È vero che gli israeliani ebrei non sono ancora consapevoli della pulizia etnica di Gaza, ma stanno prendendo consapevolezza dei pogrom anti-arabi in Cisgiordania. Gradualmente stanno iniziando ad ammettere che i nemici non sono i loro vicini, ma sono tra loro: i sionisti revisionisti.
I restanti due terzi degli israeliani stanno lentamente aprendo gli occhi. L’esecuzione di sei ostaggi da parte di Hamas il 31 agosto, proprio mentre le Forze di Difesa Israeliane (FDI) stavano per liberarli, ha dimostrato che, lungi dal permetterne la liberazione, la presenza di soldati a Gaza li condanna a morte. Ritengono ormai l’ostinazione del primo ministro nell’invadere non solo Gaza, ma anche la Cisgiordania, in disprezzo della vita degli ostaggi, la prova che Netanyahu sta servendo gli interessi dei soli coloni e non di tutti gli ebrei israeliani. Eppure non vedono le sofferenze degli arabi israeliani, i pogrom in Cisgiordania e ancor meno la pulizia etnica di Gaza.
È in questo clima che lo storico sindacato di Israele, l’Histadrut, che fu la principale organizzazione dell’Yishuv tra le due guerre, ha indetto uno sciopero generale. Come tutti i sindacati occidentali, anche questa organizzazione è molto più piccola rispetto al passato, quand’era la propaggine del movimento dei kibbutzim. Oggi conta solo 400 mila iscritti, ma continua a esercitare un’autorità morale. Durante un meeting, il suo segretario generale, Arnon Bar-David, ha dichiarato: «Sono qui per combattere affinché nessuna persona sia abbandonata. Gli ebrei non abbandonano gli ebrei, chi non lo sa? Non possiamo permettere che i nostri figli muoiano nei tunnel in nome di considerazioni politiche». Ritenendo che il sindacato facesse politica invece di difendere i lavoratori, il governo ha fatto dichiarare illegale lo sciopero generale dal Tribunale nazionale del lavoro. Il ministro del Tesoro Bezalel Smotrich ha dato istruzioni alle amministrazioni statali di non pagare i dipendenti pubblici in sciopero. L’adesione al movimento è stata comunque molto alta. La protesta ha inciso nella mente degli israeliani che Benjamin Netanyahu non difende gli ebrei, che non li ha mai difesi.
In coincidenza con lo sciopero, uno dei 32 membri del governo, il ministro della Difesa, generale Yoav Galland, ha dichiarato in consiglio dei ministri che il nuovo obiettivo del primo ministro di occupare il Corridoio di Filadelfia (cioè la piccola striscia di confine tra Egitto e Gaza) vìola gli Accordi di Camp David senza portare alcun vantaggio strategico. La discussione in consiglio è degenerata in invettiva, perciò il generale Gallant ha sollevato pubblicamente la questione.
Secondo il portale internet Ynet (appartenente al gruppo Yediot Aharonot), ritenuto centrista e vicino all’amministrazione, se a maggio si era vicini a un accordo con Hamas, tutto è stato stravolto dal Documento di chiarimento del 27 luglio della parte israeliana. Questo testo ha improvvisamente avanzato nuove richieste che hanno reso impossibile qualsiasi accordo. Per la prima volta è stata esplicitata l’esigenza della presenza delle FDI nel Corridoio di Filadelfia.
Solo chi segue la politica israeliana capisce la portata della simultaneità dello sciopero generale e dello sfogo di Gallant: permette di capire cosa è successo l’anno scorso.
Nella primavera 2023 i partiti democratici fecero pressione su Histadrut affinché organizzasse uno sciopero generale contro il progetto di riforma delle leggi fondamentali (equivalenti a una Costituzione), cioè contro il colpo di Stato che i sionisti revisionisti stavano mettendo in atto. Ma il sindacato di sinistra, invece di limitarsi a difendere la democrazia, si schierò anche a sostegno del generale di destra Yoav Gallant, che Netanyahu aveva improvvisamente rimosso dall’incarico di ministro della Difesa. La pressione fu tale da costringere il primo ministro a reintegrarlo.
All’epoca nessuno capì quale fosse il legame tra il sindacato e il generale. Solo in seguito si apprese che Gallant era stato destituito per la veemenza con cui in consiglio dei ministri aveva chiesto spiegazioni sulla mancata reazione del primo ministro ai rapporti dello Shin Bet (controspionaggio) e delle FDI (Forze di Difesa Israeliane). Quattro mesi prima dell’attacco del 7 Ottobre tutti i servizi d’intelligence israeliani avevano redatto un rapporto via l’altro che annunciava la Tempesta perfetta (nome in codice dell’operazione Diluvio di Al Aqsa del 7 ottobre) che la Resistenza palestinese stava preparando. Il primo ministro non volle prenderne atto. Rimase sordo allo sfogo del generale Gallant. Non difese il Paese durante l’attacco del 7 ottobre ma ne approfittò per ripulire etnicamente Gaza e consentire i pogrom anti-arabi in Cisgiordania.
Quindi alcuni israeliani cominciano a farsi la stessa domanda che noi ci ponemmo da metà novembre [1]: e se Netanyahu non fosse un incompetente, bensì un complice dell’attacco?
La domanda tormenta alcuni israeliani al punto da indurli a chiedere l’istituzione di una commissione statale d’inchiesta su tutti gli aspetti dell’attacco del 7 Ottobre, della sua preparazione e della risposta di Israele. La chiede anche la procuratrice generale di Israele, Gali Baharav Miara, ritenendo pertinenti gli interrogativi. Tuttavia Netanyahu e i suoi complici vi si oppongono.
Questi dubbi sono sorti dopo che la stampa israeliana ha rivelato che il controspionaggio, lo Shin Bet/Shabak, dieci settimane prima dell’attacco avvisò il primo ministro di un’imminente azione di Hamas [2]. In questo caso le fonti non sono straniere, ma provengono da una delle agenzie di sicurezza israeliana.
Gradualmente la storia dell’attuale coalizione governativa emerge. I suprematisti ebrei (i kahanisti) non sono una delle tante sette ebraiche. Si battono sicuramente per la distruzione della moschea di Al-Aqsa e per la ricostruzione del tempio di Salomone sulle sue macerie; i rabbini haredi, sia ashkenaziti sia sefarditi, oltre ai grandi rabbini israeliani, considerano invece il luogo impuro e vietano a tutti gli ebrei di entrare nei cortili della moschea. Sembrano perciò distinguersi dai sionisti revisionisti di Volodymyr Jabotinski e Benzion Netanyahu (padre del primo ministro Benjamin), che militavano per uno Stato ebraico dal Nilo all’Eufrate. In realtà il rabbino Meïr Kahane era un agente negli Stati Uniti di Yitzhak Shamir (successore di Jabotinsky), che lo finanziava attraverso il Mossad, di cui all’epoca era uno dei leader. Del resto, nel 1996, durante il primo mandato di primo ministro, Benjamin Netanyahu fece scavare un tunnel sotto la Moschea di Al Aqsa.
Nessuno in Israele ricorda che Volodymyr Jabotinski e Benzion Netanyahu erano alleati di Benito Mussolini, che ospitò a Roma la loro milizia, il Betar [3]. A maggior ragione nessun israeliano osa interrogarsi sui legami tra questi fascisti storici e il nazismo. È vero che Jabotisnki morì nel 1940, all’inizio della guerra, a New York, senza essere costretto a pronunciarsi sull’ideologia razzista del nazismo. Ma nel periodo tra le due guerre, quand’era direttore dell’Organizzazione sionista (mondiale), Jabotinski si alleò contro i sovietici con i nazionalisti integralisti ucraini di Symon Petlioura e Dmytro Dontsov, i cui uomini commisero massacri di ebrei. Quando l’Organizzazione sionista gli chiese spiegazioni, Jabotinski si dimise senza rispondere. David Ben Gurion, primo ministro israeliano partigiano degli Alleati, diceva che Jabotinski era sicuramente fascista, forse nazista; per questa ragione si oppose al trasferimento delle sue ceneri a Gerusalemme.
La questione dei legami dei sionisti revisionisti con il nazismo è legittima per due ragioni.
In primo luogo i sionisti revisionisti condussero negoziati con i nazisti per tutta la seconda guerra mondiale a danno degli Alleati. Furono i tedeschi a rifiutarsi di continuare la collaborazione, che invece gli ebrei discepoli di Jabotinski chiedevano.
Inoltre, a maggio scorso, lo storico Nadav Kaplan ha rivelato [4] che i seguaci di Jabotinsky si attenevano pedissequamente ai negoziati condotti per tutta la guerra dall’ungherese Rezso Kasztner (noto come Rudolf Ysrael Kastner) con i nazisti, anche con Adolf Eichmann, incaricato del trasferimento degli ebrei nei campi di sterminio. Kaplan ha formulato l’ipotesi (per il momento non sufficientemente suffragata) che Ben Gurion abbia ordinato l’assassinio di Kasztner durante il suo processo per non riaprire la ferita. Se le ricerche di Kaplan dovessero venissero confermate, verrebbe dimostrata una continuità tra il massacro degli ebrei da parte dei nazisti e quello dei palestinesi da parte dei sionisti revisionisti.
Bisogna ammettere che gli israeliani non sono vittime di Hamas, ma, come i palestinesi, lo sono dei sionisti revisionisti.
Rachele Marmetti
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