lunedì 20 dicembre 2021

Marco Tosatti - Esclusivo. Il "costituzionalista" Baldini: “siamo in un regime normativo al di fuori della Costituzione”.


 


Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, mi sembra interessante offrire alla vostra attenzione questo articolo pubblicato su Informazione Cattolica da Matteo Orlando. Un tema che se fossimo ancora in un Paese dove la Magistratura e l’informazione, nel loro ruolo di bilanciamento della politica, facessero il loro dovere, potrebbe essere affrontato in maniera adeguata. Ma ahimè…buona lettura.

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Esclusivo. Il costituzionalista Baldini: “siamo in un regime normativo al di fuori della Costituzione”

di Matteo Orlando

 

IL COSTITUZIONALISTA VINCENZO BALDINI: STIAMO ASSISTENDO AD “UNA TRASFORMAZIONE DEI DIRITTI FONDAMENTALI DI LIBERTÀ IN UNA SORTA DI PRIVILEGI AUTORIZZATI DAL POTERE MENTRE LO STATO DI DIRITTO APPARE SEMPRE PIÙ INDEBOLITO ANCHE NELLE PREROGATIVE DI INDIPENDENZA DEI GIUDICI. IN QUESTO NUOVO ORDINE, IL GOVERNO – MA DIREI, PIÙ GENERALMENTE, I POTERI PUBBLICI DELLO STATO – CONTROLLANO OGNI ASPETTO DELLA VITA SOCIALE E PROGRAMMANO PERSINO L’ESERCIZIO DELLA LIBERTÀ, SOTTOPOSTA A MISURE DI AUTORIZZAZIONE

Siamo in un regime normativo al di fuori della Costituzione, dominato dal monopolio della politica“. A dirlo in questa intervista per Informazione Cattolica è il professor Vincenzo Baldini, Ordinario di diritto costituzionale presso l’Università degli studi di Cassino e del Lazio Meridionale e responsabile scientifico del Laboratorio dipartimentale (e della Rivista telematica) “Diritti fondamentali“.

Professor Baldini, il Governo pro tempore, in occasione della seduta del Consiglio dei Ministri del 14 dicembre 2021, ha deciso di prorogare l’emergenza sanitaria in atto fino alla data del 31 marzo 2022, ben oltre il termine massimo di ventiquattro mesi contemplato nel d.lgs. n. 1/2018. Come valuta, dal punto di vista costituzionale, questa scelta?

L’emergenza sanitaria in Italia ha qualcosa di sui generis. Non può intendersi come “emergenza costituzionale” almeno nella misura in cui con questa espressione voglia alludersi ad una fattispecie prevista e regolata da norme costituzionali (nella nostra Costituzione -a differenza ad es., di quella francese spagnola e anche tedesca- l’emergenza costituzionale non trova alcuna formale cittadinanza),  non può essere valutata alla stregua delle norme del T.U. in materia di protezione civile (d.lgs. n. 1/2018) visto che essa è trattata con atti normativi di livello primario (tali sono i decreti leggi, atti equiparati alla legge), dunque in grado di superare ogni precedente disciplina disposta da altra legge formale. Pertanto, la questione – dal punto di vista costituzionale – non può rinvenirsi nel fatto che l’emergenza sanitaria sia prorogata oltre il termine stabilito dal citato decreto legislativo n. 1/2018 ma nel fatto che tale disciplina emergenziale, non trovando espressi ancoramenti nella Carta del ‘48, si impone come una fattispecie priva di alcun orizzonte, a livello giuridico-costituzionale. In altre parole, siamo in un regime normativo al di fuori della Costituzione, dunque dominato dal monopolio della politica. Carl Schmitt tenderebbe a identificarlo come “stato d’eccezione”.

Perché la Costituzione italiana vigente non disciplina, ad eccezione dell’ipotesi bellica di cui all’art. 78, lo stato di eccezione? E che differenza c’è tra “stato di eccezione” e “stato di emergenza”?

La scelta dei Costituenti, memori anche di quanto male avesse funzionato l’art. 48 della Costituzione di Weimar (attraverso cui aveva preso il potere, in fine, Adolf Hitler ed il partito nazista) decisero di contenere la previsione costituzionale dell’emergenza alla sola ipotesi – gravissima e, per fortuna, mai realizzatasi – dello stato di guerra, regolato dall’art. 78. Di contro, la previsione dell’art. 77 Cost. ha riferimento a situazioni straordinarie di necessità e urgenza che non autorizzano, in ogni caso, la sospensione di norme costituzionali. Quanto alla differenza tra stato d’eccezione e stato di emergenza il discorso tende a investire partitamente, profili giuridico-positivi e profili teoretico-dogmatici. Sul primo versante occorre guardare a quegli ordinamenti (come la Spagna) in cui si trova una precisa disciplina normativa (in una legge organica) una fase dell’emergenza costituzionale denominata proprio “stato di eccezione”. Sul secondo versante occorre, invece, fare riferimento essenzialmente alla dogmatica prendendosi le mosse, ovviamente, dal pensiero di Carl Schmitt (“Le categorie del Politico”), dove lo stato di eccezione è inteso precipuamente come regno del Politico, in cui cioè lo stato costituzionale di diritto è accantonato per consentire un rapido superamento di una condizione di disordine sociale per il quale il diritto positivo stesso, anche di livello costituzionale, risulta insufficiente. Sullo stato di eccezione, come è noto, ha scritto pagine molto belle e interessanti anche Giorgio Agamben, il cui monito a non cadere in questa condizione di deriva extra-giuridica risuona alto proprio in questi ultimi tempi della pandemia. Lo stato di emergenza costituzionale alluderebbe in principio ad eventi e situazioni straordinarie ma  in qualche modo irregimentate – anche implicitamente – entro la cornice delle norme costituzionali, come precisa anche Costantino Mortati in una nota voce (Costituzione – dottrine generali) dell’Enciclopedia del Diritto.

Anche a suo giudizio, come ha sottolineato recentemente il filosofo Giorgio Agamben, l’emergenza si è tramutata in “normalità consolidata“? È davvero in pericolo la tenuta democratica (e parlamentare) della nostra Repubblica?

A una domanda di questo genere vorrei fornire due tipi diversi di risposte: la prima: se lo ha affermato Giorgio Agamben non mi sognerei mai di essere in disaccordo con questo autorevolissimo studioso. La seconda risposta è un po’ meno formale ed entra nel merito della questione (mi auguro il Prof. Agamben non la consideri irriverente nei suoi confronti): ho provato a tradurre spesso le mie riflessioni su questa tematica in contributi scientifici nei quali sostengo che l’emergenza sanitaria segni il transito effettivo (forse anche consapevole) verso un nuovo ordine, una nuova normalità giuridico-costituzionale del tutto differente da quella alla quale ci siamo abituati in oltre 70 anni di Costituzione repubblicana. La prospettiva è il radicamento di un modello che studiosi definiscono di “Costituzione illiberale”, caratterizzato dal fatto che Governo e/o Parlamento sono sempre eletti a suffragio universale (da noi, ad es., solo le camere parlamentari), tuttavia si realizza una trasformazione dei diritti fondamentali di libertà in una sorta di privilegi autorizzati dal potere mentre lo Stato di diritto appare sempre più indebolito anche nelle prerogative di indipendenza dei giudici. In questo nuovo ordine, il Governo – ma direi, più generalmente, i poteri pubblici dello Stato – controllano ogni aspetto della vita sociale e programmano persino l’esercizio della libertà, sottoposta a misure di autorizzazione.

Da due anni viviamo in uno stato di “fibrillazione”. E, oramai, sono state create in Italia due fazioni che si fanno la guerra (mediatica e sociale): quella dei vaccinati e quella dei non vaccinati. Qual è la sua opinione in materia? Rischiamo rivolte sociali?

Anche qui, consentitemi di dire che in un mio recente scritto ho evidenziato con preoccupazione il grave rischio di una spaccatura sociale e la degenerazione progressiva del rapporto tra gruppi all’interno della società civile, secondo quella dimensione propria del distico: amico/nemico, di cui parlava Carl Schmitt nel suo lavoro sulle “categorie del Politico”. In questo modo, si alimenta il rischio di fratture insanabili tra i gruppi che possono toccare anche punti estremi di espressione che qui non voglio nemmeno menzionare.

Dal punto di vista costituzionale, l’estensione dell’obbligo vaccinale al personale sanitario, a quello scolastico e ai membri delle forze armate e dell’ordine, che però devono firmare (assumendosi la responsabilità su eventuali casi avversi) un consenso informato, come lo giudica?

Da strenuo difensore dei diritti individuali di libertà non guardo mai con favore, in via di principio, al sacrificio di tali diritti, per quanto giustificati da ragioni di interesse pubblico. della libertà di autodeterminazione, soprattutto in materia sanitaria (art. 32 c. 1 Cost.). Penso, pertanto, che l’imposizione di un trattamento sanitario obbligatorio in deroga alla libertà di autodeterminazione in materia (art. 32 c. 1 Cost.), pur ammesso dalla Costituzione (art. 32 c. 2 Cost.) non può rappresentare la conseguenza semplicemente di una scelta politica arbitraria ma deve configurarsi come una soluzione ragionevole e pertanto giustificata sul piano della legittimità costituzionale. Ciò accade quando tale imposizione si configuri come extrema ratio, a cui si può ricorrere quando ogni altra diversa soluzione non si mostri idonea a soddisfare l’interesse generale alla tutela della salute pubblica. Dunque, nel caso di imposizione di un obbligo vaccinale, occorre valutare con estremo rigore la sua legittimità ai sensi degli attributi della necessarietà, essenzialità, adeguatezza che devono caratterizzare la misura imposta di trattamento sanitario. Ciò che tuttavia a me sembra non sia sempre avvenuto, se penso all’ipotesi di medici non vaccinati, prima sospesi e poi richiamati in servizio.

Cosa dire a proposito dei lavoratori sospesi a causa dell’obbligo vaccinale?

La sospensione di un lavoratore, soprattutto di un’eccellenza in campo professionale, non soltanto può integrare una vulnerazione del fondamentale diritto al lavoro dell’interessato (artt. 4, 35 e 36 Cost.) ma può avere un impatto negativo anche su diritti fondamentali di terzi, a partire dal diritto alla salute. Poniamo il caso, ad es., di un grande chirurgo che non volendo sottoporsi alla vaccinazione imposta come obbligatoria, venga sospeso dal servizio, come prevede la legge. Le sue mancate prestazioni lavorative, per caratteri di alta specialità non praticabili da altro medico, potrebbero causare la morte di tante persone in attesa di essere sottoposte ad un intervento chirurgico estremamente delicato, che rientra nella piena competenza del professionista sospeso dal servizio. Passando all’altra questione (rifiuto di sottoscrizione del consenso per chi sia obbligato al trattamento vaccinale) sul piano strettamente giuridico-formale ritengo che ogni individuo che si sottoponga a trattamento vaccinale in virtù di un obbligo di legge abbia una pretesa giuridicamente tutelata a NON sottoscrivere, se non vuole, alcun consenso informato. Nel caso poi qualcuno dovesse eccepirgli l’impossibilità di procedere alla somministrazione della vaccinazione, l’interessato richieda se possibile la presenza di un ufficiale di P.S. o di altre forze di sicurezza che assiste al colloquio, faccia verbalizzare il personale rifiuto a prestare il consenso motivato in ragione dell’esistenza di un obbligo legislativo, per lui, di sottoporsi al trattamento sanitario e il conseguente rifiuto della struttura sanitaria di praticargli la vaccinazione in mancanza di un consenso sottoscritto dall’interessato obbligato. Poi, può rivolgersi senz’altro ad un giudice.

Green Pass e Super Green Pass: a giudizio di alcuni si tratta di due strumenti incostituzionali. Qual è il suo giudizio?

L’adozione da parte del legislatore di misure limitative di diritti fondamentali, nei soli casi e modi stabiliti dalla Costituzione, può ritenersi legittima quando soddisfino il requisito essenziale della proporzionalità, vale a dire quando si mostrino necessarie (cioè, essenziali, poiché risultano carenti misure alternative meno gravose sull’esercizio dei diritti, in grado di soddisfare ugualmente gli obiettivi legittimi previsti) idonee (in grado, in astratto, di realizzare tali obiettivi), in una relazione di proporzionalità/adeguatezza con lo scopo da realizzare. Credo che molte delle ipotesi in cui il pass vaccinale “semplice” è stato imposto dalla legge risultino contrastanti con tali paradigmi di giudizio. Ma – come dico sempre – il problema non sta tanto (o soltanto) nell’arbitrarietà delle decisioni che integrano la strategia di Governo, quanto essenzialmente da un pedissequo allineamento degli istituti di garanzia a tale strategia. L’individuo ha finito di fatto per perdere fiducia nelle prerogative dello stato costituzionale di diritto.

Fra qualche settimana si voterà per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Le chiediamo un breve giudizio del settennato di Mattarella e quali caratteristiche dovrebbe avere il nuovo Presidente e per quali problematiche dovrebbe far sentire la sua voce.

E’ una domanda che andrebbe rivolta essenzialmente a politici e parlamentari in quanto in realtà è estranea ad un discorso “tecnico” su questa delicata esperienza della pandemia. Mi limito però a rilevare come in quest’ultimo settennato alcune decisioni della Presidenza della Repubblica (ad es., rifiuto della nomina del Prof. Savona a Ministro dell’Economia, nella formazione del primo Governo presieduto dal Prof. Giuseppe Conte) sono apparse a me molto carenti sul piano costituzionale, decisioni che non ho mancato di esaminare e commentare sul piano scientifico. Sulle caratteristiche che dovrebbe avere il nuovo Presidente della Repubblica non do alcuna indicazione, formulo solo l’auspicio, come ogni italiano che egli resti sempre fedele al giuramento che compie ad inizio di mandato, di essere fedele alla Repubblica nella sua interezza e di osservare in modo leale la Costituzione. Non deve essere soltanto il Presidente di una parte dell’Italia, disposto a demonizzare la parte avversa, ma deve effettivamente e costantemente adoperarsi per l’unità nazionale.

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