Redazione
Tornando alla DB, nessuno è tanto ingenuo da pensare che i suoi problemi finanziari nascono con la multa della solerte giustizia yankee. Sottocapitalizzazione per leva eccessiva, esposizione sui derivati, scarsa profittabilità in un contesto di tassi di interesse quasi a zero e soprattutto di stagnazione economica globale da cui non si vede via d'uscita: ce n'è quanto basta, pare. Del resto il crollo dei valori azionari riguarda l'intero comparto bancario europeo (ne sanno qualcosa le banche italiche) tutt'altro che in buona salute, e dura da mesi......
Tanto meno c'è da stupirsi se chi vive di speculazione da speculazione viene colpita. Ma qui in tutta evidenza c'è qualcosa di più grosso che si sbaglierebbe a tralasciare per malcelata schadenfreude.
Si guardi a questa impressionante sequenza di episodi nei rapporti Berlino/Washington degli ultimi anni: datagate (affare Snowden) che rivela il sistematico spionaggio nei confronti dell'alleato tedesco a tutti i livelli (compresa l'intercettazione del telefonino personale di Merkel); regime change filo-Usa in Ucraina con conseguenti sanzioni alla Russia imposte alla Ue; screzi sul raddoppio dell'oleodotto russo-tedesco North Stream che bypassa Ucraina e Polonia; dieselgate con multa miliardaria, chiaramente politica, alla Volkswagen; ondata di profughi siriani in gran parte pilotata da Usa e Turchia (allora ancora in sintonia) atta a indebolire il compatto consenso per Merkel; forti dissensi sul Ttip (tanto che per molti politici tedeschi sarebbe oramai fallito); malumori tedeschi sull'atteggiamento provocatorio della Nato verso Mosca nei paesi est-europei; scontro sui favori fiscali a Apple, Google, ecc. Senza dimenticare la politica monetaria della Federal Reserve -emettere moneta per rinviare il redde rationem dell'indebitamento- che ha dapprima scaricato i danni maggiori della crisi globale sull'euro (Chicken game: ancora sull'eurocrisi) e poi trovato una spalla nella Bce di Draghi proprio contro l'approccio tedesco. (Con buona pace per tutti quelli, davvero quasi tutti, che riducono la crisi a mera questione di austerity imposta da Berlino...).
L'intervento a gamba tesa su Deutsche Bank non è dunque un caso. Data la sua importanza "sistemica", la partita si va facendo pesante. Siamo probabilmente a un nuovo passaggio, più mirato, dell'attacco statunitense alla riottosa Germania (e all'Europa) di cui si tratta di decifrare bene i contorni.
Washington minaccia a chiare lettere la crisi del colosso bancario tedesco con un duplice obiettivo. Sul piano economico, la crisi dentro gli States - al di là delle rassicurazioni che i media ci propinano a supporto dell'elezione del clan clintoniano pro-Wall Street - è talmente profonda che probabilmente si ripresenterà in qualche forma la necessità dell'ennesimo salvataggio (pro finanza) a spese dell'Europa. Cos'altro significa l'invito del Wall Street Journal rivolto a Merkel perché salvi la DB (e le banche italiane) se non a riversare altri soldi pubblici a puntello della finanza occidentale e in primis statunitense? Il che si affianca alle pressioni sempre più forti per una politica di deficit spending che attinga al surplus commerciale tedesco. Rilanciare la "crescita" con l'indebitamento (degli altri): grandiosa ricetta a stelle e strisce per la "ripresa"! Che trova all'interno della Ue più di una sponda (vedi Renzi che cerca, maldestramente, di giocare la carta "anti-austerity" mentre consegna Mps a JP Morgan, e nonostante questo riceve le bacchettate dal Financial Times). A maggior ragione, l'operazione statunitense si rende urgente dopo la Brexit, che non solo ha messo fuori gioco la longa manus che boicottava i tentativi di autonomizzazione della Ue, ma rischia di rilanciare un'Europa ristretta e proprio per questo potenzialmente più concorrenziale.
Sul piano geopolitico, la messa in riga di Berlino attraverso il suo indebolimento ha un target strategico per gli Usa: si tratta di compattare il fronte occidentale anti-Russia (e in prospettiva anti-Cina) tranciando di netto, e il prima possibile, ogni velleità "alternativa" quale, timidamente ma pericolosamente, sembrava emergere dalla proiezione tedesca verso Oriente e dal non completo allineamento sugli interventi in Libia e Siria. E in effetti l'evoluzione dello scenario siriano sarà un immediato banco di prova del riuscito compattamento visti i chiari di luna, tendenti al limite del diretto scontro militare, tra Washington e Mosca. L'eventuale vittoria elettorale di Kill-ary Clinton non potrà che acuire queste tensioni richiamando perentoriamente all'ordine alleati e vassalli.
Se sarà così, difficile per Merkel non adeguarsi. Sia per il costo delle ritorsioni statunitensi; sia per l'impreparazione della classe dirigente tedesca a uno shift strategico che peraltro è al momento lontano anche dal sentire del grosso della popolazione; sia infine per l'immane pressione degli apparati mediatico, militare e di intelligence, strettamente intrecciati e subordinati a quelli d'oltre Atlantico. A ciò si aggiunge la mancanza di effettive sponde in Europa (basta vedere come lo squallido Hollande, novello noveaux philosophe, si è prontamente allineato alla crociata anti-Putin dei neocons-liberal statunitensi).
Ciò non toglie che il disagio sta crescendo all'interno della società tedesca, ora che sta scoppiando la "bolla" costruita intorno all'illusione di essere immuni dalla crisi globale - come le recenti sconfitte elettorali della Cdu e la mobilitazione anti-Ttip evidenziano (La lunga estate dello scontento).
Si tratta, ovvio, di due versanti sociali e politici per ora opposti ma che la reazione anti-globalizzazione e le ricadute sempre più gravose dell'allineamento transatlantico potrebbero domani far riavvicinare in forme inedite, preludio di sconvolgimenti più profondi con cui una prospettiva anticapitalistica non potrà fare a meno di confrontarsi. Ma non parlare di questo alla sinistra liberal...
Link articolo © Raffaele Sciortino © Infoaut.
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