Senatori in uscita, mentre alla Camera la scissione è rimandata a gennaio. Il capo politico incontra i nuovi esponenti della struttura. Villarosa: Paragone si dimetta
ROMA — Il Movimento cambia, per non morire, e Luigi Di Maio prova ad accelerare sui «facilitatori», il nuovo organismo che dovrebbe consentire di affiancare alla sua leadership una squadra che faccia da catalizzatore e fluidificante rispetto al resto del gruppo. Che, nel frattempo, perde pezzi e rischia di perderne di nuovi. Tra passaggi alla Lega, insoddisfazioni personali e gruppi di filo «contiani», sul punto di rendersi autonomi, il quadro è complesso e in evoluzione.
La questione fondi
Oggi il capo politico incontra i 18 facilitatori nazionali del Movimento. Un pranzo per fare team building e poi un pomeriggio di lavoro. C’è da serrare i ranghi, per cominciare a capire come muoversi su due fronti, il territorio e i gruppi parlamentari. Ma è partita anche la seconda fase: a gennaio si voterà anche sui facilitatori regionali. Tutti gli iscritti, parlamentari inclusi, hanno ricevuto una mail che annuncia la prossima elezione. Per candidarsi, bisognerà aspettare però le regole, che ancora non sono state scritte. Una, però, già, si sa: bisogna essere in regola con i rimborsi spese. Tasto molto dolente nel Movimento, visto che sono decine i parlamentari che non hanno versato la loro quota destinata a Rousseau e i fondi previsti dagli annuali Italia a 5 Stelle...
.I molti solleciti sono andati a vuoto e così si prova a fare pressione usando l’unica arma al momento a disposizione: se volete una poltrona, o uno strapuntino, dovete essere in regola con i versamenti.La mossa di Giarrusso
I fronti del dissenso si moltiplicano. Al Senato ha fatto scalpore il passaggio alla Lega di Ugo Grassi, Stefano Lucidi e Francesco Urraro. Quest’ultimo spiega che la sua scelta nasce «dalle disfunzioni nel rapporto tra Parlamento e governo». I vertici del Movimento puntano invece il dito sull’attivismo leghista per minare la maggioranza e fargli perdere pezzi. A Palazzo Madama sono sotto osservazione anche i tre senatori che hanno firmato per il referendum sul taglio dei parlamentari, materia identitaria del Movimento: sono Mario Giarrusso, Luigi Di Marzio e Gianni Marilotti. Il primo è apertamente in rotta con Di Maio e ora mette anche in dubbio il voto contro Salvini sull’autorizzazione: «Prima di decidere voglio leggere le carte». Di Marzio è un senatore campano che a lungo è rimasto incerto ed è stato ripreso per i capelli dal ministro Federico D’Incà, impedendogli (almeno per ora) il passaggio al Misto.
Trizzino rassicura
Ci sono poi due deputati Nunzio Angiola e Gianluca Rospi, che non hanno intenzione di votare la manovra. E che hanno detto apertamente di essere in dubbio sul rimanere nel Movimento. Del resto fanno parte del fantomatico gruppo di venti deputati, che sarebbe pronto a costituirsi in un gruppo Misto, per sostenere il governo Conte, e in particolare il premier, dall’esterno del Movimento. Deputati tutti o quasi eletti nei collegi uninominali e quindi più autonomi rispetto ai 5 Stelle. A capeggiarli sarebbe Giorgio Trizzino, che però smentisce: «Il mio impegno rimane integro e indissolubile. È fuori dalla realtà pensare che io voglia dar vita a gruppi autonomi o spingere altri parlamentari a fare altrettanto. Un conto è la incoercibile libertà di critica costruttiva per il bene del Movimento, un altro è la fedele appartenenza ad esso che lealmente fini continuerò ad assicurare».
Probiviri al lavoro
Ma l’addio pare solo rimandato. Se ne riparlerà a gennaio e si capirà se ci sono le condizioni per andare avanti. Così come al Senato si tiene sotto osservazione anche un gruppo di senatori, tra i quali Emanuele Dessì, che lavorano a un documento che dovrebbe consentire di ottenere il cosiddetto «Senato deliberante», cioè decisioni che dettino la linea politica e che quindi possano anche entrare in contraddizione con quelle di Di Maio. Infine la questione di Gianluigi Paragone, per il quale è stato aperto un procedimento ufficiale dei probiviri. Difficile capire come finirà, considerando che su Giulia Sarti è pendente da mesi (niente prescrizione neanche qui, in omaggio alla riforma). Alessio Villarosa è uno dei molti che puntano il dito contro di lui: «Paragone non ha fatto nulla in questi anni in Parlamento. Si dimetta».
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