Luciana BorsattiGiornalista, esperta di Iran e Medio Oriente
Solo pazzi irresponsabili – tra Washington e Roma - possono pensare che dopo l’uccisione di Qassem Soleimani il mondo sia più sicuro. Al contrario, l’attacco ordinato da Trump lo ha portato sull’orlo dell’abisso di una crisi senza controllo in Medio Oriente, con contraccolpi sicuri anche in Europa. Perché con Soleimani è morto anche l’accordo sul nucleare del 2015, fortemente voluto da tutti i firmatari come unico strumento duraturo per garantire la pace nella regione, e con quel Jcpoa si sono arenati anche i tentativi diplomatici che sotto traccia continuavano per salvarlo in extremis, trovando un nuovo terreno di compromesso. Di fatto, con Soleimani è morta anche ogni possibilità residua di risolvere i conflitti con la difficile e silenziosa arte della diplomazia....
Lo conferma amaramente una fonte diplomatica europea che preferisce non essere identificata. “Quegli scenari sono saltati – dice - nessuno a Teheran più disposto a persino pensare di trattare. Sono tutti impegnati a trovare la risposta più adatta a quello che è un vero atto di guerra criminale, attuato in spregio di tutti i principi del diritto internazionale. L’azione della scorsa notte è stata uno spartiacque, ormai non si parlerà più di Jcpoa, di Instex, di diplomazia. Siamo solo ad uno scenario militare, che andremo presto a vedere”. Uno scenario che si crea proprio pochi giorni prima del nuovo passo annunciato da Teheran nel suo progressivo disimpegno dal Jcpoa in risposta all’uscita unilaterale di Trump dall’accordo. Passo in vista del quale da parte iraniana si era anche ipotizzato un’uscita dal Trattato di non proliferazione nucleare. E così dovremo ringraziare Trump anche per una possibile, inedita corsa all’arma atomica in Medio Oriente.
Per quanto strano infatti possa sembrare, a chi è abituato a guardare il mondo in bianco e nero, l’Iran in questi ultimi mesi si è sempre mosso con i piedi di piombo. Assestando bene i colpi che doveva dare quando si è sentito sotto attacco (in un regime di massima pressione che da mesi i vertici della Repubblica islamica definiscono una vera e propria guerra economica) ma evitando – come del resto anche il presidente Usa fino a ieri sera – che l’escalation sfuggisse al controllo degli attori in gioco. E al tempo stesso lavorando appunto dietro le quinte per ricucire con gli Usa tramite tutti i possibili interlocutori, per arrivare ad una nuova trattativa con la Casa Bianca. La quale comunque doveva, per Teheran, ristabilire il rispetto del patto del 2015 che aveva tradito tre anni dopo. Non è superfluo ripetere questi fatti, fatti assodati e non opinioni, che in troppi continuano a dimenticare anche sui media italiani o a trascurare perché altre narrative prevalgono.
Il generale Soleimani – il cui sguardo magnetico ha certo contribuito ad aumentarne la fama, sia presso i suoi detrattori che tra i tanti che in Iran lo vedono come un eroe nazionale della lunga guerra innescata da Saddam Hussein e per aver contribuito alla sconfitta dell’Isis in Siria e in Iraq – non rappresenta soltanto una figura militare, ma è parte integrante dei vertici politici della Repubblica Islamica, punto di riferimento degli ultraconservatori e dell’ala militare, in rapporto diretto con la Guida. Khamenei lo definiva il “martire vivente” proprio per l’alta probabilità che venisse ucciso in un attacco mirato, ricorda l’analista americano di origine iraniana Ali Vaez, direttore del progetto Iran per il Crisis Group. E che dal’Oman, dove ora si trova, lancia tweet intrisi di lucido pessimismo. Dall’Iran ”una risposta dovrà arrivare in quanto questo non è altro che una dichiarazione di guerra ad un Paese ormai all’angolo, che ha sempre meno da perdere”. Teheran, aggiunge, potrebbe decidere per una risposta proporzionale che non spinga gli Usa ad un nuovo contrattacco, oppure potrebbe ritenere che “una risposta sproporzionata potrebbe fare da deterrente contro un’ulteriore escalation da parte di un presidente Usa che si dichiara contrario ad altri pantani mediorientali”. Ma la perdita della vita di Soleimani e degli altri miliziani uccisi con lui, conclude, costerà probabilmente molte più vite – di iraniani, iracheni, americani e altri”. Lo sanno bene anche tanti iraniani che, pur non amando Soleimani e la politica estera in Medio Oriente di cui si era fatto portatore, guardano con timopre a quello che potrà accadere da oggi in poi. E perfino alcuni tra quelli che hanno seguito con orrore la repressione indiscriminata delle proteste di novembre in patria, e di cui lo stesso corpo dei Pasdaran era stato esecutore.
Al tempo stesso, Soleimani era anche “una persona molto rispettata in Iran – ricorda Raffaele Mauriello, docente italiano alla Allameh Tabataba’i University di Teheran - oltre le divisioni fra riformisti, conservatori, etc. Hanno ucciso una delle più importanti figure del paese, non della Repubblica Islamica, ma dell’Iran. Molti iraniani stanno condividendo la foto di Soleimani su Instagram: giovani, non giovani, sinistra, destra, tutti”. La sua uccisione, prosegue, “avrà serie ripercussioni in Iran. È avvenuta durante la presidenza di un signore che ha fallito nelle relazioni internazionali, nell’economia e nella sicurezza nazionale. Addio ai moderati? I riformisti già sono scomparsi da molto. Chi rimane? L’uccisione non fa che rafforzare il fronte della resistenza, non indebolirlo. Ci sarà un’inevitabile chiusura di ranghi e posizionamento in alto di chi combatte in prima linea gli USA”, potenza dalle “politiche fallimentari a livello si sicurezza globale”, ma di cui la comunità internazionale resta “ostaggio”. “L’Ue, la Cina, la Russia, tutti non possono stare a guardare”.
Quanto agli effetti della uccisione di Soleimani sul piano regionale, la mappa del rischio più aggiornata del Crisis Group indica ormai in rosso, come “critica”, la situazione dell’Iraq, e sotto “grave minaccia” quella di Libano, Siria e Yemen, oltre che lo stretto di Hormuz e Bab al-Mandab nel Mar Rosso. E l’Italia è particolarmente esposta, ha ricordato il generale Vincenzo Camporini, ex capo di stato maggiore della Difesa, sia in Libano al confine con Israele, dove sono schierati un migliaio di soldati italiani insieme ad altre migliaia del contingente Onu, che in Iraq, dove ci sono circa 800 nostri addestratori. I leader e capi milizia filo-iraniani nella regione si sono allineati con i vertici dei Pasdaran nell’annunciare vendetta per la morte di Soleimani. Ma il segretario di stato Mike Pompeo si dice invece convinto che l’attacco ha salvato molte vite, sventando un attacco imminente da parte di Teheran, la cui natura ancora una volta non viene precisata. Ma una cosa invece è certa: la pazienza strategica dell’Iran dalla scorsa notte è finita. E ne vedremo presto le conseguenze.---
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