venerdì 13 aprile 2018

“Il guinzaglio corto”: editoriale di Marco Travaglio



(di Marco Travaglio – da Il Fatto Quotidiano del 13 aprile 2018) –
 La gag del Caimano che umilia per l’ennesima volta i suoi alleati sotto le auguste volte del Quirinale non è soltanto folklore. A 40 giorni dalla sua ennesima disfatta elettorale, sono accadute varie cosucce che parrebbero smentire l’irrilevanza del Caimano raccontata da chi si ostina a negare i suoi scandalosi conflitti d’interessi. E confermare quelle doti nascoste (per chi non le vuole proprio vedere) che consentono alla Cara Salma (politica) di esercitare un potere di veto e di interdizione assolutamente sproporzionate al suo peso elettorale e parlamentare. Tutte “doti” che non c’entrano nulla con la politica, ma seguitano a bloccarla come se il titolare fosse ancora il leader del centrodestra. Già il fatto che sia il capo di FI la dice lunga: nel 2011 perse la maggioranza e il governo, nel 2013 dimezzò i voti lasciandone per strada 6,5 milioni, nel 2014 fu condannato in via definitiva per frode fiscale ed espulso dal Parlamento, ora ha perso altri 3 milioni di voti. Dite voi in quale Paese un qualunque partito si terrebbe lo stesso leader plurisconfitto. Ma tant’è...
Si pensava almeno che la Lega avrebbe preteso il giusto riconoscimento al suo strepitoso successo con una carica istituzionale: invece la presidenza del Senato destinata al centrodestra è andata a FI. Salvini aveva proposto almeno una figura presentabile: la Bernini. Niente da fare, B. ha imposto l’impresentabile Casellati. E i leghisti zitti.
Ora Salvini muore dalla voglia di andare al governo con i 5Stelle, liberandosi della zavorra berlusconiana. Il contratto offerto da Di Maio, anche grazie all’insipienza di quel che resta del Pd, è lì sul tavolo: basta firmarlo. Ma B. non vuole: se non c’è lui, non se ne fa niente. E Salvini, salvo sorprese dell’ultima ora, quel passo non lo fa. Perchè non vuole o non può farlo? Qui i fatti cedono il passo alle illazioni. O forse a qualcosa di più concreto, dopo 24 anni di eventi all’apparenza incomprensibili ogni volta che c’è di mezzo B. Nel 1996, perse le elezioni contro l’Ulivo di Prodi, B. era isolato (Bossi aveva corso da solo, aveva sfiorato il record del 10% dei voti, minacciava di abbattere i tralicci di Mediaset e lo chiamava “il mafioso di Arcore”) e sommerso di debiti e di processi: bastava una legge sul conflitto d’interessi, una norma antitrust e l’applicazione della sentenza della Consulta che imponeva a Mediaset di mollare Rete4, e sarebbe politicamente morto. Invece il centrosinistra lo salvò con l’ok alla quotazione in Borsa, la legge Maccanico salva-Rete4, le riforme-vergogna sui processi e lo sdoganamento come padre costituente nella Bicamerale targata D’Alema.
Nel 2006-08 era così disperato che iniziò a comprare senatori anti-Prodi: lo salvò un’altra volta il centrosinistra, cioè Napolitano e il Pd di Veltroni e Napolitano, che diedero una grande mano a Mastella&C. a rovesciare Prodi e riportare B. al governo. Nell’ottobre 2010 B. perse Fini (subito linciato per la casa di Montecarlo) e poi la maggioranza: ma Napolitano rinviò il voto sulle mozioni di sfiducia, dandogli il tempo di comprare una trentina di parlamentari. Nel 2011, complici gli scandali e lo spread, dovette arrendersi. Sarebbe bastato votare subito e si sarebbe estinto. Ma Napolitano e il Pd decisero di varare con lui il governo Monti, dissanguando il centrosinistra, garantendo a B. un 20% alle elezioni del 2013 e arruolandolo subito dopo nella rielezione di Re Giorgio, nel governo Letta, nel Nazareno, nella riforma costituzionale e in due leggi elettorali. Operazione che Renzi sognava di ripetere ora, grazie al Rosatellum fatto su misura contro i 5Stelle e pro FI, senza però fare i conti con gli elettori. Eppure la Cara Salma continua a dettare legge: Salvini, al netto delle rodomontate, torna all’ovile a ogni richiamo all’ordine. Come se avesse il guinzaglio troppo corto per uscire di casa senza il padrone. Evidentemente c’è qualcosa che i due sanno e noi non sappiamo. Solo le famose fidejussioni con cui B. garantì la Lega con le banche e che lo resero azionista del Carroccio fin dai tempi di Bossi, nel lontano 2000? O qualcos’altro? Mistero.
Sta di fatto che la Lega è legata tuttoggi indissolubilmente a lui. Se i 5Stelle sfidano Salvini a slegarsi ben sapendo che non può farlo, sono dei politici astuti. Ma se credono davvero che possa farlo, sono dei fessi e dei poveri illusi. Anche se Salvini, immemore della fine di Fini, si immolasse come i kamikaze mollando il Caimano, difficilmente lo seguirebbe l’intera Lega. Qualcosa ci dice che, a quel punto, la pattuglia parlamentare del Carroccio si assottiglierebbe giorno per giorno, con una lenta ma inesorabile transumanza di parlamentari verso il gruppo forzista: i bossiani e i maroniani ora stanno allineati e coperti, ma fino a quando? Se qualcuno pensa che Maroni abbia lasciato la Regione Lombardia per fare il rubrichista del Foglio, cioè per entrare in clandestinità, si illude. Poi, certo, c’è anche l’ipotesi che B. finga di accettare un governo M5S-Lega, limitandosi a un appoggio esterno senza ministri in cambio di garanzie per le aziende e i processi (ci stanno lavorando i vari Ghedini e Confalonieri, che incontra Lotti e altri senza che nessuno si scandalizzi o domandi a che titolo, mentre Mediaset si libera dei “populisti” Del Debbio, Belpietro e Giordano). Ma, dopo qualche settimana, un appoggio esterno ininfluente diventerebbe determinante con la solita compravendita di parlamentari leghisti. Che razza di “governo di cambiamento” sarebbe quello che non può neppure sfiorare i conflitti d’interessi, i trust editoriali, la Rai, la corruzione, l’evasione, la mafia e alle altre ragioni sociali di FI? Ieri Salvini vaneggiava di “riforma della giustizia” e B. annuiva: è sicuro Di Maio che sia la stessa che ha in mente lui?---

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