Stefano Fassina: Finalmente un’analisi seria del Trattato Franco-Tedesco: Merkel e Macron firmano fine Ue. Da leggere! Grazie prof Mangia.
E’ stato il grande assente dalle cronache politiche di questi giorni, ma è il fatto più rilevante nella politica europea dopo la Brexit e, “in qualche misura, ne è una conseguenza diretta” spiega Alessandro Mangia, ordinario di diritto costituzionale nell’Università Cattolica di Milano. Oggi ad Aquisgrana Emmanuel Macron e Angela Merkel firmeranno un nuovo Trattato di cooperazione e di integrazione franco-tedesco. […] E gli altri paesi? O vassalli, o colonie da tenere in riga, meglio se più povere di prima. Fantasie? Basta leggere il testo.
“Quel che è certo – spiega Mangia – è che questo Trattato accelera il processo di disgregazione dell’Unione Europea. Il Regno Unito è stato, fino al 2016, il solo contraltare alla coppia franco-tedesca a livello politico e di occupazione degli spazi burocratici. Usciti di scena gli inglesi, che assieme a Italia, Spagna ed altri paesi potevano fare da contrappeso, gli equilibri di potenza in Europa sono saltati, il quadro è mutato, e lo spazio europeo si è improvvisamente contratto”.
E in che modo questo riequilibrio spiegherebbe l’operazione franco-tedesca?
Senza Gran Bretagna, l’Unione non ha capacità di proiezione esterna e il suo spazio di manovra sullo scenario mondiale, che nemmeno prima era granché, si è ulteriormente ristretto...
Il Trattato è una manovra classica da arrocco: la mossa difensiva di due potenze diverse, ma entrambe in grande difficoltà fuori dallo scenario europeo....
A cominciare dagli Stati Uniti.
Certo. […] Francia e Germania se ne escono con questo Trattato che, almeno sulla carta, disegna una struttura di tipo quasi confederale, imperniata su organi e meccanismi stabili di collaborazione in tema di difesa, sicurezza interna, operazioni militari all’estero, industria militare, posti in Consiglio di Sicurezza Onu e concertazione sulle politiche europee.
[…]
E le ripercussioni sull’Unione Europea?
E’ vero che i Trattati vanno giudicati più per la loro attuazione successiva che per il loro contenuto formale, ma è chiaro che, in un caso o nell’altro, l’Unione diventa qualcosa di obsoleto o, nel migliore dei casi, una struttura destinata ad essere funzionale, in chiave subordinata, ad un asse politico che ha pretese di egemonia continentale. Qui si va molto al di là di una classica cooperazione rafforzata. Si tocca la sfera militare, e dunque politica per eccellenza. In questo senso è qualcosa di nuovo e di diverso, che ricorda qualcosa della vecchia Comunità Europea di Difesa saltata negli anni 50 proprio per volontà francese. E’ evidente che questa è una Francia diversa.
Il Trattato celebra l’amicizia franco-tedesca e ne fa la chiave della pacificazione e della proiezione continentale: “l’amitié étroite entre la France et l’Allemagne a été déterminante et demeure un élément indispensable d’une Union européenne unie, efficace, souveraine et forte”. Non è la prova che la Ue favorisce la pace tra i popoli?
Che sia stata l’Unione Europea a favorire la pace in Europa è uno dei cavalli di battaglia della propaganda europeista degli ultimi anni. E che negli ultimi anni di crisi questo argomento sia stato speso a dimostrazione della irrinunciabilità dell’Unione a me, personalmente, è sempre sembrata, più che un’invocazione all’unità, una velata minaccia. In fondo equivale a dire che se mai si rompesse l’Unione si tornerebbe alla grande guerra civile europea che è cominciata nel 1914 e finita nel 1945. In realtà quella guerra civile è diventata impossibile non perché nel 1956 si è istituita la Cee, ma perché i paesi europei sono stati fatti confluire nel Comando integrato Nato. Mi spiega come sarebbe possibile occupare la Ruhr o tornare ad invadere la Polonia se si è tutti nel comando Nato? Questa è stata la vera garanzia di pace in Europa nel tempo, assieme, piaccia o non piaccia, all’ombrello nucleare americano.
Oggi c’è insofferenza in tutto il continente. Le scelte di Bruxelles sono contestate, se non dai governi, da partiti considerati “impresentabili” o anti-establishment che incrementano ad ogni tornata elettorale il loro consenso.
La verità è che a fomentare squilibri e conflitti all’interno dei paesi dell’Unione è stata la politica mercantilista tedesca, che non si è limitata ad operare all’interno del continente, ma ha cominciato ad infastidire gli stessi Usa. Se si pensa che la sola Germania ha un surplus sull’estero superiore a quello cinese, si capisce perché la proposta di Trump di livellare le spese militari al 2% dei paesi aderenti non fosse poi tanto peregrina, almeno dal suo punto di vista.
E’ stata presentata come un tentativo di rinforzare militarmente la Nato.
Invece, se ci pensa, era soprattutto un tentativo di riportare la bilancia dei pagamenti Usa-Ue su linee meno sfavorevoli agli americani. Del resto, al di fuori di armi e tecnologia militare, non è che gli Usa abbiano ormai molto da esportare in Europa. E infatti questo Trattato è un no chiaro e tondo alle richieste americane e si propone, non so con quale efficacia, di sviluppare un’industria militare e una forza di intervento esclusivamente franco-tedesca, che possa prendere il posto del fornitore americano. Che questo possa poi avvenire a breve avrei molti dubbi. Il mercato mondiale delle armi è soprattutto in mano ad americani e russi, che ne hanno fatto un volano economico. Andarlo a sfidare senza avere la capacità economica – e la volontà di spesa – di Usa e Russia è a dir poco velleitario. Eppure il segnale che si vuole lanciare è esattamente questo.
Veniamo al testo del Trattato. Quale tipo di cooperazione intendono instaurare Germania a Francia?
Il livello di cooperazione sulla carta è molto stretto. Si parla di un Consiglio franco-tedesco di difesa e sicurezza comune (art. 4); di un Consiglio dei ministri franco-tedesco (art. 23); di partecipazione su base regolare di membri del governo francese o tedesco ai Consigli ministri dell’altro Stato (art. 24); di forme di verifica periodica dell’avanzamento della collaborazione, e via dicendo. Ma ci sono anche dei passaggi meno generici: dopo i soliti impegni in materia di sicurezza esterna (difesa) e interna (ordine pubblico), all’art. 6 si parla di “unità comuni per operazioni di stabilizzazione in paesi terzi”. E si prevedono interventi tanto in Europa e in Africa: e cioè nelle zone del franco Cfa. E’ chiaro che se queste non restassero solo parole, ci si troverebbe di fronte ad un fatto politico piuttosto rilevante.
Può essere più esplicito?
E’ molto semplice: se ci si ferma a riflettere su cosa si intende per “sicurezza interna” si finisce per leggere “ordine pubblico”. E si capisce che qui si va oltre il Trattato di Velsen del 2004 che istituisce Eurogendfor come piattaforma di Gendarmeria Europea. Potenzialmente la base giuridica per interventi diretti delle rispettive polizie oltre confine qui ci sarebbe. Non so se rendo l’idea.
Qual è il vero progetto politico contenuto nel Trattato?
Mi sembra che ne contenga diversi. Al di là delle formule di rito, il Trattato in realtà fissa obiettivi nemmeno troppo generici in ambito militare e si prefigge di formalizzare, in questo ambito, quell’idea di Europa core che finora aveva avuto cittadinanza solo a livello finanziario. Sullo sfondo c’è l’idea di passare dalla sfera economico-commerciale alla sfera militare, e cioè politica per definizione. Non è casuale che sia stata scelta Aquisgrana come sede per la firma.
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