lunedì 21 marzo 2011

"L'assassino torna sempre sul luogo del delitto".

Per un momento – lungo quanto la tratta Capodichino-Tripoli – accantoniamo la risoluzione 1973 delle United Nations e impariamo a memoria questo testo:
Sai dove s’annida più florido il suol ?
Sai dove sorride più magico il sol ?
Sul mar che ci lega con l’Africa d’or,
la stella d’Italia ci addita un tesor.
Ci addita un tesor!
Tripoli, bel suol d’amore,
ti giunga dolce questa mia canzon!
Sventoli il tricolore
sulle tue torri al rombo del cannon!
Naviga, o corazzata:
benigno è il vento e dolce la stagion.
Tripoli, terra incantata,
sarai italiana al rombo del cannon!

Nell’estate di cento anni fa, il motivetto andava forte. Scritto da un giornalista, la lirica doveva titillare il patriottismo degli italiani freschi di Unità contro il nemico turco, al tempo dominus delle regioni libiche. Tanti i motivi a sostegno dell’italica impresa.
Primo: lo zolfo. L’oro libico, così veniva chiamato per via del colore, sarebbe servito ad alimentare la nascente industria metallurgica (navi e treni), alla produzione di conservanti e fertilizzanti e di molti beni quotidiani come il fiammifero. Era il carburante della gioiosa macchina imperialista, dunque, e andava sottratto alle grinfie della perfida Albione e di Parigi.
Altre cose miracolose, secondo le cronache pretestuose dell’epoca, abitavano la Tripolitania: alberi da frutta “che prendono uno sviluppo spettacoloso”, grano che dà “negli anni medi tre o quattro volte il raccolto dei migliori terreni d’Europa coltivati razionalmente”. Anche il bestiame, nonostante l’abbandono da parte dei turchi, prospera ed “è esportato a centinaia di migliaia di capi”, mentre la “vigna dà grappoli di due o tre chili l’uno”, e i “poponi crescono a grandezze incredibili, a venti e trenta chili per frutto”.
Non solo frutta, verdura ed energia. La retorica di Giolitti arrivò a parlare di “opera umanitaria”, a favore delle popolazioni locali, oppresse dal regime turco. Falso. Per piegare Omar al-Mukhtar, il “Leone del deserto”, fu necessario rinchiudere la popolazione in veri e propri campi di concentramento tenuti insieme da chilometri di fil di ferro. Chi veniva trovato fuori veniva considerato un ribelle e abbattuto, mentre gli spostamenti dei pastori nomadi che non sapevano di carte geografiche e confini tra Libia ed Egitto venivano bloccati dai soldati di Rodolfo Graziani, futuro capo dell’esercito di Salò.
Tra le poche voci dissidenti, due fecero cronaca. Si chiamavano Pietro Nenni e Benito Mussolini, socialisti. «È brigantaggio internazionale, un diversivo per distrarre il paese dal porsi e risolvere i suoi complessi problemi interni», scrissero. Vennero arrestati l’anno successivo, nel 1912, mentre manifestavano contro la guerra e urlavano senza riguardo «La bandiera tricolore è uno straccio da piantare su un mucchio di letame».

PS: Cento anni dopo il lessico ufficiale corregge il termine guerra con «un’azione autorizzata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite» (Giorgio Napolitano).
Un saluto e un "buona primavera" da Umberto Marabese.

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