domenica 15 gennaio 2023

Marco Tosatti - CMSI. L’Effetto del Siero Peggiora. Dati ISS: 67% in Più di Sierati si Ammala.

 




Marco Tosatti

Comunicato n. 5/2023 della Commissione Medico-Scientifica indipendente (CMSi) (11-1-2023)


L’effetto dei vaccini antiCOVID contro l’infezione peggiora:

secondo gli ultimi dati ISS, su un pari numero di italiani di 40-59 anni,

ogni 100 non vaccinati contagiati, i vaccinati con booster contagiati sono 167

I dati ISS del 4-1-‘23 continuano a mostrare nei vaccinati con i vaccini a mRNA in uso tassi

di diagnosi di infezione da SARS-CoV-2 maggiori rispetto ai non vaccinati.

I bambini di 5-11 anni si infettano il 45% in più; con booster i giovani-adulti 12-39 anni il 44% in più, gli adulti

40-59 anni il 67% più dei non vaccinati. Anche gli anziani fino ai 79 anni si infettano di più.

Si registra un ulteriore peggioramento dei dati rispetto al precedente Bollettino ISS.

Molti continuano a parlare di efficacia (ancorché parziale) dei vaccini nel prevenire l’infezione da SARSCoV-2, con effetti utili alla comunità, ma i dati dell’Istituto Superiore di Sanità/ISS raccontano altro.

Torniamo a illustrarli nel documento allegato, con riferimento questa volta al più recente Bollettino ISS

del 4 gennaio 2023 (Tab. 5A pag. 25 e Tab. 6, pag. 29), e aggiornando nei grafici allegati i dati delle Tabelle

corrispondenti nella serie dei Bollettini ISS settimanali a partire da gennaio 2022.

Chiediamo di essere auditi nelle sedi istituzionali idonee, e insistiamo perché i sanitari e tutti gli

interessati attuino le semplici verifiche che proponiamo sulle tabelle dei Bollettini ISS, in modo

didascalico e alla portata di chiunque. Chi lo farà potrà comprendere quali contenuti siano davvero

aderenti alla Scienza e ai dati ufficiali, e perché quanto continuiamo a ripetere come CMSi merita seria

attenzione. Continueremo comunque a far sentire la nostra voce pacata e ragionevole, chiedendo un

confronto basato sui dati.

Osservazioni della Commissione Medico Scientifica indipendente

Il messaggio, che con un semplice calcolo chiunque può subito verificare alle fonti indicate (*), è

sintetizzato nelle righe seguenti e nelle slide allegate. Queste sono riferite ai bambini da 5 a 11 anni e

alle tre fasce d’età successive considerate dall’ISS, in cui operano anche tutti i lavoratori della Sanità, che

a quanto pare anche esponenti della FNOMCeO vorrebbero ancora soggetti a vaccinazioni obbligatorie.

La realtà documentata dai dati ISS è che oggi, in media, rispetto ai non vaccinati di pari fascia d’età:


 

Solo nella fascia d’età di 80 e più anni i dati ISS mostrano nei vaccinati con booster meno infezioni dei non

vaccinati, ma il monitoraggio nei mesi mostrerà se tale protezione si mantiene.

Si conferma che la protezione da ricoveri, accessi in terapia intensiva e decessi COVID-19 grave resta migliore

nei vaccinati (salvo che per i bambini di 5-11 anni, dove comunque i numeri sono molto piccoli), ma si

consideri quanto esposto nei successivi punti 1-4.

I dati italiani sono coerenti con un gran numero di studi internazionali (**) presentati in occasione del

Congresso POLI-COVID-22 (https://www.libera-scelta.it/policovid22/) da poco svoltosi a Torino, che

chiunque può visionare nelle slide (v. quelle sull’efficacia verso le infezioni sul sito della CMSi) o in

videoregistrazione, richiedendo gli studi integrali da cui sono tratte, se avesse difficoltà a reperirli.

In particolare, si ricorda la presentazione del Prof. John Ioannidis, epidemiologo dell’Università di Stanford,

che ha mostrato come i vaccini in pratica non abbiano avuto effetto nel contenimento dell’ondata epidemica

e ha richiamato la necessità, nella corrente fase endemica, di attuare rigorosi studi randomizzati prima di

procedere a ulteriori booster sulla generalità della popolazione.

Il messaggio di fondo si può così ribadire: il tempo trascorso dall’ultima dose di vaccino è la variabile

fondamentale. Infatti la protezione vaccinale dall’infezione, buona all’inizio con le precedenti varianti ma

solo mediocre con Omicron, declina poi rapidamente, si azzera in pochi mesi, quindi si inverte, cioè i

vaccinati diventano in media più soggetti a infettarsi dei non vaccinati. I booster ripristinano in modo

transitorio la protezione iniziale, ma anche dopo tali richiami si torna a perdere velocemente la protezione

dall’infezione, con un percorso che sembra accelerato al ripetersi dei successivi inoculi (Gazit, BMJ

2022;377:e071113).

Il gruppo di epidemiologi del Qatar, già autore di una serie di pubblicazioni di eccellenza sul New England

Journal of Medicine, ha presentato in preprint (Chemaitelly, 2022) uno studio nazionale sull’efficacia della 3a

dose a un anno, fino al 12 ottobre 2022. Gli effetti sull’infezione sono impressionanti: a un mese dal booster

la protezione è un poco inferiore al 60% con il vaccino Pfizer e al 50% con Moderna, ma a 6 mesi dal booster

è ormai vicina a zero, e dai 7 mesi diventa negativa. A 10-11 mesi dal booster è scesa a un significativo meno

24-26% con Pfizer e meno 67-70% con Moderna, sotto al livello di chi ha fatto il ciclo primario di 2 dosi,

mostrando un importante aumento della suscettibilità all’infezione, che riguarda anche i soggetti con

protezione ibrida, cioè vaccinati e con infezioni naturali (NB: la protezione dalla rara COVID-19 grave resta

buona, ma si consideri quanto esposto nei successivi punti 1-4).

La drammatica perdita di protezione dall’infezione appare anche in uno studio in California (Tseng HF, 2022,

preprint) sul vaccino Moderna, dove diventa chiaramente negativa dopo 5 mesi dal booster verso le varianti

BA.2 e BA.5 di Omicron.

È verosimile che il rischio di infezione si traduca anche in un rischio di trasmissione, come mostra – tra l’altro

– un grande studio israeliano (Woodbridge et al. Nat Commun 2022;13:6706), in cui, in caso di reinfezione,

le cariche virali (considerate proporzionali al rischio di trasmissione) a 70 giorni di distanza dalla 3a dose erano

in tendenza già aumentate rispetto alle cariche virali medie dei non vaccinati.

Al contrario nei guariti – in caso di reinfezione – le cariche virali si mantenevano in modo prolungato a un

livello inferiore.

Un’ulteriore ricerca in preprint (dunque suscettibile di modifiche quando arrivi a pubblicazione formale) di

ricercatori della Cleveland Clinic, in Ohio (USA), mostra dati altrettanto espliciti: su 51.000 lavoratori della

Clinica il numero delle dosi è associato con una progressiva maggior propensione alla reinfezione, come

mostra la tabella sotto riprodotta. Come si vede, rispetto ai non vaccinati le infezioni nei vaccinati con 1

dose sono aumentate del 70%, con due dosi di oltre 2 volte e ½, con 3 dosi di oltre 3 volte, con più di 3 dosi

peggio ancora. Tutte le differenze sono altamente significative.

Da Table 2. Associazione corretta con il tempo per arrivare a una diagnosi di COVID-19

  1. di precedenti dosi di vaccino Indice di rischio corretto P

(e intervalli di confidenza al 95%)

Nessuna dose (riferimento) 1

1 1,70 (1,30-2,24) < 0,001

2 2,63 (2,19-3,17) < 0,001

3 3,15 (2,63-3,77) < 0,001

+ di 3 3,38 (2,70-4,23) < 0,001

Una ricerca sull’Islanda, per fare un altro esempio, aveva già mostrato risultati analoghi.

Alla luce dei dati ufficiali riportati, salvo prove contrarie che emergessero in un confronto scientifico senza

censure, che invitiamo ad aprire, è il dibattito pubblico ad aver portato fuori strada la Consulta, con la

riproposizione di affermazioni contrarie a quanto emerge dai dati. Purtroppo le Istituzioni scientifiche di

riferimento continuano a non offrire interpretazioni più corrette dei dati da loro prodotti.

Quanto su esposto dovrebbe rendere chiaro che non è affatto rispettata la condizione a) prevista dalla nostra

Costituzione per legittimare un trattamento sanitario obbligatorio per legge, cioè:


in un confronto scientifico istituzionale che la CMSi chiede da oltre un anno, sinora negato. Si anticipano in sintesi i motivi. Anzitutto per l’enorme sottostima delle sospette reazioni avverse rilevate nei sistemi di vaccinosorveglianza passiva o segnalazione spontanea (adottati in gran parte del mondo, e comunque dal VAERS negli USA, da EudraVigilance dell’EMA nell’Unione Europea, dall’AIFA in Italia) rispetto alla sorveglianza attiva attuata negli studi clinici randomizzati controllati registrativi negli adulti per i vaccini Pfizer e Moderna, e dal programma v-safe dei CDC (Centers for Disease Control and Prevention) negli USA. Le reazioni avverse ai vaccini a mRNA segnalate nei suddetti esempi di sorveglianza attiva superano da centinaia fino a mille volte e più quelle dei sistemi di sorveglianza passiva e, per quanto possa sembrare incredibile, ciò vale anche per le reazioni avverse gravi (severe), come dimostra in modo incontestabile il confronto tra le fonti sopra citate. Per quanto riguarda uno degli effetti avversi più citati, le miocarditi (e/o pericarditi), i pochi esempi di sorveglianza attiva, realizzati in Tailandia su ragazzi di 13-18 anni o in Svizzera su 770 operatori dell’Ospedale di Basilea, mostrano che le miocarditi (e/o pericarditi) subcliniche documentate da marcatori validati sono un migliaio di volte più comuni di quanto comunemente ammesso in base ai dati della sorveglianza passiva. Nel caso dell’ultimo Rapporto AIFA (pag. 17), che riferisce solo di miocarditi “clinicamente definite”, il divario è addirittura dell’ordine delle 10.000 volte.


Inoltre la condizione b) risulta non rispettata se si illustra senza omissioni l’argomento della “protezione da malattia severa” (che comporti ospedalizzazioni, accessi in terapia intensiva o decessi). Infatti, è vero che la protezione da malattia severa si mantiene buona per i vaccinati, ma: 1. anche nei confronti della malattia severa il vantaggio si erode nel tempo (specie verso Omicron, l’unica variante con cui si debbano al momento fare i conti) negli adulti e in età pediatrica (esempi: Moller Kirsebom FC, Lancet 2022;23:100537 // Tartof S, Lancet 2021;398:1407-16 // Tartof, JAMA NO 2022;5:e2225162 // Lin D-Y, NEJM 2022;387:1141-43), benché più lentamente rispetto a quello verso l’infezione

in comunicati istituzionali e dai media, si riferisce alla COVID-19, non riguarda tutte le malattie che

portano a ricoveri ecc. Anzi, Peter Doshi (Doshi P, Vaccine 2022;40:5798–805), basandosi sui trial

randomizzati registrativi, che rappresentano la fonte più valida per fare confronti tra vaccinati e non

vaccinati, ha dimostrato che l’eccesso di eventi avversi gravi di speciale interesse nei gruppi vaccinati

supera di oltre 2 volte (con il vaccino Moderna) e di oltre 4 volte (con Pfizer) l’eccesso di ospedalizzazioni

da COVID-19 che si è documentato nei gruppi di controllo. Un’ulteriore impressionante documentazione

da famosi epidemiologi, medici di sanità pubblica, ecc. deriva dalla valutazione dello sfavorevolissimo

bilancio tra danni e benefici della 3a dose per giovani adulti (Bardosh K, J Med Ethics/BMJ 2022). Dunque

le malattie gravi totali nette sono risultate maggiori nei vaccinati rispetto ai non vaccinati nei trial

randomizzati (NB: ciò si è confermato anche in trial randomizzati registrativi su adolescenti (Ali K, N Engl

J Med 2021;385:2241-51), se si ha la costanza di esaminare anche le tabelle nell’Appendice elettronica)…

  1. … e ciò ha riguardato in tendenza anche i confronti tra decessi, fino a quando i produttori hanno reso

disponibili al pubblico i dati relativi (nel trial su adulti di Moderna: 16 decessi nel gruppo vaccinato verso

16 nel gruppo di controllo, con risparmio di qualche morto per COVID-19 tra i vaccinati bilanciato da morti

in più per altre cause, soprattutto cardiovascolari // nel trial su adulti di Pfizer: 21 morti nel gruppo

vaccinato verso 17 morti nel gruppo di controllo, con riduzione di qualche morto per COVID-19 tra i

vaccinati sovracompensata da morti in più per altre cause, soprattutto cardiovascolari).

I punti precedenti dovrebbero indurre a modificare i comunicati istituzionali. È infatti inaccettabile

che ancora oggi si scriva ad es. “Nella popolazione di età 60-79 anni, per i non vaccinati il tasso di

mortalità (11/11/2022-11/12/2022) risulta tre volte più alto rispetto ai vaccinati con dose

addizionale/booster…”, senza precisare che non si tratta di mortalità totale nei 30 giorni indicati,

come parte del pubblico può essere portato a pensare (il numero di decessi totali in Italia, ~1950

in media al giorno da gennaio a ottobre 2022, supera oggi di quasi 20 volte quello dei soli decessi

COVID. Fattori di rischio come il fumo, un’alimentazione insalubre o la sedentarietà pesano oggi

molto più della COVID-19 da Omicron sull’insieme dei decessi, e meriterebbero ben più attenzione

dai media o dai decisori).

Comunque andrebbe in qualche modo richiamato anche quanto spiegato nei punti da 1 a 3.

  1. Ormai con la variante Omicron (che si è dimostrata meno letale di un’influenza stagionale Xue L, Int J

Infect Dis 2022;121:195–202) i rischi più gravi da COVID-19 sono grandemente ridotti, mentre i dati inglesi

(dell’Ufficio Nazionale per le statistiche UK) relativi al 2022, purtroppo pubblicati per stato vaccinale solo

da gennaio a non oltre maggio 2022, mostrano un’allarmante tendenza all’aumento dei tassi di mortalità

in tutte le fasce di età nei vaccinati rispetto ai non vaccinati, con grandi differenze rispetto al 2021,

quando i tassi di mortalità totale dei vaccinati erano nettamente inferiori rispetto a quelli dei non

vaccinati. Quest’ultimo aspetto può costituire una giustificazione per politiche sanitarie adottate in

passato, quando appariva predominante l’associazione con un effetto benefico complessivo delle

campagne vaccinali, ma che non si possono continuare a invocare ora. Infatti anche indagini

epidemiologiche sui dati di Eurostat attuate da scienziati inglesi mostrano nel 2022 (da aprile ad agosto)

tendenze sfavorevoli tra livelli di vaccinazione dei vari paesi e mortalità totale, anche per l’associazione

con i livelli di copertura con booster. Una volta di più, preghiamo chi legge di non passare oltre, di aprire

il link sopra indicato e di esaminare i grafici eloquenti che vi sono riportati.

Benché ciò non costituisca ancora prova decisiva contro le strategie in atto, quanto sopra rafforza comunque

la richiesta, emersa con vigore anche nel Congresso POLI-COVID-22, di aprire un urgente confronto

scientifico anche con voci scientifiche critiche, come quelle presenti al Congresso, cui è stato di nuovo

negato un confronto istituzionale.

In ogni caso, si ritiene che le strategie di contrasto alla Covid-19, e alle infezioni in generale, non dovrebbero

puntare solo sui vaccini (che stanno assorbendo in modo sproporzionato gli sforzi di ricerca, educazione e

formazione, finanziari, organizzativi/di personale dei Sistemi sanitari), ma anche anzitutto su stili di vita

salutari, nonché su prevenzione primaria ambientale e terapie di efficacia documentata, certo, ma anche

altamente sicure e sostenibili.

I firmatari membri della Commissione Medico-Scientifica indipendente (CMSi):

Prof. Marco Cosentino, Dott. Alberto Donzelli, Prof. Vanni Frajese, Dott.sa Patrizia Gentilini,

Prof. Eduardo Missoni, Dott. Panagis Polykretis, Dott. Sandro Sanvenero, Dott. Eugenio Serravalle

(*) Il tasso di infezione per un dato gruppo (non vaccinati, vaccinati con 1-2 dosi, con booster, ecc.) è calcolato

come il rapporto tra numero di diagnosi e popolazione di quel dato gruppo, convenzionalmente moltiplicato

per 100.000 (Tabella 5A del Bollettino settimanale ISS). Il rapporto R tra il tasso di un gruppo vaccinato

rispetto al tasso del gruppo non vaccinato indica quale gruppo ha avuto più casi di infezione COVID-19

diagnosticati.

Nelle nostre rappresentazioni grafiche, RR maggiore di 1 indica che il gruppo vaccinato ha ricevuto più

diagnosi di infezione COVID-19 rispetto al gruppo non vaccinato. Per esempio, nella fascia 5-11 anni, RR=1,45

vuol dire che nel gruppo vaccinato di quella fascia d’età si sono osservati il 45% in più di casi rispetto ai non

vaccinati.

Se RR è minore di 1, il gruppo vaccinato ha ricevuto meno diagnosi di infezione COVID-19 rispetto al gruppo

non vaccinato. Per esempio, nella fascia d’età 12-39 anni, RR=0,99 vuol dire che nel gruppo vaccinato in

modo completo/incompleto (ma senza booster) di quella fascia d’età si sono osservati l’1% in meno dei casi

rilevati nel gruppo non vaccinato.

NB: il modo di rappresentare i dati da parte dell’ISS, comunque legittimo benché a nostro avviso meno

intuitivo, è l’opposto (cioè sono invertiti gli elementi del rapporto): è quindi indicato il tasso di un gruppo

non vaccinato (al numeratore del rapporto) rispetto a quello di un gruppo vaccinato (al denominatore), di

conseguenza R sarà minore di 1 quando è il gruppo non vaccinato ad avere meno diagnosi.

Si riproduce ora la Tabella 6 dell’ultimo Bollettino ISS (con tassi già calcolati dall’ISS), solo per la voce

“Diagnosi” (confermando che il resto della Tabella mostra i vaccinati ancora oggi in vantaggio per le COVID19 più gravi. Non è affatto scontato, però, che ciò corrisponda all’insieme delle malattie più gravi):


Come si vede, i Rischi relativi per le classi di età riquadrate fino ai 79 anni (che includono anche tutti i

lavoratori della Sanità, obbligati di norma al booster) sono inferiori a 1; ciò significa che in queste classi di età

i non vaccinati si infettano meno dei vaccinati corrispondenti ai diversi stati vaccinali indicati nelle colonne.

Ad esempio, nella classe 12-39 i non vaccinati hanno un tasso di diagnosi di 0,7 rispetto ai vaccinati con

booster, dunque i non vaccinati si infettano circa il 30% meno (altrimenti detto: i vaccinati si infettano il 43%

in più, come risulta dall’uguaglianza 0,7 : 1 = 1 : 1,43). Se i calcoli si fanno sulla Tabella 5A del Bollettino ISS

(anziché sulla Tab. 6), si tiene conto meglio anche dei decimali. Si è riportato il tutto nei grafici delle slide, in

modo verificabile calcolando i tassi di diagnosi (nello specifico: dei soggetti di 12-39 anni in rapporto alla

popolazione di 12-39 anni, rispettivamente di vaccinati e non vaccinati) e probabilmente più facile da capire.

Si segnala anche che conta considerare le tendenze: si parte a gennaio 2022 con un diffuso riscontro di

protezione dall’infezione nei vaccinati, ma a distanza di un certo numero di mesi, e comunque oggi, nelle

fasce dai 5 fino ai 79 anni, la protezione iniziale si è trasformata nel suo contrario. Questi dati – se

correttamente riportati alla Consulta – avrebbero già potuto escludere il discorso sulla legittimità di un

obbligo “per ragioni di solidarietà”, quanto meno dopo aver compreso l’andamento delle curve.

Infatti, se a distanza di mesi dall’ultima dose la protezione dall’infezione si riduce fino a zero, e poi diventa

negativa (cioè per paradosso inferiore al livello dei non vaccinati), a meno di non ipotizzare richiami continui

e ravvicinati per ripristinare una qualche protezione, si dovrebbe concludere che a medio termine per la

comunità il vantaggio iniziale si traduce in svantaggio.

(**) studi con conclusioni diverse spesso citati a sostegno di una “protezione vaccinale dall’infezione” sono

afflitti in varia misura da problemi che ne inficiano la validità (follow-up breve limitato al periodo di “luna di

miele con il vaccino”; presentazione dei dati come media di periodo, anziché mostrare la tendenza

discendente della protezione nel tempo; esclusione degli asintomatici verso cui la protezione vaccinale è

ancor minore; sponsor commerciali e/o conflitti di interessi degli autori…). Anche in questo caso si chiede di

aprire un confronto scientifico senza censure, che ci consenta di dimostrare le nostre affermazioni.---





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