martedì 5 giugno 2018

Senza parole (...acce...), editoriale di Marco Travaglio

– di Marco Travaglio – 
Il Fatto Quotidiano del 5 Giugno 2018 – A leggere gli anatemi dei giornaloni, pare che il governo Conte sia in carica da anni e ne abbia combinate di cotte e di crude. Invece ha giurato venerdì e avrà la fiducia delle Camere oggi. Paolo Mieli, sul Corriere, nota la “stravagante eterogeneità delle prese di posizione antigovernative – sia a destra che a sinistra”, che “peccano talvolta di incoerenza e talaltra di mancanza di ordine logico”. Infatti, a parte la (per ora impossibile) abolizione degli elettori, non si è ben capito cosa auspicassero dopo il 4 marzo i signorini grandi firme che ora scomunicano preventivamente il governo giallo-verde. Quando il Fatto, rara avis, in buona compagnia di Zagrebelsky, Cacciari, Montanari, Barbara Spinelli, Scalfari, Emiliano, Bersani e altri, temeva un’alleanza fra i due vincitori parziali e caldeggiava l’unica alternativa migliore o meno peggiore – un patto su pochi punti fra i 5Stelle e un centrosinistra rinnovato dopo la sconfitta – gli attuali partigiani della guerra di liberazione al Nuovo Fascismo tifavano proprio per l’alleanza M5S-Lega e diffidavano il Pd dal contaminarsi con i grillini brutti, sporchi e cattivi. Li avete forse sentiti strillare contro Renzi che, in tv, richiamava all’ordine (il suo) il riottoso Pd e spalancava la strada ai nipotini del Duce?...

Quando poi Di Maio si sedette al tavolo con l’unico che ci voleva stare, Salvini, iniziarono a strepitare per il ritorno di Mussolini. Allorché parve saltare tutto, presero a strillare contro gli incapaci che non riuscivano nemmeno a fare un governo. Quando poi arrivò Conte, urlarono al Signor Nessuno, al parvenu che si ritocca il curriculum. Quando Conte si definì “avvocato del popolo italiano”, inorridirono per il suo populismo giacobino. Salvo poi descriverlo come la quintessenza del sistema perché stava nello studio Alpa, e longa manus del Vaticano perché ha uno zio frate e prega padre Pio. Appena indicarono Savona, i populisti incompetenti divennero ipso facto servi dell’establishment, senza che per questo Mattarella diventasse un populista incompetente perché respingeva il professorone. Il quale, dipinto come un jihadista anti-Ue, non andava bene all’Economia ma è perfetto agli Affari europei, però Mattarella ha stravinto con la sua coerente infallibilità. La verità è che un governo così, nel bene e nel male, non l’avevamo mai visto. È una cosa complessa e un oggetto ancora misterioso: un mix tra nuovo e vecchio, popolo ed élite, sistema e antisistema, europeismo e antieuropeismo, anziani integrati e giovani esclusi, progressismo e centrismo e reazionarismo, destra e sinistra e anti-destra-sinistra.
E soprattutto tra due forze che – checché se ne dica – restano diversissime, con le loro forti identità. Un fatto così inedito, figlio di un esito elettorale unico al mondo, richiederebbe parole nuove per descriverlo, categorie fresche per analizzarlo, umiltà e laicità per giudicarlo. Dai fatti, non dalle parole o dalle etichette. Invece, salvo rare eccezioni, si ascoltano parole decrepite e svuotate, categorie novecentesche, slogan manichei e fumettistici che denotano sforzi sovrumani per non comprendere. Così i sedicenti nemici del “populismo” cadono negli stessi errori che imputano ai “populisti”: semplificazione, superficialità, demonizzazione. Un disperato esorcismo per scacciare ciò che non si riesce a capire. Anche Ezio Mauro, analista intelligente, si appiattisce su una desolante descrizione del governo Conte come “destra realizzata”, addirittura “lepenismo corretto da assistenzialismo al Sud spacciato per facsimile del reddito di cittadinanza”. Naturalmente i baluba “grillini, non avendo una storia… e una cultura… sono già prigionieri del campo di forza della politica sprigionata dalla nuova Lega”. Un frullato di “Bannon, Le Pen, Putin, Erdogan, Orbán, Farage” sotto le bandiere del “ribellismo, velleitarismo, ideologismo, dilettantismo, avventurismo”. Mancano Hitler e il Ku Klux Klan, ma c’è tempo: ci si arriverà.
Intanto Salvini loda il “buon lavoro” del predecessore Minniti, che peraltro si proponeva i suoi stessi obiettivi: espellere più irregolari, fare accordi coi Paesi africani, mettere ordine tra le Ong, sottrarre il business dei migranti ai privati (vedi Mafia Capitale), riportare l’accoglienza sotto lo Stato, costruire Cie in ogni regione. Anche le cose che fanno orrore pure a noi, dalla licenza di uccidere i ladri “a prescindere” alle sparate retrograde del Fontana di turno, dovrebbero indurre alla prudenza chi finge di dimenticare la legge demenziale del Pd per la difesa sempre legittima (anche senza offesa) nelle ore notturne, o le uscite omofobe dei catto-dem amici di Renzi e degli alfaniani.
Intanto Conte e Di Maio incontrano le vittime delle banche e i riders: le avanguardie dei vinti della crisi finanziaria e del lavoro precario senza diritti; le peggiori eredità di un centrosinistra senza bussole né principi. E parlano di salario minimo, garanzie sociali, reddito di cittadinanza, pensioni anticipate, investimenti al Sud, lotta ai reati dei colletti bianchi, acqua pubblica, green economy. Tutte cose che susciterebbero cori di Exultet, peana alla Sinistra Risorta e boccucce a cul di gallina se le dicesse Pisapia (a proposito: chi ne cercasse traccia può consultare mesi di titoloni di Repubblica alla panna montata). Invece le dice Di Maio, ergo è tutta destraccia. Mattia Feltri, su La Stampa, scopre financo che una frase di Salvini, “Chi si ferma è perduto”, la diceva già Mussolini. Se è per questo, è pure il titolo di un film con Totò e Peppino. Ma d’ora in poi è meglio starci attenti: mettete che a casa vostra, all’ora di cena, vi scappi detto “Apriamo la finestra per cambiare un po’ l’aria”. Siccome lo disse già Hitler a Eva Braun, rischiate di passare per nazisti.---

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