Di Matteo Mereu: "" del Coordinamento Nazionale del Movimento per la Rinascita Comunista".
Sicuramente il tema dello Sciopero Generale nel nostro Paese è sentito come un problema a diversi livelli: dai lavoratori disincantati, alle imprese, dai sindacati ai Partiti. Non è così sicuramente nel resto d’Europa. Nonostante gli anni di politiche liberiste messe in atto, a differenza dell’Italia, i nostri “vicini” sembrano ancora sensibili alle tematiche sociali. Sono ancora fresche le immagini della scorsa primavera del blocco totale della Francia contro la Riforma delle Pensioni a firma di Emmanuel Macron. E ancora gli scioperi in Inghilterra, che hanno portato alle dimissioni di più ministri, oppure quelli in Germania, dove da molto tempo non si vedeva il blocco delle attività produttive da parte dei lavoratori (complici sicuramente gli anni di Große Koalition a guida Merkel).
Anche in Italia i governi di coalizione allargata e quelli caratterizzati dal cambio repentino di maggioranze (costruiti con il beneplacito della Presidenza della Repubblica, sotto Napolitano prima e Mattarella poi) hanno sancito la quasi totale cancellazione del conflitto sociale.
Il Sindacato Confederale, guidato dal principio del “bene del Paese” – così come i corrispettivi partiti politici – ha deciso di portare avanti un costante tavolo di concertazione con i governi di turno, sperando così di fa incontrare alle proprie proposte una maggiore approvazione dalla politica. Nel momento in cui queste proposte non sono state accettate (dal salario ai contratti, dalle pensioni al costo della vita) il Sindacato si è limitato a convocare scioperi di categoria o singole manifestazioni tematiche, con l’obiettivo intrinseco di non rompere l’unità sindacale tanto ricercata, per due motivi: il primo è relativo alla sempre più limitata capacità di muovere la propria base; il secondo – riguarda la CGIL – il tema dell’unità sindacale è stato uno dei motivi alla base del compromesso che ha portato Landini ad essere eletto segretario generale, senza il quale probabilmente avrebbe fatto fatica ad arrivare a capo della Confederazione. Landini infatti era visto dalla “destra” della CGIL come troppo radicale per guidare il sindacato, vista la sua esperienza a capo della FIOM. Il compromesso sull’unità del sindacato era la conditio sine qua non per garantire la sua elezione. Ricordiamo ancora oggi le immagini delle assemblee tematiche della CGIL con i confronti con Conte o con il presidente di Confindustria, Bonomi. Oppure, all’indomani dell’assalto fascista alla sede della CGIL di Corso Italia a Roma, l’abbraccio con Draghi.Con la caduta di Draghi, le elezioni e la vittoria del centro destra a guida Giorgia Meloni le cose non sembravano cambiare: l’invito del capo del governo al congresso della CGIL lasciava immaginare che la politica di confronto non sarebbe cambiata. In fondo sul punto più critico legato alle politiche sociali come il tema del salario minimo, Meloni aveva lo stesso punto di vista portato avanti dal sindacato: esiste la contrattazione collettiva nazionale, non sono necessari altri strumenti. Poi però cambia la guida del maggior partito di opposizione al governo, ovvero il PD, e anche i rapporti tra sindacato e governo si allontanano. Il nuovo segretario del PD, Elly Schlein, con l’obiettivo di tenere unite le forze di opposizione a partire dai 5stelle, adotta la proposta sul salario minimo e si riavvicina alla CGIL.
Il percorso che ha portato allo sciopero del 17 novembre (non l’unico, sono previste sospensioni dal lavoro il 24 novembre e a dicembre, a seconda delle regioni e delle categorie) è stato caratterizzato dalle assemblee sindacali che hanno preparato il terreno alla mobilitazione, in particolare nella scuola, nelle amministrazioni locali e nel trasporto pubblico. Lo sciopero, inizialmente indetto per 8 ore per tutte le categorie aderenti, è stato ridotto a 4 ore sui trasporti per precettazione del governo “a causa della limitazione al diritto alla mobilità per i cittadini che ne derivava”. In un confronto andato avanti per quasi una settimana CGIL e UIL hanno dovuto poi abdicare alle scelte del governo, aprendo una frattura decisa nei rapporti con le parti sociali.
C’è la sensazione però che nel sindacato pesi ancora la paura di alzare il livello dello scontro con il governo. Sicuramente il governo Meloni non ha alcun interesse ad interrompere quell’apparente luna di miele che intercorre con una parte del Paese che l’ha votato alle ultime elezioni politiche. Inoltre le imminenti elezioni europee sono un banco di prova per le forze di centro destra: nessuno ha intenzione di dare al sindacato e alle opposizioni motivi per uno sciopero generale nazionale. Anche se i motivi sono tutti sul piatto e andrebbero messi insieme: dalla riforma delle autonomie regionali, al caro vita, all’assenza di investimenti in sanità e scuola, dall’aumento delle spese negli armamenti, al taglio delle politiche sociali, al persistere della legge Fornero.
Allora perché il sindacato tentenna? Potrebbe approfittare della situazione per aumentare il proprio consenso nei luoghi di lavoro, soprattutto nei confronti dei lavoratori precari che ancora oggi vedono negati i propri diritti. La paura di rompere l’unità sindacale (la CISL non ha aderito allo sciopero) è più forte della tutela dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori? Probabilmente nelle gerarchie sindacali sì. Sicuramente c’è anche un problema di qualità dei quadri dirigenti, non più in grado di mobilitare la propria base (basti vedere il dato delle adesioni), nonostante il ricambio generazionale avvenuto nelle Camere del Lavoro e nelle categorie a tutti i livelli. È probabile quindi che Landini conosca questi limiti e non voglia alzare il livello della mobilitazione perché conosce lo stato della sua organizzazione, a partire dalla categoria che guidava, la FIOM.
Uno sciopero generale fallito potrebbe essere fatale per il sindacato, per come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi. Ma uno sciopero generale fallito rischia soprattutto di togliere l’ultimo strumento di lotta che i lavoratori hanno a disposizione per tutelare i propri diritti, rischiando di rimanere indifesi in balia dei governi di turno e del capitale.
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