sabato 24 marzo 2018

“B. sei tutti loro”: editoriale di Marco Travaglio

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(di Marco Travaglio –  Il Fatto Quotidiano del 24 marzo 2018) – 
Noi qui a scrivere che mai Di Maio deve fare accordi con B., e neanche incontrarlo, neppure parlargli al telefono, tanto meno votare un suo fedelissimo pregiudicato a presidente del Senato. Intanto, tutto intorno, anche al punto più basso della sua parabola politica, B. riciccia dappertutto sotto mentite spoglie. Un caso di possessione diabolica di massa, delle persone e persino del paesaggio. Il Pd Emanuele Fiano, anziché incitare i suoi a un no chiaro e netto al condannato Romani, dice che “il diniego del M5S su Romani è un ostacolo” e si sente distintamente che la voce non è la sua, ma quella di B. Il Pd che si astiene, e sotto sotto tifa per il pregiudicato seconda carica dello Stato, è figlio del berlusconianissimo “primato della politica” sulla legge e dell’abbandono della questione morale berlingueriana per legittimare tutti gli inciuci passati, presenti e futuri. L’indifferenza dei giornaloni per la sentenza della Cassazione su un politico che guadagna soldi a palate con tripli e quadrupli incarichi e tenta di accollare ai contribuenti pure le bollette telefoniche della figlia, poi si candida a presidente del Senato, è l’ultimo stadio del berlusconismo che ha sfigurato la cosiddetta informazione, ormai immemore dei propri doveri e anche del proprio non indecente passato (basta confrontare le battaglie della stampa su Tangentopoli e i silenzi odierni)....
Lotti che incontra Letta per un nuovo Nazarenino prêt-à-porter con B., in barba al giuramento dei renziani di stare all’opposizione, sull’Aventino, per godersi lo sfascio prodotto da loro, è berlusconismo allo stato puro. Il pm milanese che chiede al Tribunale di condannare l’ex governatore Bobo Maroni a 2 anni e mezzo per induzione indebita (la vecchia concussione per induzione) a proposito delle pressioni fatte per portarsi a Tokyo, in missione istituzionale, la sua presunta amante, ricorda come il familismo amorale berlusconiano abbia contagiato gli ex duri e puri della Lega, nata proprio contro i nepotismi e gli sperperi di “Roma ladrona”. La sparata di Tiziano Renzi che rifiuta di rispondere ai pm di Firenze e Roma non per una legittima strategia difensiva, ma per attaccare i “processi mediatici” a orologeria originati – a suo dire – non dai fallimenti di sue società, dai pasticci contabili, dalle fatture farlocche, dai traffici sugli appalti Consip, ma dal suo cognome e dall’ansia di colpire il figlio premier, e la nota di Matteo che s’affretta a dargli ragione (“Da 4 anni le persone a me vicine sono state oggetto di indagini di vario genere”), sono purissima prosa berlusconiana, o dell’utriana, o previtiana.
Stesse parole, stesso disprezzo per l’indipendenza della magistratura e per la libertà di stampa, stessa protervia da “io so’ io e voi nun siete un cazzo”. E la pestilenza B. dilaga persino alla Consulta, un tempo tempio della legalità. Non appena il giudice costituzionale Nicolò Zanon (ovviamente berlusconiano) si dimette perché indagato per peculato a proposito dell’auto blu – con autista e buoni benzina – passata alla moglie per farla scarrozzare a sbafo pure in vacanza da Forte dei Marmi, la Corte respinge le sue dimissioni. E accoglie la sua farsesca “autosospensione” dall’incarico. Poi gli confeziona un regolamento domestico ad personam, anzi ad Zanonem, con “valenza di normazione primaria” e con effetto retroattivo, per salvarlo dall’indagine in base a un principio che sarebbe già previsto (secondo lorsignori) da una normativa interna del 1979 (e allora perché vararne un’altra proprio adesso?): e cioè che l’auto di servizio fino all’altroieri era una specie di proprietà privata con soldi pubblici, estesa pure ai famigliari; ma in futuro non potrà più esserlo, essendo concessa in uso “personale ed esclusivo”. Così ieri, in base al nuovo regolamento (che ai tempi degli scarrozzamenti di lady Zanon non esisteva: è del 21 marzo), la Procura di Roma ha chiesto l’archiviazione dell’inchiesta a tempo di record. Bei tempi, quando la Consulta le leggi ad personam non le faceva, ma le dichiarava incostituzionali.
Aveva ragione Gaber venti e più anni fa, quando paventava “il Berlusconi in me più del Berlusconi in sé”. Nel frattempo B. si è fatto legione, atmosfera, clima, panorama, categoria dello spirito. Non per tutti, ma per molti. Anche se non può metter piede in Parlamento e hanno lo stomaco di votarlo soltanto il 13% degli elettori (che sono comunque 4 milioni e mezzo di persone: un’enormità), non riusciremo a liberarcene neppure da morto, perché continuerà a far danni nella testa e nelle viscere di milioni di italiani per decenni. Girarci intorno come fosse una parentesi sarebbe assurdo. E sperare in un esorcismo di massa perché esca da tutti quei corpi sarebbe ridicolo: non basterebbero un milione di padri Amorth e vescovi Milingo. Ora che la Consulta s’è arresa alle leggi ad personam retroattive, ne appronti subito un’altra per cancellare la destituzione di B. da senatore in base alla legge Severino e lo restituisca ai suoi fan a Palazzo Madama e fuori (molto più numerosi dei suoi senatori e anche dei suoi elettori), così che venga eletto direttamente lui alla presidenza. Ieri Salvini ha mollato Romani e dunque B., votando Annamaria Bernini, rara avis di forzista incensurata e financo perbene, gradita anche al M5S. Ma la Bernini ha dovuto subito ritirarsi, perchè un presidente del Senato forzista e pulito sarebbe un ossimoro. E anche un lusso che non possiamo permetterci. Molto meglio un’operazione verità e trasparenza che dia finalmente rappresentanza dichiarata, formale, ufficiale all’Italia dei tangentari, evasori, piduisti e mafiosi. Così non dovranno più nascondersi, ma potranno sfilare orgogliosi sotto Palazzo Madama e urlare “Silvio, sei tutti noi”.---

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