Marco Tosatti
Dopo lo scandaloso. e purtroppo prevedibile, del referendum sulla Giustizia, un altro passettino verso la fine della democrazia, anche formale, nel nostro sciagurato Paese, il generale Piero Laporta ci ha inviato questa riflessione, che offriamo alla vostra attenzione. Buona lettura.
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I lettori di SC conobbero il mio orientamento di voto: “No” all’abrogazione della legge Severino, “Sì” a tutto il resto «Se mai andrò a votare per i referendum» aggiunsi. Non votai, superfluo il contrario.
L’affluenza al 6,63% a mezzogiorno garantì l’impossibilità della “metà più uno dei votanti”. Inutile l’urna dopo la Santa Messa serotina.
Un indignato speciale, uno fra tanti, mi incitò al voto nonostante tutto: «Vergogna! È chiaro: la trappola del quorum scatterà. Come per gli altri referendum i Sì vinceranno, ma la consultazione non sarà valida. Non è vero che il popolo è migliore dei suoi governanti. Ha quello che si merita!»
I governati, in Italia, sono sempre migliori dei governanti. Il primo delitto contro la democrazia è non riconoscere tale dato di fatto.
Il mio indignato amico andò a votare. Come altri non lo sfiora il dubbio che i radicali di Georgy Soros e il Salvini Matteo abbiano dissipato ogni credibilità. Troppi fra i piccolo borghesi non comprendono quanto controproducente sia sparare nel mucchio dei magistrati. Il popolo sa delle storture della Giustizia italiana e sa pure dell’impossibilità di risolverle con le campagne radical leghiste, non più efficaci e legittime di quelle radical chic, figuriamoci.
A me piace pensare, sentiti i miei vecchi amici in piazza, pensionati alla fame, si sia in attesa di cose più serie di fregole radicali e leghiste.
Questo referendum conferma, semmai fosse necessario, quanto preconizzò Pasolini nel 1967: «Per carità. Penso impossibile una collaborazione con la tv a livello civile. Invece di fare le marce per la pace, io ne proporrei una per il rinnovamento della tv. Essa è più terribile della guerra nel Vietnam, della bomba atomica. È pernicioso, ed irriducibile, il suo paternalismo, la falsa democrazia, il moralismo, il voler considerare tutti gli spettatori come piccolo-borghesi, di una misura media ed astratta, ignorando che in Italia ci sono anche i contadini, gli operai, gli intellettuali e, soprattutto, le persone intelligenti». Fin quando la tv riuscirà a controllare i canettiani meccanismi di massa e potere? A me pare vicino un epilogo, in un senso o in un altro.
Oggi a Pasolini suggerirei solo di togliere la parolaccia, “intellettuali” (mi induce a uccidere, che farci?). Quanto rimane dopo 55 anni arriva ai giorni nostri, fresco e fragrante come pane appena sfornato. Complimenti a Pasolini. Una conferma di più per quanto mi concerne, della funzionalità del suo omicidio alla preparazione dell’omicidio di Aldo Moro. Non divaghiamo.
Il mio amico referendario s’inalbera perché m’appello al popolo: «So leggere e scrivere e non mi faccio coartare o rappresentare da nessuno. Non è importante chi e perché ha promosso i quesiti referendari. È importante il merito dei quesiti. Io le domande me le faccio da solo e da solo mi do le risposte. Il non raggiungimento del quorum che rispecchia la sfiducia della gente nelle istituzioni, sarà invece letto e spacciato per un atto di approvazione nei confronti del governo e delle sue politiche.» e conclude con Edmund Burke: «Perché il male trionfi è sufficiente che i buoni rinuncino all’azione».
Dov’è la differenza? Su un versante un referendum radical leghista; sull’altro egli allude a un’«azione» non si capisce spinta fin dove. Prudenza? Non solo.
Il bracciante a mille euro al mese (quando va bene), il pensionato alla fame, la madre coi bimbi e senza risorse non hanno né diritto di pensare né quello di esistere (“mangiatori inutili”, li definiscono così), se non sono funzionali a cancellare la civiltà cristiana. Fanno dunque molto male, i piccolo borghesi del mio stampo, a ignorare le pene di quel popolo, il nostro confine sul baratro. Fan quindi bene quanti esultano per l’esito del referendum: è un altro passo verso una dialettica che additi la libertà.
Occorre uscire dalle nebbie maleodoranti emanate da un fetido simulacro di democrazia.
L’attrito per la ridistribuzione della ricchezza è una costante nella storia umana. Maria Antonietta distribuendo brioches alla gente affamata, non fece meglio di chi gabella referendum. I risultati potrebbero essere analoghi oppure persino peggiori. Vestiamoci di umiltà e ascoltiamo il popolo.
A Milano si scontrano popolani italiani e rom, gli uni accanto agli altri, come in un gulag, forzativi dal dem(#one) Beppe Sala, chiacchiere e profumo.
Si picchiano fra di loro, poveracci. Proseguiamo così: imponiamo convivenze, guerra, fame, crisi economica e persino vairus a go go, uno dietro l’atro, una processione di vairus e di vaccini, creando dipendenze e vagoni di guadagni, come fosse cocaina. Di questo passo qualunque analfabeta saprà dire dov’è il nemico. Magari sbaglierà un po’ direzione; certo vi si butterà con più entusiasmo che in una cabina elettorale, al contrario della Giorgia Aspen Meloni, mascherata da carnevale.
La fine della democrazia è la madre della violenza incontrollabile.
Gen. D.g..(ris) Piero Laporta
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