Da Comedonchisciotte dell’13-12-2016 (N.d.d.)
Donald Trump, commentando la scomparsa di Fidel Castro, lo ha bollato semplicemente
come “dittatore”. Quali che siano i duraturi risultati (e gli errori) dell’esperimento
Cubano, la storia ha già di fatto riconosciuto Fidel come uno dei grandi leader
rivoluzionari del tempo moderno e pure postmoderno. Trump – ironia della storia – ha
anche battezzato l’ondata di rabbia che lo ha portato alla Casa Bianca come una
“rivoluzione” – guidata da, e a nome dei, bianchi, non dotati d’istruzione universitaria, i
colletti blu o tute blu delle masse degli Stati Uniti. Ma le vecchie abitudini sono dure a
morire. Un leader del mondo che si è auto-nominato “libero”, fedele alla
sceneggiatura convenzionale, non potrebbe mai rendere omaggio pubblico ad un
“comunista” che è sfuggito a oltre 600 tentativi di assassinio più cambio di regime
annesso ad opera della CIA – cosa questa che è un bel carico pesante da sopportare per i
cosiddetti servizi di intelligence degli Stati Uniti. Alla fine, è stato l’orologio della natura
Con la rivoluzione cubana ormai storia, l’attenzione passa ora alla corrente “rivoluzione” americana– che potrebbe rivelarsi piuttosto il sogno speciale di un cambio di regime da parte della CIA (per gli altri). Se Fidel fosse stato il Principe così come idealizzato dal Machiavelli, nella terra dei gringos la storia può essere ascrivibile in gran parte a Steve Bannon, il tuta blu che lotta contro Goldman Sachs per il principe Trump di un novello Machiavelli. Il capo stratega della Casa Bianca Bannon è stato diffamato, persino sopra le righe, in tutti i modi, dandogli del neo-fascista, suprematista bianco, razzista, sessista e antisemita. Finora, questa è stata la spiegazione più dettagliata del programma Bannon – sono parole sue. Uno lo sottovaluta a proprio rischio e pericolo. Bannon in passato si è autodefinito leninista. Peccato che Fidel non stesse prestando attenzione. Nel suo molto complesso ed estremamente coinvolgente “Après Nous, Le Deluge “(traduzione dal Francese di recente pubblicata da Payot), il maestro filosofo tedesco Peter Sloterdijk esplora come Lenin, nel giro di pochi mesi da una capanna in Finlandia, abbia posto le premesse teoriche di ciò che dovrebbe accadere dopo la rivoluzione; ovvero come lo Stato pre-rivoluzione, nella analisi marxista, fosse solo stato uno strumento per consentire lo sfruttamento economico e la risoluzione fuorviante delle opposizioni “inconciliabili” tra le classi (suona piuttosto come l’attuale situazione istituzionale a Washington). Per l’apparato rivoluzionario, non era sufficiente prendere in consegna l’apparato dell’Ancien Regime – come i socialdemocratici avrebbero fatto. Esso avrebbe dovuto essere totalmente distrutto, e i resti rimessi assieme in nuove combinazioni fino a quando l’obiettivo comunista a lungo termine – l’agonia dello Stato – potesse essere raggiunto. Ora immaginate un Bannon leninista che cerca di confezionare questo ordine del giorno a tizi di un pubblico come quello USA indottrinati visceralmente che “i comunisti si mangiano bambini a colazione”. Così ha fatto ricorso alla cultura pop – sottolineando modelli ispiratori tipo Darth Vader, la sua incarnazione vivente nota come Dick Cheney, e il lato Oscuro nel suo complesso. Il fare a pezzi lo Stato (o lo establishment) è stato riformulato come “prosciugamento della palude”. E per lucidare il tutto, quando si parla di establishment, Bannon ha aggiunto l’indispensabile credibilità con un tocco di inglese, credibilità come suo modello: Thomas Cromwell, il lato Oscuro dietro Enrico VIII, invece di Lenin. Nessuna meraviglia che lo Stato profondo sia andato completamente fuori di testa. Lenin, nel tentativo di compiere la sua rivoluzione, come osserva Sloterdijk, si è basato su “una strategia psico-politica doppia” con massiccia intimidazione dei non convinti (qualcosa che Bannon, ovviamente, non può applicare nell’America contemporanea), così come la mobilitazione delle masse impoverite e degli entusiasti attratti dalle promesse del nuovo potere (la macchina dei Twitter schiaccianti di Trump e Breitbart News saranno responsabili di questo segmento). Nella rivoluzione di Lenin, la facoltà di giudizio politico è stata esercitata da un’élite che Lenin aveva concepita come il proletariato; i proletari sono diventati l’élite attraverso la dittatura del partito. Tutti gli altri strati, in particolare le categorie rurali, non erano nulla più di una plebe reazionaria destinata a diventare utile solo a lungo termine attraverso l’educazione rivoluzionaria.
Un secolo dopo Lenin, il proletariato di Bannon da usare come ”élite” sarà fornito dalla cospicua alienazione delle tute blu sparse in tutta Virginia, Florida, Ohio, la Rust Belt o Fascia della Ruggine. Un posto speciale è riservato ai democratici di Reagan o Reagan Democrats 2.0 (minoranze nella classe operaia), così come per tutti quanti del rifiuto di quel buon vecchio spauracchio marxista – truccato fino agli occhi da “democrazia borghese”. La prima incarnazione di Bannon del suo ideale principe leninista era l’antipatica Mamma Orsa Sarah Palin che essendo dell’Alaska poteva vedere la Russia dalle finestre di casa sua – ma questo è tutto. Trump, invece, è il veicolo perfetto; costruttore miliardario /pragmatico; un prodotto di reality TV; il fattore “viene da New York, Stato di New York” posto gestito e controllato dai dominatori dell’universo dove non c’è bisogno di donatori cortigiani; e per giunta nemico naturale di un establishment arrogante radical-chic da East Coast che disprezza il suo scintillio e la sua impudenza cafona.
Il descrivere i ”déplorables” di Trump (loro definizione da parte dell’establishment, cortesia di Madame Hillary), come un esercito di fascisti, come insistono i guru dei grandi media americani, totalmente non coglie il bersaglio. La teoria marxista, durante gli anni 1920 e 1930, vedeva il fascismo all’incontrario, concettualizzando che esso cristallizza in sostanza la forza del capitale finanziario (ecco qualcosa che Bannon può facilmente vendere in casa propria). Il fascismo terrorizza anche la classe operaia e quella dei contadini rivoluzionari – da cui consegue l’appello popolare a “prosciugare la palude”. Mussolini ha definito il fascismo come ” l’orrore per la vita comoda”, influenzando in tal modo Sloterdijk a caratterizzare il fascismo come una militanza politica da strada, basata sulla mobilitazione totale. Torniamo per un attimo ad un secolo fa; dopo il 1917 e il 1918, per la sinistra e per la destra, lo spirito del tempo dettò che non c’era alcun ”dopoguerra”; infatti, il sentimento era che c’era una guerra globale in corso, e che era così da tempo immemorabile (oggi, sotto il neoliberismo, la guerra globale è ancora più radicalizzata, contrapponendo lo 0,0001% contro il resto di noi.) Sotto Lenin in Russia un secolo fa, il conflitto ha preso la forma di guerra civile di una minoranza attiva contro la maggioranza impotente. Sotto la Casa Bianca leninista, il conflitto può assumere la forma di guerra da una minoranza molto attiva (quelle circa del 25% degli elettori degli Stati Uniti che ha votato Trump) contro un’altra, infinitesimale – ma molto potente – minoranza (l’istituzione da East Coast, incarnazione dell’Ancien Régime), con tutta la saga vista in prima fila da una maggioranza silenziosa passiva, anzi in catalessi. “L’America al primo posto! “; ma per chi? La questione chiave sarà chi riuscirà a definire il reale interesse nazionale americano; i veri nazionalisti incorporati nel Team Trump, più il proletariato “d’élite”, o il solito sospetto globalista in grado di infettare e corrompere qualsiasi idea di nazionalismo. Addio Fidel Castro, benvenuto principe Trump (col leninista Machiavellico al seguito). Prepariamoci all’impatto. La politica è guerra del resto, no? E “rivoluzione” è ancora il più seguito spettacolo in città.
Pepe Escobar (Traduzione di Roberto Marrocchesi)
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martedì 13 dicembre 2016
Pepe Escobar - Lenin alla Casa Bianca?
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