Che bisogno c’è della Mafia? C’è la Giustizia.( sicuri ?)
Ora che il Pezzo da Novanta s’è consegnato, è meraviglioso vedere magistratura e polizia con quanto zelo si avventano alla gola dei Pezzi da Meno Uno che gli hanno dovuto fare gli ultimi servizi. Hanno già sbattuto in galera il contadino che l’ha portato in auto a consegnarsi, ed interrogato il figlio del contadino; per il povero compaesano Bonafede che gli ha dovuto prestare l’identità (provate voi a dire di no a Messina Denaro, ) e comprargli le case (“i covi”, pardon) la giustizia sta martellandolo a dovere, schiacciandolo sotto decine di capi d’imputazione, preludio a decenni di detenzione; profondissime indagini sono state aperte sulla sua Giulietta e sui pezzi di ricambio; scoperte d’importanza eccezionale, altrettanti atti d’accusa, vengono riferite dai media trionfanti, che odorano il sangue. Alcuni titoli:
Nel covo foto di belve e una calamita da frigo: “Il padrino sono io”
Identificato il concessionario che ha venduto l’Alfa a Messina Denaro. L’auto era intestata a una disabile 86enne
La Repubblica e il Messaggero hanno superato tutti:
Nel covo trovata una biografia su Putin!
Dunque una evidente complicità con il malvagio nemico dell’Occidente e dei Nostri Valori
Insomma polizia, magistrati e giornalisti hanno interrogato, rivelato, accusato, aperte inchieste su ogni minimo personaggio tutto e tutti nel vicinato ; solo una persona hanno evitato accuratamente di non dico interrogare e convocare in giudizio, ma nemmeno intervistare: questa ripresa il più brevemente possibile da un solo o due articoli:
Messina Denaro, l’ex pm: “Non lo volevano prendere davvero”
“Le indagini sulle ricerche di Matteo Messina Denaro furono totalmente ostacolate”: a parlare, ora che il boss è stato catturato, è Teresa Principato, magistrato in pensione dal gennaio 2022. Si tratta della donna che per nove anni ha dato la caccia al superboss mafioso. Sentita da La Stampa, ha raccontato: “Ogni volta che si alzava il livello, ad esempio sulla massoneria, in molti, e fu per me una grossa delusione, non dico che avessero paura ma cominciavano a non crederci più (per esempio sui collaboratori che stavamo sentendo) nonostante in otto anni di lavoro alla Dda di prove sulla mia professionalità ne avessi seminate”.
L’ex magistrato ha parlato di “ostacoli frapposti nonostante gli scenari della cattura fossero molto promettenti”. La Principato lasciò la procura di Palermo nel 2018 e poi passò alla direzione nazionale antimafia per quattro anni. Parlando dell’addio alla procura, ha spiegato: “Considerato l’atteggiamento tenuto nei miei confronti da alcuni colleghi e responsabili dell’ufficio giudiziario dell’epoca me ne andai via, insalutata ospite”. E ancora: “Ero arrabbiata, delusa. Tanto da pensare che non ci fosse la reale volontà di catturare il latitante“. Scendendo nei dettagli, l’ex pm ha fatto riferimento a un episodio in particolare che le ha fatto venire dei sospetti sulla reale intenzione di catturare il boss: “Seguivamo un capomafia, Leo Sutera. Appena uscito dal carcere incontrò Messina Denaro. Aveva anche il compito di farlo incontrare con due mafiosi palermitani. Fotografammo Sutera in un casolare mentre da sotto una pietra estraeva un pizzino del latitante. Lo lesse e lo rimise al suo posto”. E ancora: “Eravamo tutti certi che ci avrebbe potuto portare da Messina Denaro”.
Peccato, però, che qualcosa andò storto: “I colleghi che investigavano sul territorio agrigentino volevano arrestarlo in un’altra operazione, ma cosi ci avrebbero bruciato. Ne parlai col procuratore capo di allora. Mi chiese se fossi certa, del contenuto delle intercettazioni consegnatemi dal Ros. Confermai, ma non si convinse e successe un’altra cosa strana”. A questo punto la Principato ha rivelato che l’uomo “si recò in aula bunker dove venivano effettuate le intercettazioni sulle ricerche del boss. Chiese a un ufficiale di sapere se ve ne fossero di interesse”. Una cosa insolita, a suo dire. Alla fine le chiese se riuscisse a catturare Messina Denaro in una settimana, altrimenti non se ne sarebbe fatto nulla. Infine sulla cattura del boss, ha detto: “Non credo si sia consegnato. Certo – senza nulla togliere al lavoro di alcuni – era stanco, aveva abbassato le difese”.
In qualunque altro sistema giudiziario, una procura avrebbe convocato la magistrata in pensione, aperto un fascicolo, voluto sapere e approfondire chi e come, da questa magistrata evidentemente desiderosa di parlare.
Invece niente. Un grandioso esempio di omertà. Assoluta. Totale. Al più alto livello bocche cucite.
Anzi, di più; apprendiamo che:
Al Ministero dei Trasporti è sparito l’archivio sulle stragi e gli anni della strategia della tensione
Addio, nobile boss costituito. Muori sereno. Non c’è più bisogno di te, quando qui impera la Giustizia.
Una lettrice ed amica lumeggia un altro confronto fra il Boss e il Potere costituito:
“Quest’uomo, riporta il Corriere, legge libri su Putin e Hitler e Nietzsche. Conosce la letteratura latina, tanto da rivolgersi al suo confidente traditore come a Svetonio; ama l’arte, essendo stato educato all’archeologia, e sceglie i luoghi degli attentati in base a considerazioni simboliche; rimpiange di non essersi laureato, malgrado rammenti di essere stato un bravo studente.
Due riflessioni mi si impongono.
Prima: abbiamo il capo di Cosa Nostra che ha letto e studiato più del premier, di Letta e di buona parte degli occupanti gli scranni delle istituzzzioni. Seconda: ma qualcuno, in futuro, avrà mai interesse a leggere la biografia di Von der Leyen, o di Michel, o di Borrell, o di Tajani Antonio?”.
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