Diecimila posti di lavoro a rischio e soltanto quaranta giorni per trovare una soluzione. Dopodiché, la raffineria di Priolo (che si trova in Sicilia, precisamente in provincia di Siracusa) rischia di chiudere. Perché? Perché è di proprietà di Lukoil, la più grande società petrolifera privata russa, nel mirino delle prossime sanzioni sul petrolio legate al conflitto in Ucraina che, come dimostra questo caso, ha ripercussioni su tutto l’Occidente, Italia compresa.
Entro il 5 dicembre deve attraccare nel porto di Augusta l’ultima nave di petrolio russo. Poi, scatterà il blocco delle importazioni. Il possibile stop colpirebbe anche altre aziende legate alla raffineria di Priolo, come l’impianto Versalis di Eni per la produzione di materie plastiche. I lavoratori coinvolti nel sito Lukoil sono circa tremila ma è proprio l’intera area che coinvolgerebbe in tutto diecimila persone. Il sito di Priolo in mano ai russi produce il venti per cento del fabbisogno italiano di carburante.
Nulla di fatto e lavoratori a rischio
L‘ultima riunione per trovare una soluzione era avvenuta due mesi fa a Roma ma non era arrivata alcuna decisione che, però, dovrà essere presa entro quaranta giorni dal rischio stop. Se questo dovesse arrivare, gli impianti siracusani non riceveranno più il petrolio russo per l’embargo. Già il 6 dicembre andrebbero a casa mille dipendenti, a cui si aggiungono i circa duemila dell’indotto. Poi si arriverebbe a diecimila persone che lavorano tra Priolo, Augusta e Melilli.
Nel frattempo, è già iniziato il risparmio sull’utilizzo delle risorse nella raffineria della Sicilia orientale, dove i russi di Lukoil sono entrati nel 2008 siglando un accordo con la Erg guidata dalla famiglia Garrone. Poi la Erg entrò in crisi, tanto che Garrone dovette anche cedere la Sampdoria per motivi economici e, allora, Lukoil acquistò l’ottanta per cento delle quote prendendo poi, nel 2013, il restante venti per cento.
Ma a febbraio è esploso il conflitto tra la Russia e l’Occidente, con le relative sanzioni che, però, colpiscono i lavoratori italiani. Il presidente di Confindustria Siracusa, Diego Bivona, ha spiegato la situazione: “In questi mesi non ci sono stati nuovi segnali – ha detto – e non si riesce a capire come si voglia risolvere questo problema, che non è né siracusano né solo siciliano ma nazionale”.
Palla al nuovo governo
Una soluzione la dovrà trovare adesso il nuovo governo, che ha ereditato una patata bollente dal precedente targato Draghi. Ed è curioso che a non aver deciso nulla in sette mesi sia stato proprio Giancarlo Giorgetti, che guidava il Ministero dello Sviluppo Economico e adesso occupa la nuova carica di ministro dell’Economia nell’esecutivo di centrodestra guidato da Giorgia Meloni.
A seguire la vicenda, adesso, è il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, che ha ipotizzato una nazionalizzazione temporanea: “Stiamo seguendo alcune ipotesi di acquisizione di quella impresa – ha dichiarato – per consentirle di andare avanti oltre il fatidico 5 dicembre, quando scatteranno le sanzioni alla Russia sul petrolio”.
Un precedente ci sarebbe, infatti lo ha messo in atto la Germania negli ultimi mesi con alcune aziende russe che operavano in territorio tedesco. Nel 2022 è stata infatti modificata una legge sulla sicurezza energetica che ha introdotto un’amministrazione straordinaria su società e infrastrutture critiche per l’approvvigionamento energetico per massimo un anno.
Questa è una delle ipotesi. Tra le altre, in un documento dello scorso agosto, c’è una deroga parziale di almeno un anno per l’embargo del greggio russo. Oppure, che il governo renda Lukoil non soggetta alle sanzioni e che, quindi, non riceva restrizioni. Una decisione dovrà essere presa e la migliore sarebbe ovviamente quella che tutela i dipendenti. Perché, una chiusura, coinvolgerebbe un’area vastissima e almeno diecimila lavoratori che, in attesa di una soluzione, intanto restano appesi a un filo.---
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