carriera. E se resto una di quelle convinte che il periodo di
apprendimento sia cosa giusta, per lavorare prima urge far scuola vera
nel mondo del lavoro e chi pretende il contrario non è pronto, ho la
strana sensazione che quando ti rinnovano per due anni non sei più
esattamente uno stagista. Sei un impiegato non pagato. Fantastica
condizione dell’essere comune a parecchi. Ma da qui se ne esce, dopo i
primi cinque anni, circa. Tanto sei giovane e vivi con i tuoi, che
pretendi? Metti le basi per il futuro. E non stare a pensare che tuo
nonno alla tua età aveva sei figli, erano altri tempi.
Oggi
è la tua festa, ragazzo, mia e tua. Sventolano bandiere di sindacati
arroccati su un articolo 18 retaggio del mestierare defunto da mo’.
Sventolano le bandiere di quelli che di te non possono occuparsi perché
dovrebbero guardare in faccia il fatto che preservano retaggi
anacronistici, che il mercato è mutato e loro sono fuori tempo massimo.
Un cortocircuito che hai toccato con mano. Masticano slogan al sapor di
fabbrica e le fabbriche si sono fatte altro. Muoiono grazie all’arcaico
politico e al vigliacco che per una manciata di voti non riforma nulla.
Oggi è la tua festa ragazzo, brinda alla faccia di chi sfila in onore di
ciò che non c’è più. Tu sei il domani, ma l’Italia è costruita e
arginata allo ieri. Tra i paradossi, sei costretto. È così che trascorre
l’ennesima giornata in un ironico macello, in cui a macellano te. E non
lo immaginano che non vuoi neppure il contratto (anche se chiunque lo
abbia è un maledetto, lo so. La cattiveria che tutti abbiamo riversato
anche sugli amici più cari è questione comune), che vorresti unicamente
poterti permettere l’imbarazzante quantità di alcol che ingerisci ogni
sera per guardare col sorriso il giorno che sta per nascere. Una
certezza nell’incertezza però c’è: sei rodato e scafato per il futuro,
lavoratore moderno. Lavorare durissimo non ti spaventerà. La speranza
che tu sia pagato è poi un’altra cosa. Ma oggi festeggia, fattela una
birra alla loro salute.
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