Nel dibattito sul ruolo dei social network nel dibattito pubblico, riaperto con i casi di cronaca, torna insistentemente una storia in particolare: il laptop di Hunter Biden. In piena campagna elettorale, negli Stati Uniti la vicenda è portata dai repubblicani a emblema della compromissione di Big Tech e delle principali aziende della Silicon Valley con il partito democratico e con l’amministrazione Biden. Nel 2022 i repubblicani hanno aperto una commissione di inchiesta per ricostruire la vicenda nel dettaglio. Il titolo della commissione è evocativo: “weaponisation of the Federal Government”, letteralmente la “strumentalizzazione del governo federale a fini politici” (si indaga anche sulla stagione del Covid).Le audizioni e le indagini della Commissione sono ancora in corso. Pur non essendo ancora arrivata a individuare la “pistola fumante” di un presunto “complotto” tra democratici e governo federale per censurare le notizie a favore di Biden e dei democratici, tuttavia ha fatto luce su alcune pratiche arbitrarie dai due principali social network, Facebook e Twitter, in passato nel gestire i contenuti pubblicati sulle loro piattaforme, limitandone la diffusione d’imperio e quindi, secondo alcuni, la limitando libertà di espressione. In questo senso, la storia del laptop di Biden è tra quelle vicende ha contribuito a spingere le aziende che gestiscono social, Meta in particolare, a modificare le politiche di moderazione dei contenuti pubblicati sulle loro piattaforme. Ecco cosa è: