mercoledì 1 agosto 2018

Orizzonte48 - TECNOLOGIA, LAVORO E POLITICA (APPENDICE AL...FETICISMO)

Orizzonte48


Contributo di Bazaar con l'apporto "decisivo" di Arturo (Holy Moly!  Cheepers Creepers! I mean: Wow! Grande Medicina per lo Spirito...)

(I PARTE) Introduzione – (Appendice alla II parte)

Nella prima parte: 

di questi post dedicati al feticismo abbiamo visto come già dalla genesi delle moderne scienze sociali questo fenomeno sia stato indagato con un certo “stupore” da Marx, il quale –  nella sua critica dell’economia politica – ne svela i contenuti «segreti» tramite una celebre, anche se spesso non compresa in questa sua fondamentale dimensione, analisi sociale di filosofia della scienza: Il Capitale.

Ciò che fa emergere fenomenologicamente Marx è che alcune istituzioni sociali fondamentali del capitalismo non solo operano in modo indipendente dalla volontà degli attori sociali, ma risultano largamente «invisibili» ad essi in quanto istituzioni sociali: ovvero sono dotate di una «oggettività spettrale», sono percepibili dai sensi solo indirettamente in forma di fenomeni e hanno proprietà «extra-sensoriali», come il «valore di scambio».

È in questa invisibilità, e quindi incoscienza, delle mediazioni sociali che consiste il feticismo; è attraverso il dominio eteronomo delle sue «oggettività spettrali» che esso producealienazione...
  

Gli attori sociali immersi in questo sistema, agiscono senza essere consapevoli del meccanismo che li lega, e sono spinti ad agire in modo funzionale alla produzione e riproduzione sociale, come se questa fosse una necessità naturale.

Il parossismo delle contraddizioni generate da queste istituzioni sociali – che sono in qualche modo create dalla mente umana ma allo stesso tempo sono a questa nascoste – viene raggiunto con la moneta.

Nella seconda parte abbiamo anticipato, quindi, che se esistono sacerdoti iniziati a questo «mistero» e a questi «segreti» che hanno a che fare col «nebuloso regno della religione», questi chierici sono – parafrasando Federico Caffè – i «pochi iniziati» alla moneta.

Quindi abbiamo visto come la peculiare forma di divisione del lavoro del modo di produzione capitalistico, e i sottesi rapporti di proprietà che strutturano la società in classi, rappresentano quindi l’origine dell’alienazione e, quindi, di ogni estraniazione, di ogni perdita d’identità e di anomia intese come fatti sociali, che caratterizza, pur con variazioni anche significative, questo tipo di società.  

Riprendiamo con una riflessione penetrante sul rapporto fra questa socialità nascosta e l’illusione, e delusione, della libertà individuale che è contenuta in queste righe di un pensatore originale, oggi molto trascurato, come Castoriadis
«Secondo la sua ideologia esplicita questa società non ha alcun progetto collettivo e non deve averne.
Si ritiene che siano gli individui a dare un senso alla propria vita, indipendentemente da ogni quadro e da ogni progetto collettivo, ciò che è un’assurdità totale. Ogni neonato dovrà inventarsi la propria lingua? E la lingua è un semplice “mezzo di comunicazione”, codice informatico, o piuttosto porta in sé tutti i significati attraverso cui un mondo esiste per la società e la società esiste per sé stessa?
In effetti, evidentemente, nella società contemporanea gli individui non danno senso proprio a niente, sono completamente imbevuti dalle significazioni immaginarie che li socializzano
Abbandonarsi alle gioie del “narcisismo individualista” è semplicemente scimmiottare ciò che stanno facendo 50 o 100 milioni di altri nello stesso momento.
Il contenuto concreto dell’“individualismo” contemporaneo è strettamente sociale. È la faccia individuale del progetto capitalista: aumentare senza limiti la produzione e il consumo. 
C’è quindi sicuramente un progetto sociale, checché ne dica la narrazione corrente, che non è né la semplice risultante dei progetti individuali né è deliberatamente scelto dagli individui, ma che predetermina le scelte e i progetti individuali tanto strettamente quanto avviene, seppure in un'altra maniera, in una qualsiasi altra società eteronoma. Ora, questo progetto è assurdo e indegno e credo che la sua presa inizi a usurarsi [anomia]
Le persone si accorgono che l’obiettivo centrale della vita umana non può essere di cambiare auto ogni tre mesi invece di sei. Ma non riescono, finora, a trovare in sé stessi le risorse per andare oltre. 
I significati immaginari del capitalismo si erodono, senza che la società riesca a farne emergere degli altri»

È però proprio questo «scarto esistenziale» (qui, n. 1) un possibile primo passo verso una consapevolezza emancipatoria, tanto personale quanto politica.

Abbiamo quindi sintetizzato, poi, come parlare di mercificazionecosificazione o reificazionedei rapporti sociali, diversamente da una certa “retorica filosofeggiante”, significhi descrivere le forme di coscienza prodotte da rapporti sociali forniti di proprietà empiriche, che – conMarx – abbiamo chiamato feticismo; dalla morte del pensatore di Treviri, questo processo di invisibile ma percepibile alienazione di massa ha compiuto grandi passi avanti, divenuti addirittura balzi negli ultimi quarant’anni, dissolvendo quel che restava delle culture comunitarie e popolari precapitalistiche.
Era il fenomeno osservato da Pasolinidi cui abbiamo discusso, che individuava a colpo sicuroil ruolo fondamentale giocato dai media in questa “reificazione” edonistica di massa; l’attuale digitalizzazione dev’essere interpretata alla luce delle stesse coordinate teoriche.----

(II PARTE)
 Feticismo ed Alienazione: il rapporto tra tecnologia, lavoro e politica.
Proprio il richiamo a Pasolini ci consente una riflessione preliminare, che forse riuscirà anche a chiarire gli equivoci che si erano generati in quella discussione.

I percorsi culturali che hanno portato alle Costituzioni del dopoguerra si nutrono di un rapporto dialettico con la modernità, ossia una relazione fondata su un equilibrio, talvolta incerto e difficile, fra accettazione e critica.

A spiegare questa delicata questione ci aiuta Michéa con una pagina del suo importante Les mystères de la gauche
«Se è evidente che i primi teorici socialisti condividevano coi liberali il medesimo rifiuto rivoluzionario del mondo antico delle caste e delle aristocrazie guerriere, quello delle comunità agrarie tradizionali fondate sulla disuguaglianza di nascita, la famiglia patriarcale e il dominio di un potere guerriero e religioso – è però non meno evidente che con ciò non intendevano affatto mettere in discussione il fatto comunitario stesso (dobbiamo proprio ricordare che il termine “socialismo” fu inventato da Pierre Leroux per opporsi a quello di “individualismo”?). […] 
Possiamo anche dire che se questi pensatori si opponevano con uguale energia all’ideologia liberale (e in particolare ai dogmi moderni dell’“economia politica inglese”) era prima di tutto perché quest’ultima si fondava su un concetto di libertà individuale che – nel momento in cui annullava tutto sul suo cammino – conduceva necessariamente ai loro occhi a dissolvere l’idea stessa di vita in comune nel nuovo universo della concorrenza assoluta, rendendo così inevitabile la comparsa di nuove forme di disuguaglianza e di servitù, forse ancora più terribili di quelle del passato (l’idea che, sotto molti aspetti, la condizione del moderno proletario, “lo schiavo salariato”, di Londra o di Manchester, fosse peggiore dei servi del medioevo o dei “negri della Virginia” costituiva d’altra parte un tema ricorrente dell’iniziale propaganda socialista).»

Tanto per fare un esempio tratto da un documento dell’epoca, ecco cosa scriveva Engels in un lavoro di critica dell’economia politica del 1844
«Dopo che l'economia liberale aveva fatto del suo meglio per generalizzare l'inimicizia dissolvendo le nazionalità e per tramutare l'umanità in un'orda di bestie feroci - che altro sono i concorrenti? - che si divorano l'una con l'altra, poiché ciascuna ha il medesimo interesse di tutti gli altri, dopo aver compiuto questo lavoro preliminare le restò da compiere ancora un passo prima di raggiungere lo scopo, la dissoluzione della famiglia
Per poterla attuare l'economia liberale ricorse ad una sua bella invenzione, il sistema delle fabbriche. L'ultima traccia di interessi comuni, la comunanza dei beni della famiglia, è stata sotterrata dal sistema delle fabbriche e - almeno qui in Inghilterra - si avvia verso la disgregazione. Avviene tutti i giorni che i bambini, non appena siano in condizione di lavorare, ossia compiuti i nove anni, spendano per sé il proprio salario, considerino la casa dei genitori come una pensione e paghino loro una certa somma per i pasti e l'alloggio. E come potrebbe essere diversamente? Che altro potrebbe derivare dall'isolarsi degli interessi che sta a fondamento del sistema della libertà di commercio? Una volta che un principio sia stato messo in movimento esso continua poi ad operare da sé in tutte le sue conseguenze, piaccia o meno agli economisti.»

Un’accettazione acritica della modernità caratterizza dunque solo il progressismo liberale, di cui il tecnoscientismo non è in fondo che una particolare incarnazione; d’altra parte il rifiuto totale della modernità stessa ha spinto invece ad improbabili fughe dalla realtà, a fedi acritiche e fanatiche in dottrine politiche o religiose o al “decrescismo naturalista”, che, di fatto, hanno contribuito a far sprofondare ancora di più la società nell’eteronomia e nel dogmatismo nichilista.

Un buon esempio dell’opposta affinità dei due estremi è costituito dal tecnoarcaismo nazista, ovvero ciò che Jeffrey Herf chiama modernismo reazionario, humus culturale lumeggiato da osservazioni tremende come quella di Heidegger secondo cui gli ebrei si sarebbero «autoannientati».

Un altro esempio, non certo così estremo ed estraneo al coté totalitario, potrebbe essere individuato in Augusto Del Noce, su cui vale la pena leggere queste incisive osservazioni diPreve (Il convitato di pietra, Vangelista Editori, Milano, 1991, pagg. 81-2): «Non condividiamo per nulla questa lettura filosofica della modernità di Augusto Del Noce, perché ci sembra radicalmente sbagliato tentare di uscire dal nichilismo con una fuga in una «ontogenesi immaginaria» e pertanto nichilistica, come può essere il mito ebraico e poi cristiano del peccato originale e della collera di Dio. 
Dosi maggiori di nichilismo, cioè di «volontà di credere» a tutti i costi in miti che la funzione corrosiva della scienza storica e della psicologia del profondo ci dice essere insostenibili, non possono essere una vera alternativa al normale relativismo laico. Consentiremo con Del Noce sulla miseria dello storicismo laico «di sinistra», ma ci congederemo da lui quando entrerà in chiesa a pregare il Dio di Paolo e di Agostino.
Nello stesso tempo, è bene non dimenticare il valore per così dire tipico della critica di Del Noce al marxismo. Discutendo con fondamentalisti musulmani di lingua francese o inglese che cercavano di convincerci della definitività del messaggio di Allah il clemente ed il misericordioso e della crisi irreversibile del comunismo ateo nel risolvere i problemi del mondo, ci siamo sempre stupiti del fatto che costoro, senza aver mai sentito il nome di Del Noce, finivano con il dire le stesse cose su Hegel e sul Marx, addirittura alla lettera. Nella sua conversione all’Islam il francese Roger Garaudy, già marxista molto prestigioso degli anni Cinquanta e Sessanta, ha finito con il dire cose assolutamente analoghe, e sappiamo che egli non ha mai letto Del Noce»

Nel medesimo solco va probabilmente collocata la critica rivolta da Voegelin alla “Crisi delle scienze europee” di Husserl. Pur riconoscendo la qualità del lavoro filosofico, il nostro rimprovera a Husserl di rifiutare la “trascendenza”, sostituita da un impegno di chiarificazione filosofica al servizio di una porzione concreta di umanità:
«A causa di questa riduzione dell’ umanità ad una comunità di individui impegnati a filosofare gli uni con gli altri in senso husserliano, il telos filosofico è slittato nelle vicinanze di particolari collettività intramondane del tipo del proletariato marxista, dell’“hitleriano Popolo” o dell’“Italiano di Mussolini”»

In definitiva, per il fatto di essere “concreto”, e quindi “limitato”, l’impegno che si propongonoHusserl o Marx è sostanzialmente identico a quello di Hitler e Mussolini. A proposito di straussiane reductio...

Insomma, non appare per nulla plausibile una rifondazione religiosa della società moderna (il che ovviamente non vuol dire, sia chiaro, negare il valore dell’esperienza religiosa).  

Dalla parte opposta dello spettro ideologico, oggi ovviamente molto più affollato, ci sono gli adepti devoti del culto tecnoscientista, la cui radice feticista a questo punto dovrebbe risultare chiara: l’immagine della propria riproduzione che la società capitalista genera è quella di un meccanismo automatico. La società funzionerebbe come una macchina semovente, senza altri fini che il suo proprio movimento. 
Per citare Joan Robinson (Economic Heresis, Macmillan, Londra, 1972, pag. 143): “Il capitalismo moderno non ha altro scopo che quello di far sì che lo spettacolo vada sempre avanti”.  

Per provare a tirare un po’ le somme, prima di passare al Transumanesimo, vale la pena di rileggere queste incisive considerazioni di Castoriadis (L’enigma del soggetto, pagg. 203-4 e 284-5), che ci forniscono elementi utili per spiegare il rapporto fra feticismo e tecnica:
«Nel cuore dell’epoca moderna, a partire dalla fine dei «secoli bui», campeggiano due significazioni immaginarie sociali, intrinsecamente antinomiche benché comunque legate (ma il loro legame non può occuparci in questa sede): da una parte, l'autonomia che ha animato sia i movimenti emancipatori e democratici che percorrono la storia dell’occidente, sia la rinascita dell’interrogazione e dell’indagine razionale; dall’altra, l'espansione illimitata del dominio «razionale», alla base dell’istituzione del capitalismo e delle sue trasformazioni (fra cui, con una mostruosa inversione, il totalitarismo), culminante senza dubbio nel dilagare della tecno-scienza.
Per motivi che ho ampiamente sviluppato altrove, il dominio «razionale» oggi in fase di espansione illimitata in realtà non può essere che un dominio pseudorazionale. Ma qui interessa soprattutto un'altra dimensione. Un dominio «razionale» implica, esige in verità - da che la «razionalità» è stata vista come perfettamente «oggettivabile», cosa che ha voluto ben presto dire «algoritmabile» - un dominio impersonale
Ma un dominio impersonale esteso a tutto è evidentemente il dominio di nessuno, e dunque e il completo non-dominio, il non-potere (in una democrazia, c’è certamente una regola razionale impersonale, la legge, pensiero senza desiderio, come diceva Aristotele, ma ci sono anche governanti e giudici in carne e ossa).»

Sempre Castoriadis individua anche l’opposizione radicale che esiste fra la “razionalità” quantificante e calcolante del dominio anonimo tecnocratico e la razionalità pratica, ossia umana, della politica. Il riferimento aggiornato all’antichità greca può costituire un buon esempio di quel rapporto dialettico con la modernità di cui si parlava sopra:
«Esiste un legame stretto, seppure implicito, tra queste due coppie di opposizioni:chaos/kosmos e hybris/dike. In un senso, la seconda non è che una trasposizione della prima in ambito umano.
Questa visione condiziona, per così dire, la creazione della filosofia, la quale, come l’hanno creata e praticata i Greci, è possibile proprio perché l'universo non è totalmente ordinato
Se lo fosse, non vi sarebbe alcuna filosofia, ma solo un sistema di sapere unico e definitivo
E se il mondo fosse un caos puro e semplice, non vi sarebbe nessuna possibilità di pensare. 
Ma questa visione condiziona anche la creazione della politica
Se l’universo umano fosse perfettamente ordinato, sia dall’esterno sia dalla sua «attività spontanea» («mano invisibile», ecc.), se le leggi umane fossero dettate da Dio o dalla natura, o ancora dalla «natura della società» o dalle «leggi della storia», non vi sarebbe alcuno spazio per il pensiero politico, né campo aperto all’azione politica, e sarebbe assurdo interrogarsi su che cos’è una buona legge o sulla natura della giustizia [cfr. Hayek]
Allo stesso modo, se gli esseri umani non potessero creare un qualche ordine per loro stessi ponendo delle leggi, non vi sarebbe nessuna possibilità di azione politica istituente.
se fosse possibile una conoscenza sicura e totale {episteme} dell'ambito dell’umano, la politica avrebbe immediatamente fine, e la democrazia sarebbe al tempo stesso impossibile e assurda, giacché la democrazia suppone che tutti i cittadini abbiano la possibilità d'attingere una doxa corretta e che nessuno possegga
una episteme delle cose politiche.»

Sintetizzando: feticismoalienazioneestraniazioneanomianichilismoscientismo positivistatecnocrazia sono forme di coscienza legate, attraverso più o meno complesse mediazioni, a un sistema di produzione organizzato attorno all’automatismo “razionale” della propria riproduzione, che nega quindi in radice la possibilità di un qualsiasi discorso collettivo sui fini.

«Chi ha bisogno di visioni del mondo, vada al cinema», come diceva Weber; o si rifugi in qualche “trascendenza” religiosa o mitologia politica: del resto, non casualmente, l’offerta sul mercato non manca.

Il punto di vista qui sostenuto è che senza una critica etica, o meta-etica, come preferisce direMcCarthy, e una prassi conseguente, nessuna vera liberazione dall’alienazione è possibile. 
Vale a dire che non si tratta di giudicare moralmente, ossia moralisticamente, la condotta di Tizio o di Caio; meno che mai di ridurre fenomeni strutturali a responsabilità individuali, ma di studiare criticamente la società e le sue strutture per creare le pre-condizioni, pratiche e cognitive, per la realizzazione dell’etica, cioè dell’autonomia, individuale e collettiva (le due dimensioni sono ovviamente indisgiungibili), umana, nei vari ambiti in cui si esercita (“sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”).

Inutile osservare che tanto per la critica quanto per la prassi è indispensabile il costante impiego dell’economia politica e delle scienze sociali.

Resta ora da capire quale sia l’impatto della tecnologia che, da artificio umano, si “umanizza” fondendosi all’ordine sociale invece “naturalizzato”, alienato e “disumanizzato”.---
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