I numeri, crudi come il principio di realtà, precipitano sulla “grande bonaccia” da post voto in Emilia: un “sospiro di sollievo” diventato quasi una “rimozione” dell’agenda imposta dal paese reale, già al primo tavolo di governo dove l’avvocato Conte ha avviato la cosiddetta “verifica” con una dotta dissertazione sul metodo: il “come” farla prima ancora del “che cosa fare”. Una dissertazione, prima che l’ennesimo capitolo dell’immobilismo fosse scosso dai casi del Coronavirus, implacabile anche rispetto alla stanca ritualità del Palazzo.
I numeri, dicevamo: 1.273, gli sbarchi dalla Libia nell’ultimo mese, più l’Open Arms con altri 282 naufraghi a bordo, che stamattina ha chiesto l’indicazione di un porto sicuro; -0,3 il dato del Pil rilevato dall’Istat rispetto al terzo trimestre del 2019, che rappresenta il calo trimestrale più forte dall’inizio del 2013. Insomma, gli sbarchi sono aumentati del 1.000 per cento rispetto a un anno fa quando, in piena era Salvini erano 155; il Pil si attesta ad oggi allo 0,2, in calo rispetto a molte previsioni, come quella di Bankitalia, che nel bollettino economico del 17 gennaio parlava di un dato che probabilmente sarebbe rimasto stazionario....
Ingeneroso sarebbe scaricarlo sul governo e sulla manovra, i cui effetti saranno misurati dalla prossima rilevazione. Realistico però misurare, proprio ai numeri, il paradosso di un governo in cui, dopo l’Emilia, non sono più in discussione (se mai lo sono stati davvero) i margini di esistenza, ma sono più ristretti quelli di movimento e di operatività. Ristretti perché avvolti nella contraddizione di un movimento che scompare nel rapporto con l’elettorato ma resta il primo in Parlamento, dove si consuma la sua crisi strutturale. È quel che ha spiegato Franceschini al termine del vertice a qualche ministro che lo chiamato: Conte procede con lentezza, nella consapevolezza che il movimento proprio perché rischia di essere travolto, difficilmente è nelle condizioni di decidere. E difficilmente è nelle condizioni di rinunciare alle sue bandiere.
È la fotografia di un vuoto momentaneamente e drammaticamente riempito da un’emergenza virale oggettiva, il cui effetto dirompente, come è naturale che sia, copre le singole urgenze politiche. Quella di un campanello d’allarme sulla quasi recessione, di fronte alla quale il ministro Gualtieri non può fare altro che rassicurare sulla “implementazione” delle politiche per la crescita, non sapendo e non potendo anticipare come queste politiche saranno declinate, quando il dibattito sul metodo atterrerà sul terreno dei contenuti. O l’affaire libico oggetto di un frettoloso vertice mattutino a palazzo Chigi, in cui è andato in scena lo stesso copione della sera precedente: un inconcludente giro di opinioni prima di mettere la testa sullo Spallanzani. Vertice risoltosi, anche in questo caso, con una discussione di metodo: sarà Di Maio a trattare sul memorandum, recependo le richieste degli altri ministeri, per poi lunedì sottoporre la questione al ministro dell’Interno di Serraj.
Un esito che a stento copre il dato di fondo, a meno di due settimane dal vertice di Berlino. E cioè la totale scomparsa del nostro paese dalla Libia, nel momento in cui la crisi diventa più acuta: Di Maio telefonerà a Guerini e alla Lamorgese per parlare di memorandum, ma è lecito dubitare sull’esistenza di canali aperti, tali da attestare un ruolo del nostro paese in Libia. E le immagini odierne di un cargo turco carico di armi alla costa di Tripoli immortalano un salto di qualità che supera la discussione tutta italiana sul memorandum, perché è evidente che non è nelle priorità del governo Serraj convocare una commissione di esperti mentre sbarcano carri armati. Ed è altrettanto evidente che, in questi giorni, la guardia costiera libica non è intervenuta sulle partenze per usare l’immigrazione come strumento di pressione. Dopo dieci giorni che Haftar ha chiuso i pozzi petroliferi verso gli altri paesi, mai successo neanche nei momenti più drammatici.
Alla fine è probabile che il Memorandum si rinnoverà così come è, perché tutti ne parlano male ma non è stato revocato e i termini scadono domenica. Ma il governo è impotente sul tema dell’immigrazione e dell’energia, cuore dell’iniziativa turca nel Mediterraneo. A differenza del Belgio, che può concedersi il lusso di non avere un governo per due anni, l’Italia è un paese di confine e ad alto debito, che non può andare col pilota automatico sull’immigrazione e sull’economia. Per una questione di interesse nazionale. E anche per una questione politica: quanto un paese in declino è più forte nel contrastare il sovranismo? A proposito, per completare il quadro: questa settimana i lavori parlamentari sono terminati il mercoledì pomeriggio, la scorsa non c’è stata Aula perché c’erano le elezioni, la prossima si inizia martedì pomeriggio e si finisce mercoledì mattina: qualche ratifica, qualche mozione, neanche l’ombra di un provvedimento degno di questo nome. Dietro il virus, il vuoto.
- Alessandro De AngelisViceDirettore
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