di Clara Statello per l'AntiDiplomatico 22 Luglio 2024 08:00
La guerra in Ucraina è una guerra per il nuovo ordine globale. L'Occidente ha trasformato un conflitto locale nella lotta tra democrazia e autocrazia, tra Bene e Male, cioè in uno scontro di civiltà. La guerra sarebbe potuta finire dopo poco più di un mese, con l'accordo negoziato a fine marzo a Istanbul, che prevedeva condizioni vantaggiose per Kiev, se Boris Johnson e altri leader occidentali non l'avessero sabotato.
Ciò a dimostrazione che il sostegno militare all'Ucraina non è motivato dalla noble difesa dei diritti fondamentali dei popoli. La NATO combatte una guerra fino all'ultimo ucraino contro la Russia per mantenere il proprio primato. I Paesi occidentali sacrificano Kiev sull'altare della supremazia del blocco imperialista a guida statunitense.
Se Putin vincesse, non si limiterebbe a colpire la Georgia, ma l'intero vicino estero russo, nel tentativo di ricostruire l'Unione Sovietica. La fine della deterrenza NATO, inoltre, incoraggerebbe l'iniziativa della Cina su Taiwan e di Hezbollah in Israele.
Questo è il timore dei leader europei, espresso in modo chiaro dall'ex premier inglese Johnson in un editoriale pubblicato sabato sul Daily Mail.
Su una cosa i vassalli di Washington hanno ragione: il mondo unipolare è al tramonto. Le nuove potenze emergenti, sempre più presenti sui mercati internazionali, chiedono un maggior protagonismo decisionale; chiedono un ordine internazionale dominato dalle regole del diritto, non dai veti statunitensi e dai doppi standard; chiedono pari dignità ai popoli del mondo.
Ma non sarà la Cina o l'Iran o la Russia ad attaccare militarmente l'Occidente, per imporre un ordine che è già reale.
"All'improvviso, potremmo trovarci sulla soglia di un conflitto davvero spaventoso in cui gli americani si troverebbero di fronte a una scelta: o abbandonare ogni pretesa di leadership globale, oppure pagare migliaia di miliardi di dollari per ristabilire l'ordine e rimandare i giovani americani all'estero a morire di nuovo in terra straniera", scrive Johnson sul Mail.
La guerra la porterà (ancora una volta) la NATO per difendere il primato degli Stati Uniti. In campagna elettorale Donald Trump parla di pace a elettori stanchi di un sistema che è andato a pezzi. Ma The Donald non ha la benché minima intenzione di rinunciare al primato statunitense, né di regalare l'Ucraina a Putin.
Il crollo del sogno americano e le priorità di Trump
La vecchia "America" è insofferente alla guerra in Ucraina. Tutto ciò che si trova all'interno, tra east coast e west coast, sta pagando la sconfitta della globalizzazione. Le meravigliose promesse di fine della storia, trionfo della democrazia e (soprattutto) nuovo secolo "americano", si sono trasformate in un incubo fatto da deindustrializzazione, immigrazione, miseria e fentalyn.
A ritorcersi contro sono state le stesse premesse economiche e militari della globalizzazione (abbattimento delle frontiere, libertà di mercato, esportazione di capitale, delocalizzazione della produzione, importazione di manodopera a basso costo da Paesi più poveri, esportazione della democrazia, guerra al terrorismo). La vittoria è stata servita su un vassoio d'argento ad altri Paesi: BRICS e Sud Globale.
La minaccia della fine del "sogno americano" è la minaccia all' "american way of life", quello stile di vita che era stato determinante nella competizione con l'URSS, ma che adesso non serve più. Gli "americani" si sono risvegliati statunitensi, in una convivenza forzata con i veri americani, che si spostano dal "patio trasero" al centro dell'Impero. Forse gli unici ancora a credere in quel sogno.
Gli elettori repubblicani, e non solo loro, non sono disposti a pagare i costi di una guerra che apparentemente non li riguarda, a migliaia di miglia da casa loro. Non percepiscono la Russia come una minaccia al proprio stile di vita. Il nemico non è esterno, è interno.
Gli slogan "America First" e "Make America Great Again" racchiudono le poche ma incisive risposte alle inquietudini degli statunitensi colpiti dalla crisi americana. Le parole di pace di Donald Trump e dei suoi uomini (Vance e Grenell), su una rapida soluzione diplomatica al conflitto in Ucraina, hanno un duplice scopo:
- rassicurare gli elettori che i soldi delle loro tasse serviranno a migliorare le proprio vite, cioé a risolvere i problemi interni, piuttosto che imbarcare il Paese in un altro disastroso conflitto d'oltreoceano;
- far capire agli europei che se considerano la Russia una minaccia per la loro sicurezza, non possono più chiedere aiuto a Washington, ma devono essere loro stessi a risolvere il problema, con maggiori investimenti nella difesa e nella NATO.
Il contenimento di Mosca non è esistenziale per gli Stati Uniti. Dopo il fallimento della controffensiva al Sud della scorsa estate, la guerra in Ucraina sarà delegata ai partner europei. Esiste una scala di priorità: riportare stabilità in Medio Oriente, per difendere l'alleato israeliano dalle minacce dell'area, e l'Asia Pacifico. L'Europa dovrà tenere impegnata la Russia in Ucraina, mentre Washington prepara la guerra contro Pechino, il suo vero obiettivo.
Il grande equivoco del vicepresidente "filorusso"
A meno di grosse sorprese, si può affermare che Trump ha già vinto le elezioni presidenziali prima ancora dell'inizio della campagna elettorale. La sua reazione all'attentato l'ha consacrato eroe e costretto Biden ad uscire di scena.
In termini materiali ciò si traduce in una fuga dei finanziatori dal partito Democratico a quello Repubblicano. Le oligarchie finanziarie investono in Trump non per seguire un programma "antisistema" (ovviamente), ma perché ritengono che sia l'unico in grado di rimettere l'"America" al suo posto: al Numero Uno.
Lo spiega magistralmente Johnson all'inizio del suo editoriale, riferendosi all'immagine di Trump sanguinante che si divincola dagli agenti per mostrare il pugno alzato ai suoi seguaci, gridando "fight, fight, fight": "quell'immagine dice agli americani, con me come vostro leader, voi non sarete piegati. Voi non sarete sconfitti [...] Credo che questo spirito indomito sia esattamente ciò di cui il mondo ha bisogno in questo momento, ed è esattamente ciò di cui c'è bisogno alla Casa Bianca".
Tutto cambia perché tutto resti come prima, insomma.
L'emblema di questo "restyling" è Jason David Vance, candidato vicepresidente, che con la sua storia ridà slancio proprio a quel "sogno americano" morente, al mito dell'indivuduo che seguendo i valori "americani" supera le avversità di una società matrigna e ingiusta.
L'etichetta di filorusso che si è guadagnato quando, lo scorso dicembre, ha parlato di accordo tra Ucraina e Russia senza il ritorno dei territori ai confini del '91, è frutto di un equivoco (o di una mossa propagandista dei dem, a cui non crede più nessuno). Vance semplicemente svolgeva il suo ruolo, ovvero dar forza alla sua parte politica, durante il braccio di ferro al senato tra repubblicani e democratici, sullo stop gli aiuti per Kiev.
La mossa è servita a far ricadere il peso del sostegno alla guerra e alla NATO sull'UE. I governi europei si sono rassegnati al cosiddetto "ritiro" degli Stati Uniti in Europa. Prima hanno varato un piano da 50miliardi per l'Ucraina poi hanno trasferito il comando del gruppo di Weimar dal Pentagono a Bruxelles.
Dopo queste mosse il Congresso ha sbloccato il pacchetto da 61miliardi per l'Ucraina (con una consistente parte dei fondi che tornerà al comparto bellico-industriale statunitense). A questo punto Vance ha parlato chiaramente del ruolo degli Stati Uniti nella guerra in Ucraina.
"Se noi ci concentriamo sull'Asia e sul contenimento della Cina, gli europei possono farsi avanti in Europa [...] Allora perché gli americani stanno sovvenzionando la sicurezza europea? Dovremmo concentrarci sui nostri problemi, principalmente la Cina [...] se gli europei sono disposti a farsi avanti e ad assumersi maggiori responsabilità per la propria difesa, possono gestire Putin e lasciare che [gli Stati Uniti] si concentrino sulla Cina", ha detto a fine aprile in un'intervista a Foxnews.
L'Europa ha recepito il messaggio che arriva da Washington. Ursula von der Leyen ha indossato letteralmente l'elmetto (nel suo spot elettorale) e agitando lo spauracchio del pericolo fascista, ha unito buona parte della sinistra europea, dai verdi agli pseudocomunisti di Melenchon, su un programma bellicista di riarmo e trasformazione dell'UE in un'antirussia. Chi pensa che repubblicani di Trump e progressisti europei siano nemici naturali sbaglia. Il rapporto è sempre lo stesso dal dopoguerra in poi: di subalternità delle classi dirigenti europee agli ordini di Washington.
La politica estera di Trump
Negli ultimi giorni, si sono susseguite dichiarazioni a sostegno di una soluzione diplomatica per la fine della guerra in Ucraina. Trump ha avuto una conversazione telefonica con Zelensky giovedì. Nel comunicato ribadisce che porterà la pace e porrà "fine ad una guerra costata tante vite" con un accordo tra entrambe le parti che "apra le porte alla prosperità".
Vance e Richard Grenell (probabile segretario di Stato in caso di vittoria di Trump) ribadiscono che gli Stati Uniti devono stare fuori dalla guerra, che la guerra in Ucraina è un problema dell'Europa e gli europei devono sbrigarsela da soli. Come se la presenza militare statunitense in UE di uomini, basi e sistemi d'arma schierati, fosse un costo e non un vantaggio strategico per il primato degli USA (pagato da noi europei in termini di sovranità, sicurezza e prosperità).
La promessa di pace fatta da Trump risponde da un lato alla pura propaganda elettorale, dall'altro alla necessità di riportare gli Stati Uniti alla supremazia assoluta sui competitor, attraverso il contenimento del nemico principale: la Cina.
Questo piano è stato esposto nero su bianco dall'ex consigliere per la sicurezza di Trump, Robert 'O Brien, in un articolo pubblicato il 18 giugno su Foreign Affair, la cui idea chiave è "la pace con la forza", ovvero la sempiterna legge di ogni impero: si vis pacem para bellum.
L'unico strumento per mantenere la pace è non è la diplomazia ma la deterrenza. La guerra in Europa è scoppiata perché con Biden la deterrenza ha perso credibilità e ciò ha spinto Putin ad aggredire l'Ucraina. Questa è la lettura di 'O Brien.
"Questa palude di debolezza e fallimento americano reclama a gran voce un ripristino trumpiano della pace attraverso la forza", scrive.
Accanto alla sfida posta dall'asse Pechino-Mosca-Teheran, gli USA con Trump intendono recuperare il proprio cortile di casa, ripristinando la dottrina Monroe. C'è da attendersi dunque una nuova offensiva contro l'America Latina, in particolare Cuba, Venezuela, Nicaragua e Bolivia. Sarà condotta con tutti i mezzi: militari, diplomatici, commerciali, politici e soprattutto con le destabilizzazioni (roll back per cambiare i regimi). Nella prospettiva del ripristino della deterrenza, infine,oltre al rafforzamento delle forze armate, la nuova amministrazione Trump dovrebbe riprendere i test nucleari, in base a quanto si legge nel documento.
Con Trump l'America, deve tornare a far paura ai suoi avversari. Altro che amicizia fra i popoli o posizioni "filorusse"!Il programma di politica estera dei repubblicani è chiarissimo: riarmo, riarmo, riarmo.
Il piano di pace di Johnson
Potrebbe sorprendere che il sabotatore dell'accordo che avrebbe potuto salvare centinaia di migliaia di vite, proponga proprio adesso un piano di pace. Boris Johnson invece è un fedele interprete della linea di Trump.
Nel piano delineato nel Mail propone il ritiro delle truppe russe sui confini del 24 febbraio 2022, riconoscendo alla Russia soltanto la Crimea. L'Ucraina quindi – con il Donbass e Kherson – aderirebbe alla UE e alla NATO. Mosca sarebbe compensata con la garanzia di una tutela delle minoranze russe e la riammissione nel formato G8. Per giungere a queste condizioni Kiev va armata fino ai denti, con l'autorizzazione a colpire la Russia in profondità. Solo con la forza la il Cremlino si convincerà a sedersi al tavolo dei negoziati, accettando condizioni svantaggiose.
E' plausibile che Trump adotterà un piano del genere, quando e se si insedierà alla Casa Bianca. All'Europa spetterà il compito di mostrare i muscoli alla Russia, sia fornendo armi e denaro all'Ucraina, sia ricostruendo la propria deterrenza. A Washington, invece, il ruolo di "pacificatore".
Ancora una volta, però, le proposte partono non da condizioni concrete, ma da pregiudizi che non tengono minimamente conto dei rapporti di forza, della realtà sul campo di battaglia, nè del fatto che la Russia sta combattendo una guerra esistenziale e che non si fiderà più delle garanzie fornite da leader politici dell'Occidente collettivo.
Anche Mosca ha ampliato il suo orizzonte strategico e si è definitivamente voltata ad Est, verso Pechino. Gli iniziali proclami occidentali di guerra di civiltà si sono rivelati self-fulling profecies: la posta in palio non è più Kiev, ma il mondo multipolare. ----------------
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