domenica 1 aprile 2018

“Camere con vista”: editoriale di Marco Travaglio



(di Marco Travaglio da Il Fatto Quotidiano 1 aprile 2018) – 
L’ha scritto Antonio Padellaro, l’ha detto Roberto Fico al Fatto: il Parlamento può fare subito leggi importanti anche senza nuovo governo. Intanto si fanno le consultazioni e si vede se nascerà un governo, e quale, o si tornerà a votare, e quando. Per tre mesi al massimo (lo fa intendere Mattarella), l’ordinaria amministrazione la gestisce il dimissionario Gentiloni, ben conscio che la maggioranza che l’ha eletto non c’è più (era già minoranza nella scorsa legislatura, drogata dal premio incostituzionale del Porcellum, figuriamoci oggi che rappresenta il 20% dei votanti). Infatti, per le scelte di peso (tipo l’espulsione di diplomatici russi), consulta gli altri partiti. Che può fare il Parlamento in questo limbo? Non misure costose senza copertura, tipo quelle promesse dai vincitori: reddito di cittadinanza, riforma della Fornero, flat tax ecc. Queste richiedono un nuovo governo legittimato dal voto che sposti le risorse esistenti da un capitolo di spesa all’altro e ne recuperi – se ci riesce – di nuove. Ma norme a costo zero, o addirittura a saldo attivo, perché no? Fico, nell’intervista al nostro giornale, ne ha indicate alcune che non necessitano neppure di leggi vere e proprie, ma semplici riforme regolamentari....
Una è quella, già avviata al Senato da Grasso, contro i voltagabbana. Un’altra è l’abolizione dell’indennità aggiuntiva ai presidenti di commissione (che arrivano a guadagnare 18 mila euro e rotti al mese). Una terza è la norma sui vitalizi: per ricondurre le pensioni dei parlamentari (in carica o ex) al trattamento dei cittadini comuni basta una delibera degli uffici di presidenza, che potrebbe ricalcare la legge Richetti (Pd) appoggiata alla fine della scorsa legislatura da M5S, FdI e Lega e sabotata proprio dal partito proponente, che fece dire a Richetti ai suoi compagni: “Mi vergogno di voi”. Se i partiti cosiddetti “antisistema” – M5S, Lega e FdI – propongono subito queste tre cose, gli altri gruppi – Pd, FI e LeU – dovranno prendere posizione e votare sì o no. E, quando si andrà a votare, gli elettori se ne ricorderanno. Cioè premieranno chi ha detto sì e puniranno chi ha votato no a misure non certo risolutive, ma indicative dell’inversione radicale di rotta invocata dagli italiani nelle urne. A questi antipasti, ci permettiamo di aggiungere nel menu due primi più sostanziosi: sulla Rai e sui finanziamenti della politica. La Rai ha il Cda e il Dg in scadenza, da rinnovare a maggio: salvo miracoli, se ne occuperà il governo dimissionario, che la schiforma Renzi, tracopiata dalla Gasparri, rende padrone assoluto del “servizio pubblico”.
Il governo, s’intende, in combutta con la sua defunta maggioranza. M5S e Lega – gli unici partiti dotati di gambe e braccia per muoversi in scioltezza – dicano subito che intendono fare: vogliono partecipare all’ennesima abbuffata, lottizzando qualche consigliere e qualche direttore di rete e tg, o riformare subito il sistema? Nel primo caso, dimostreranno agli elettori di essere come gli altri. Nel secondo, potrebbero dire al governo di prorogare l’attuale vertice per qualche mese, in attesa di votare al più presto una proposta di legge sul “modello Bbc” (basta copiare quella di Valentini, Giulietti, De Zulueta e Sabina Guzzanti, con le firme di decine di artisti, giornalisti e operatori) per affidare la Rai in una fondazione guidata da chi ci lavora o ci dovrebbe lavorare, al riparo dalle grinfie dei politici. Sui fondi ai partiti, leggetevi l’intervista a Raffaele Cantone e le cronache sulla strana onlus sospettata di nascondere all’estero il tesoretto della Lega sottratto ai giudici. Invece di minacciare querele ai giornali che ne parlano, Salvini farebbe bene a presentarsi alla stampa con gli amministratori della società (pare siano uomini suoi) e spiegare la provenienza dei fondi, gli investimenti border line, i veri rapporti col suo partito e i responsabili delle decisioni (risalgono alla gestione Maroni o alla sua?). Dopodiché, siccome molti partiti e singoli politici controllano fondazioni, onlus & affini per rastrellare fondi senza pubblicarne i donatori con la scusa della privacy, il sospetto è che incassino legalmente tangenti mascherate da donazioni da aziende beneficate dai loro governi locali o nazionali.
Altrimenti dichiarerebbero i nomi dei benefattori, senz’aspettare che emergano da questa o quella indagine giudiziaria (le coop di Buzzi & Carminati al Pd, il costruttore Parnasi alla Lega, e così via). E, quando si andrà a votare, gli elettori se ne ricorderanno. Cioè premieranno chi ha detto sì e puniranno chi ha votato no a misure non certo risolutive, ma indicative dell’inversione radicale di rotta invocata dagli italiani nelle urne.
A questi antipasti, ci permettiamo di aggiungere nel menu due prim i più sostanziosi: sulla Rai e sui finanziamenti della politica. La Rai ha il Cda e il Dg in scadenza, da rinnovare a maggio: salvo miracoli, se ne occuperà il governo dimissionario, che la schiforma Renzi, tracopiata dalla Gasparri, rende padrone assoluto del “servizio pubblico”. Il governo, s’intende, in combutta con la sua defunta maggioranza.
Dopodiché, siccome molti partiti e singoli politici controllano fondazioni, onlus & affini per rastrellare fondi senza pubblicarne i donatori con la scusa della privacy, il sospetto è che incassino legalmente tangenti mascherate da donazioni da aziende beneficate dai loro governi locali Quindi è urgentissimo che tutte queste sigle mascherate da fondazioni o da altro vengano assoggettate alle regole di trasparenza imposte ai partiti e ai singoli politici (con l’aggiunta si sanzioni severe): possono ricevere finanziamenti privati da chiunque (ergo, non da società pubbliche), purché donatori e beneficiari li dichiarino nella massima trasparenza.
I 5Stelle, che fanno della trasparenza una bandiera e finora non sono finiti in scandali del genere, presentino subito una proposta di legge. E se Salvini, come dice, non ha nulla da nascondere, la faccia votare dai suoi: la maggioranza per approvarla ce l’hanno da soli. Se invece Salvini non ci starà, potrebbero votarla il Pd e LeU, se davvero vogliono superare il renzusconismo, fondato proprio sulla negazione della trasparenza.
Leggi così attese e popolari possono creare in Parlamento un terreno comune per intese di governo. A proposito: il Corriere della Sera intervista un leader Pd (il capogruppo alla Camera Graziano Delrio) che vaneggia di “distanze sostanziali fra M5S e Pd”; peccato che il sondaggio di Pagnoncelli confermi l’opzione preferita dagli elettori del Pd, diametralmente opposta a quella dei vertici: un governo con i 5Stelle.
Intanto la Lega ha superato il Pd che, come sempre, crede di capire tutto e non capisce nulla.

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