mercoledì 7 marzo 2018

Luca Telese - Le capriole di Renzi sulle macerie del Pd: garante della sconfitta e degli “schizzi-dem”

Risultati immagini per foto di Renzi bambino con la borsa da mendicante
di Luca Telese – tiscali.it) – 
Oggi mi tocca scrivere un articolo (forse) impopolare contro lo “schizzinosismo” Democratico. E soprattutto contro l’ipocrisia del leader sconfitto, che pretende di dettare le regole da dimissionario, invece di andarsene come in tutto il mondo fanno tutti quelli che perdono.
Ma partiamo dal basso: l’elettore schizzinoso Democratico dell’ultima ora, quello del né-né, dice cose che a prima vista dal suo punto di vista potrebbero sembrare sensate e condivisibili. Applaude il suo leader Matteo Renzi che dice “Niente inciuci” e grida: “A me Salvini fa schifo, non pronunciate nemmeno il suo nome!”. Oppure scrive ripete nei social: “Che orrore il M5s, quelli fino a ieri mi insultavano”. In realtà, anche se è spiacevole dirlo, l’elettore Democratico queste cose non le può dire più.
Il Pd, allo stato attuale non ha molte possibilità: o non fa accordi (e allora deve accettare che si torni a votare), o accetta di fare un governo con Il centrodestra a trazione leghista, oppure accetta di fare un governo con il M5S. Tertium non datur. Con la piccola e non trascurabile conseguenza che se si torna a votare il partito è morto (e i suoi dirigenti lo sanno bene). Volevano il voto utile, hanno imposto una legge nella speranza di usare il voto utile (nei collegi, dicevano, la gente voterà i nostri e non i “signor nessuno” di Grillo). È andata esattamente all’opposto: la gente ha usato il M5s e i suoi signori come voto utile per mandare a casa i soliti noti, e metà del governo, battuto nelle urne e recuperato con i paracadute...

Gli elettori schizzinosi si devono rassegnare. So già che mi chiederanno: ma perché? Cosa abbiamo fatto di male? Brutale ma semplice constatazione: è il prezzo per essere arrivati al minimo storico mai toccato dalla sinistra dalle elezioni del 1948 a quelle del 2018. Il Pd è al 18%, e aveva il 40.8%. Ha perso più di un voto su due, ma i suoi leader non fanno una sola riflessione autocritica, non si pongono nemmeno una domanda. Cercano un capro espiatorio.
Dopo settant’anni di storia la sinistra non ha più carte da giocare, né condizioni da dettare. Ma, a ben vedere, il demo-schizzinoso, ha anche qualche altro scheletro nell’armadio che rende meno lineare il suo ragionamento, il suo moto di indignazione. È questo non riguarda solo i suoi furbeschi dirigenti, ma anche la base. Quando era lui parte dominante, il demo-schizzinoso non si è fatto problemi ad accettare un accordo con altri nemici. Prima con Berlusconi (governo Enrico Letta) e poi con Alfano e Verdini (governo Renzi). Dove sta quindi la purezza? Dove l’indignazione?
Si poteva governare con i voti di Bondi e di Verdini, ma non si possono accettare accordi con i Cinque stelle? Si poteva fare maggioranza con chi usava “comunista” come un insulto, non si può accettare un accordo con chi ti gridava “ladro”? E non facevano bene i parlamentari pentastellati – alla luce di quello che è accaduto e che ora è sotto gli occhi di tutti – a spiegare che la legge elettorale di Rosato era una truffa? (Ha trombato – ironia della sorte – persino il suo papà). Non facevano bene a dire “Vergogna” a chi votava quella legge?
E qui arriviamo a Renzi: se il premier lo fa lui non è inciucio. Se il premier invece lo fa Di Maio – pare di capire – è un vergognoso inciucio. Persino a Paolo Gentiloni ha gridato al telefono: “Tu vuoi l’inciucio!”. Il doppiopesismo del proprio ombelico. Renzi dice, aizzando la base, che lui non se ne va prima della nascita del governo perché vuole fare “il garante”. Mossa geniale: il suo elettore, in buona fede, pensa: “Che bravo, che generoso”.
Il segretario uscente (?) del Pd perde la quinta competizione elettorale in tre anni, ma riesce a creare un’arma di distrazione di massa. Vuole mettere un suo uomo – una testa di paglia – alla guida del partito, fargli vincere le primarie. Vuole eleggere dei capigruppo fedeli a lui, prima di andarsene, per continuare a telecomandare il partito. E poi raccontare che fa “il senatore di Pontremoli” tirando con la consueta abilità i fili dei suoi burattini.
Leggo sul Corriere della sera che persino la Boschi – la fantastica paracadutista di Bolzano – incurante del ridicolo, si era detta disponibile a fare la capogruppo alla Camera. Scelta perfetta. Ma forse per l’Svp, il partito che l’ha eletta.  Dentro il Pd c’è una nuova regola imposta dal renzismo: chi perde vuole comandare. E poi si trova un nemico cattivo con chi prendersela per gabbare la base. Beh, il trucco forse può riuscire, ma dopo il partito si riduce al lumicino. Se si rivotasse domani il Pd rischierebbe di avvicinandosi al 10%. È vero che Renzi può fare ancora il garante: però è il garante della sconfitta.---

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