Maurizio Blondet
“Così, dopo qualche centinaio di morti, l’idea che il terrorismo abbia reso le nostre vite a rischio come quelle degli israeliani, e che dunque dovremmo modellare il nostro stile di vita sul loro, comincia a farsi strada tra le ingenuità e l’arteriosclerosi del vecchio continente” scriveva Libero il 22 luglio 2016. Era il commento mediatico alla strage islamica di Nizza. “Il mondo è cambiato e che i barbari non sono alle porte, ma li abbiamo già dentro casa. Come a Gerusalemme e a Tel Aviv. … Si guarda a Israele anche per le tecnologie con cui contrastare il terrorismo”.
“Sicurezza negli aeroporti: perché adottare il sistema israeliano”, raccomanda un giornale. “Parigi imita Israele: prorogato di sei mesi lo stato di emergenza”, comunica un altro. “Il coordinatore anti terrorismo della Ue, Gilles de Kerchove, nei giorni scorsi è andato a Tel Aviv proprio per capire cosa l’Europa può copiare da Israele”.
“L’Europa è sotto attacco e non lo sa. Rinunci a Schengen o unisca i servizi “ L’analista israeliano Boaz Ganor, direttore dell’Istituto internazionale per l’Anti terrorismo” (La Stampa, 20 luglio 2016)....
Boaz Ganor, l’abbiamo visto nell’articolo precedente, è lo specialista israeliano dell’antiterrorismo che presiede il Nice Global Forum sulla Sicurezza Interna e la gestione delle Crisi – che doveva tenersi a Nizza nell’ottobre 2016. Adesso è stato posposto al 2018.
Che gli attentati islamici vengano immediatamente tradotti dai media europei in “consigli per gli acquisti” della insuperabile tecnologia della sicurezza sviluppata da Sion, che rende così sicura la popolazione israeliana, è un dato che salta all’occhio all’osservatore. Non si tratta solo di tecniche d’interrogatorio (tortura), telecamere-spia, militarizzazione della popolazione (anche voi europei “dovete sentirvi parte di un esercito in guerra”), controllo delle mail e di internet, rinuncia alla privacy. Gli israeliani hanno messo a punto sofisticati sistemi di “inferenza” informatica, potenziati dalla cosiddetta “intelligenza Artificiale”, che frugano triliardi di dati (i megadati) per vederne emergere, nel contesto, azioni sospette. Un frequentatore di siti islamisti (magari operati da Cia o Mossad?) che d’improvviso decide di rendere anonima la sua connessione in rete: ma è solo un esempio elementare. Elementare come quello che ha rovinato il generale Petraeus, cacciato dalla Cia per averlo usato allo scopo di comunicare con la sua amante Paula Broadwell: condivideva con lei una casella mail, ma non si mandavano messaggi: li lasciavano nella sezione “bozze”, e l’altro li andava vedere. Il software andrà proprio a cercare caselle mai “inattive”, e spiarci dentro. Ma si tratta di cose semplici. Le tecniche israeliane vere e profonde, in cui è integrata la AI, sono segreto militare.
Israele promuove con impressionante forza la sua “specialità”. E’ nato lo “Israeli Innovation Center a Gerusalemme, esultano i media l’estate scorsa, che “attirerà centinaia di migliaia di studenti, soldati, capi di Stato, turisti e delegazioni commerciali, per assistere alla straordinaria storia di come Israele sia diventata leader di avanguardia dell’innovazione nel mondo”. ..Tale centro, situato nel Centro Peres per la Pace, “In collaborazione con gli Stati Uniti, Israele promuove una start-up Nazione per la leadership mondiale della tecnologia” .
“Israele investe oggi circa il 6 per cento del Pil in sicurezza”, dice un esperto sionista, ma “buona parte della nostra spesa per la sicurezza torna sul mercato, perché va alle industrie israeliane che operano in questo settore e finanzia così start-up e compagnie capaci di sviluppare tecnologie innovative. … L’Europa, in media, investe circa l’1,5% del suo Pil in sicurezza”. Troppo poco, come badano a ripetere Boaz Ganor e compari: vedete quanti terroristi islamici incontrollati girano tra voi….
Un altro esperto del settore cyber security, italiano e dunque opportunamente anonimo: “Di norma le persone che escono dal Mossad o che necessitano di copertura mentre lavorano all’estero, finiscono per lavorare nel settore della cybersecurity (programmi, programmatori, progettisti, sistemisti, impianti che utilizzano droni per difesa/sorveglianza, sistemi di sorveglianza attiva e passiva …). In Italia il mercato è praticamente vergine, un boccone goloso per Israele”.
Israele vende i prodotti, ma non i segreti militari che ci sono dentro, è ovvio. Di fatto, lo stato che compra il pacchetto-sicurezza ebraico dà agli operatori israeliani l’accesso ai “megadati” della nazione, ossia gli cede tutti noi. “Un potere enorme che verrà sicuramente utilizzato per il bene della popolazione, senza eccezioni!”, sogghigna l’anonimo. “Finché l’Europa sarà legata alla NATO, non troppo unita, senza leadership politica, strategicamente subordinata alla visione statunitense, permeata dalla russofobia…ebbene il terrorismo islamico continuerà a destabilizzare le masse europee”. Conclusione alquanto enigmatica.
Alcuni paesi però sono sostanzialmente risparmiati dal “terrorismo islamico”: Come mai in Italia l’IS non fa stragi, almeno fino ad ora? Varie ipotesi circolano: per i terroristi saremmo un luogo di passaggio, un santuario indisturbato.. . o magari ci siamo già messo nelle mani degli israeliani?
La risposta dell’anonimo è interlocutoria. Mi accenna ad una specie di “lotta” fra Israeliani e americani – feroce in Germania e Francia Belgio e Olanda – ma attenuato, anche per il mercato italico, ancor vergine. Gli americani hanno il loro sistema di Intelligenza Artificiale (Watson di IBM)
Un esempio: nell’aprile scorso, Matteo Renzi ha provato in tutti i modi di mettere all’interno della Presidenza del Consiglio, ossia al suo fianco, con la responsabilità di controllore dei nostri “servizi”, il suo eterno amichetto , il filo-israeliano Marco Carrai. “ dopo aver tentato di imporlo a capo della cyber-security, gli sta ora cucendo un abito su misura al Dis”, ha scritto Il Fatto Quotidiano. E ciò a dispetto dei numerosi conflitti d’interesse che Carrai si porta dietro: “Incarichi pubblici come la presidenza di Aeroporti Firenze, le poltrone nei cda tra cui quella nella fondazione Open – la cassaforte del premier – con Luca Lotti e Maria Elena Boschi, aziende estero-vestite in Lussemburgo e Israele come la Wadi Venture con soci che hanno legami con l’esecutivo tra cui nominati in Finmeccanica e imprenditori con appalti pubblici, come raccontato dal Fatto settimane fa”.
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