Una sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea rischia di mandare all’aria il piano dell’Italia, quello che intende portare in Albania i migranti intercettati nel Mediterraneo per sottoporli alle cosiddette procedure accelerate in frontiera per l’esame delle domande d’asilo. In base alla legge con cui il Parlamento ha ratificato il protocollo siglato con Tirana, nei centri albanesi sotto giurisdizione italiana saranno condotti solo cittadini provenienti da Paesi d’origine designati come sicuri. Ai fini dell’esame delle domande di protezione internazionale, la normativa europea prevede che gli Stati membri possano stilare una lista di tali Paesi, quella che l’Italia ha aggiornato lo scorso 7 maggio con un decreto interministeriale. E proprio qui sta il problema. Perché la maggior parte dei Paesi che il governo italiano considera “sicuri” vedono l’esclusione di determinate aree o categorie di persone per le quali, mette nero su bianco il ministero degli Esteri, quei Paesi tanto sicuri non sono. Oggi la Corte Ue dice che non si può fare, che un Paese è sicuro per tutti o non lo è per nessuno. Chiarendo come debba essere interpretato l’articolo 37 della direttiva europea 2013/32 che regola la materia, e censurando di fatto la possibilità di trattenere, ai fini delle procedure accelerate, chi proviene da Paesi parzialmente sicuri, in Italia come in Albania.

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