di Roberto Gabriele e Paolo Pioppi
26 giugno 2022
Gli avvenimenti di questi mesi, a partire dall'operazione speciale in Ucraina, stanno chiarendo qual è la partita che si sta giocando e sollecitano una riflessione e un dibattito dentro l'area degli oppositori alla guerra e del fronte antimperialista. Soprattutto impongono a coloro che sono ancorati a una posizione comunista un'analisi corretta della fase storica che stiamo attraversando, abbandonando uno schematismo che finora ha prodotto solo una sostanziale incapacità di agire politicamente nelle contraddizioni che si manifestano nella nostra epoca.
La necessità di analisi e di discussione era già evidente dentro il movimento contro la guerra dove si andavano riscontrando, anche in settori che si dichiarano comunisti - come ben evidenzia l'intervento del segretario del PC della Federazione russa Zuyganov pubblicato da Marx 21 contro le posizioni del PC greco KKE - posizioni incapaci di fissare correttamente i termini della vicenda ucraina dal momento che, invece di andare a esaminare la situazione concreta e capire la portata di quello che sta avvenendo, si fermano a ragionare su chi ha la responsabilità della guerra o, nel caso migliore, sulla opportunità o meno dell'intervento militare russo.
Già qui è emersa, e da più parti, la difficoltà di comprendere la scelta russa che, come sostiene Zyuganov, scaturisce come risposta obbligata a un progetto militare americano e atlantico che prevedeva già prima del 24 febbraio scorso l'intensificazione della guerra nel Donbass, l'attacco alla Crimea e la realizzazione di un grande avamposto militare NATO in Ucraina. Su queste scelte del governo Zelensky non vi è alcun dubbio dal momento che è egli stesso a dichiararlo. Alla domanda su quale sia la condizione per arrivare alla pace egli ha infatti sempre risposto che si tratta del ritiro di tutte le truppe russa dall'Ucraina, del recupero del Donbass e della Crimea e dell'integrazione del paese nel sistema atlantico o, in modo mascherato, nell'UE. Se quello era il progetto ucraino e dei suoi non tanto occulti ispiratori, parte rilevante di un accerchiamento della Russia con basi NATO dal Baltico al Mar Nero, la reazione manu militari, peraltro annunciata in caso di mancato accordo di sicurezza paneuropeo, diventa naturale.
E' un rischio calcolato, quello russo, che non esclude nulla, ma a conti fatti è stato attentamente valutato, come si deduce dalle difficoltà di americani, inglesi e alleati NATO che non riescono a dare la risposta possibile all'avanzata russa, se non con l'invio di armi e tecnologia di morte secondo una logica da cui gli americani, dalla guerra Corea ad oggi, sono sempre usciti malconci.
Il nostro non è un inno alla guerra, ma si basa sul fatto che qualcuno tra i comunisti più illustri (Lenin) sosteneva che essi si differenziano dai pacifisti perchè sanno distinguere una guerra giusta da una ingiusta. Per questo il dibattito tra comunisti deve essere chiaro e serrato e non si può permettere che avanzino posizioni che definiscono 'imperialista' la necessaria difesa della Russia dal progetto imperialista a guida americana. Già su questo bisogna puntare i piedi e sottolineare che certe posizioni vanno combattute, perchè l'analisi concreta della situazione concreta ci porta a dire chi ha veramente provocato la guerra e perchè. Altrimenti si rimane indietro persino rispetto al papa quando ha parlato di chi ringhia ai confini della Russia.
La discussione da fare però va ben oltre la vicenda ucraina. Perchè, se è vero che essa ha una sua specificità, contiene anche risvolti di più ampia portata. Il primo, quello specificatamente militare, riguarda l'equilibrio europeo. Da questo punto di vista va spiegato, dai comunisti impegnati nella lotta all'imperialismo, che l'esito della guerra in Ucraina comporta un sostanziale indebolimento del progetto atlantista di fare dell'Europa una fortezza militare a servizio degli americani e che non ha senso dunque, come fanno i gauchistes italiani, combattere la NATO a parole e non capire che proprio in Ucraina si è messa in moto una situazione che ne contrasta in maniera determinante lo sviluppo.
Ora, se è vero che un ruolo importante nella lotta all'alleanza aggressiva della NATO lo possono e devono svolgere i popoli europei, è anche vero che la Russia, e prima ancora l'URSS, non può permettere che ai suoi confini si organizzi un sistema militare aggressivo, pedina importante per l'espansione della NATO a est e dedito anche alla repressione armata delle popolazioni russofone come è avvenuto in Ucraina dal 2014. L'operazione militare speciale è diventata dunque una questione cruciale per i futuri equilibri militari europei.
Qualcuno di 'sinistra' sostiene però che non si può scambiare la Russia di Putin con l'Unione Sovietica. Costoro dovrebbero considerare come è stata preparata la parata del 9 maggio a Mosca, quante bandiere con falce e martello venivano esibite in quella occasione e quante ne circolano nelle zone liberate e sui mezzi militari nel Donbass. Ha un significato politico tutto ciò o si vuole parlare solo di oligarchi e non vedere che la Russia di Putin ha come retroterra anche la storia dell'Unione Sovietica e che, come dimostra anche la Francia dopo l'89 (il 1789!), non si può riportare indietro la ruota della storia? Non si può pensare che un paese che ha fatto la rivoluzione e ha dato impulso allo sviluppo di un movimento rivoluzionario mondiale possa eclissarsi. La Russia di Putin è la dimostrazione concreta che in uno sviluppo rivoluzionario si possono avere alti e bassi, ma la memoria popolare rimane la costante di ogni nazione. La prospettiva della Russia è dunque ancora aperta e la situazione determinatasi con le vicende ucraine ha caratteristiche ben diverse da una manifestazione di nazionalismo grande russo. Chi accetta di analizzarla in quei termini si muove sul terreno della propaganda occidentale, non dell'analisi storica concreta.
Ai comunisti, da un punto di vista di prospettiva politica e di definizione teorica dovrebbero interessare però anche questioni ben più importanti che stanno emergendo dalla guerra in Ucraina. Dal forum economico di Leningrado (o S.Pietroburgo come si dice oggi) del 15-18 giugno Putin ha lanciato un messaggio molto chiaro sul motivo dell'intervento militare in Ucraina, affermando esplicitamente che agli Stati Uniti non può essere consentito di imporre, come è avvenuto nei decenni passati, il proprio esclusivo dominio mondiale ed è ora di voltare pagina[1].
Scambiare questo progetto per imperialismo diventa una affermazione intollerabile per dei comunisti, dato che dopo il crollo dell'URSS e la crisi di quello che per decenni è stato il campo socialista, la linea del fronte si è andata definendo rispetto allo sforzo per impedire che gli USA, come era nelle loro esplicite intenzioni ed azioni, potessero consolidare il controllo mondiale nell'esclusivo interesse del loro sistema di potere sul piano militare, economico-finanziario e politico.
L'obiettivo di rompere il monopolio USA è dunque divenuto compito di tutte le forze che stanno combattendo contro il nemico comune. Su questo i comunisti hanno un'esperienza storica importante che è quella della lotta al nazifascismo individuato a suo tempo come il nemico principale. In altri termini e in altri modi la situazione è la stessa. Anche all'epoca, è bene ricordarlo, le correnti minoritarie di una linea rivoluzionaria virtuale hanno combattuto il movimento comunista che faceva i conti col processo storico e svolgeva un ruolo determinante nel ventesimo secolo.
La questione non è però unicamente tattica. In realtà i comunisti hanno di fronte la necessità di fare i conti con una serie di paradigmi interpretativi dei processi storici innescati con la rivoluzione del 1917. Il partito comunista cinese su questo si è pronunciato da tempo impostando la sua strategia sul socialismo con caratteristiche cinesi e questo ne determina oggi tempi e modalità di sviluppo. La Russia dopo il crollo dell'URSS ha subito un travaglio che è ancora in corso e va studiato attentamente e in cui l'intervento in Ucraina è un passaggio importante. Queste due realtà sono comunque l'asse portante della crisi del blocco occidentale a guida americana e la loro funzione geopolitica è determinante in una fase storica in cui la sconfitta statunitense è l'obiettivo principale per arrivare a un contesto di multilateralità e di equilibrio delle relazioni internazionali.
Lo sviluppo di questa realtà lo si sta misurando oggi in una condizione drammatica come la guerra in Ucraina, ma esso ha avuto anche un suo importantissimo passaggio con l'appoggio della Russia alla Siria che ha cambiato il volto del Medio Oriente. Non è un caso che una certa sinistra imperialista di questo non parli e preferisca esaltare i curdi anche quando operano, proprio nella Siria occupata, sotto la protezione della bandiera a stelle e strisce.
Ma che cosa c'entra tutto questo col socialismo? Questa è la domanda che viene dai settori neotrotskisti e neobordighisti e anche da quella sinistra che lotta per 'un altro mondo possibile' senza avere però solide basi di interpretazione degli avvenimenti nella concezione materialistica della storia, finendo così per cadere in una visione idealistica.
A questo interrogativo dobbiamo saper dare una risposta, che è contestuale alla discussione sulla fase storica che stiamo attraversando. Se per comunismo intendiamo, come sostiene Marx, il processo reale che abolisce lo stato di cose presente, allora è bene ricostruire, non in modo idealistico ma secondo una concezione materialista, il percorso fatto dai comunisti da quando con Lenin hanno tentato l'assalto al cielo. Dall'analisi di quel percorso, se non è visto con le lenti di chi ad ogni passaggio storico ha gridato al tradimento, emerge il fatto che dagli obiettivi della rivoluzione mondiale definiti nei primi congressi dell'Internazionale comunista si è passati via via a diverse modulazioni della tattica e della strategia.
I seguaci delle rivoluzioni virtuali hanno visto in tutto ciò un allontanamento dalle prospettive rivoluzionarie, senza accorgersi che coloro che erano impegnati nella costruzione o nella lotta per il socialismo dovevano tener conto delle condizioni oggettive dalle quali la trasformazione della realtà dipende.
Senonché a un certo punto del suo sviluppo il processo rivoluzionario si è trovato di fronte a difficoltà che ne hanno determinato un salto dialettico. La curva della rivoluzione si è spezzata ed è incominciato un nuovo corso. Per la Cina di Deng la via d'uscita è stata il socialismo con caratteristiche cinesi, per la Russia una lenta ripresa sotto la direzione di Putin. Come era inevitabile, le condizioni delle trasformazioni sociali si sono adeguate a una nuova realtà: non più gli squilli della rivoluzione d'Ottobre, ma la sfida tecnologica ed economica della Cina e l'arresto della disgregazione e la riorganizzazione della Russia. Questa è dunque la realtà, di questo bisogna prendere atto e da questo ripartire individuando la nuova fase del processo storico che porta alla trasformazione del sistema mondiale imperialista.
Ai romantici del socialismo, inteso come sol dell'avvenire, bisogna ricordare che sono le condizioni reali che determinano i processi storici e da queste bisogna ripartire ricavandone tutti gli insegnamenti necessari.
Quando si definiscono le caratteristiche della nuova fase storica non si può dunque prescindere da come le nuove contraddizioni si vanno evidenziando e da esse si ricava la ferma convinzione che bisogna concentrare tutte le forze contro un imperialismo in crisi sì, ma pur sempre pericoloso, e che la sua sconfitta è la condizione per aprire nuove fasi della liberazione mondiale dal dominio imperialista.
Partendo da questo presupposto dobbiamo impostare dunque la battaglia dei comunisti per affermare una linea politica adeguata alle attuali circostanze storiche, partendo, per cominciare, da una corretta interpretazione della natura della guerra in Ucraina e dalla sua relazione col blocco politico-militare europeo. Insieme a ciò è arrivato anche il momento di impegnarsi affinché sulle questioni della pace e della guerra si recuperi, come è avvenuto in altre fasi storiche, l'egemonia dei comunisti rispetto a correnti di pensiero che continuano a pestare l'acqua nel mortaio dell'alternativa senza uscire da uno stagno che spesso si rivela contiguo all'ideologia imperialista.
La battaglia che è in corso non è dunque solo militare. Bisogna cogliere l'occasione anche in Italia per aprire il dibattito sulle questioni di fondo e in particolare sulle posizioni di coloro che leggono lo scontro mondiale di cui la guerra in Ucraina è un momento come scontro tra imperialismi. Accettare come tesi di 'sinistra' un'impostazione del genere ci riporterebbe ai momenti in cui mentre il movimento comunista era impegnato nella costruzione e nella difesa del socialismo e nella trasformazione dei rapporti di forza, non solo in Unione Sovietica, ma in Francia, in Spagna, in Italia, in Cina, nelle democrazie popolari, c'era chi denigrava quel lavoro come non adeguato allo sviluppo della rivoluzione.
Nelle attuali circostanze la storia si sta ripetendo. Certamente non laddove le forze in campo sono impegnate nella battaglia in corso, in Medio Oriente, in Africa, in America Latina, dove lo scontro con l'imperialismo è in atto. Quelli che vengono definiti paesi emergenti trovano naturale collegarsi con la Russia e con la Cina per rafforzare il loro processo di emancipazione, confermando la tesi che noi andiamo sostenendo su qual è il nemico principale da battere.
Questo non vuol dire andare in giro col libretto rosso di Putin o di Xi, ma portare nel dibattito sulla guerra in corso una posizione razionale e interpretare i fatti sulla base dell'esperienza storica del movimento comunista.
Non è dunque solo il momento della lotta contro la guerra, ma anche del rilancio di un dibattito teorico che faccia crescere una generazione di comunisti fuori dalle ambiguità e dal pensiero debole che hanno caratterizzato fino ad oggi certa sinistra.
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[1]“Considerandosi vincitori della guerra fredda, gli Stati Uniti si sono proclamati messaggeri di Dio in terra, esenti da qualsiasi obbligo e solo latori di interessi considerati sacri”
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