giovedì 29 marzo 2018

“Alta pressione”: editoriale di Marco Travaglio

Quel virus chiamato Matteo Renzi
(di Marco TravaglioIl Fatto Quotidiano del 29 marzo 2018) –
 Ricordate il complotto del capitano del Noe Gianpaolo Scafarto per colpire il governo Renzi fabbricando prove false contro babbo Tiziano&C.? Tutte balle: l’ha scritto l’altroieri il Tribunale del Riesame di Roma, reintegrando l’ufficiale del Noe sospeso per un anno e facendo a pezzi le cinque gravissime accuse mossegli dalla Procura. Ricordate le soffiate al Fatto del pm Henry John Woodcock e della sua amica Federica Sciarelli, interrogati e perquisiti come banditi? Tutte balle: l’ha detto la stessa Procura di Roma e poi il gip che ha archiviato il fascicolo. Ricordate gli abusi sistematici di Woodcock, pm falsario, complottista, spregiudicato e chiacchierone, smascherati dal Pg della cassazione e dal Csm, con una raffica di procedimenti disciplinari e pratiche per trasferirlo d’ufficio? Tutte balle: l’ha detto il Pg della Cassazione che ha archiviato 6 accuse disciplinari e la giornalista Liana Milella, che ha confermato al Csm di aver pubblicato come intervista un colloquio privato che doveva restare riservato. ...

Ricordate i crimini di Paola Muraro, per anni consulente dell’Ama, scoperti improvvisamente al momento della sua nomina ad assessore all’Ambiente della neonata giunta Raggi e martellati da tg e giornaloni per sei mesi, con accuse di complicità con Mafia Capitale e spiattellamento di presunti amanti, fino all’agognato avviso di garanzia e alle sue dimissioni? Tutte balle: l’ha detto la stessa Procura di Roma, che ora chiede di archiviare anche la minuscola contravvenzione ambientale sopravvissuta a un’indagine già finita nel nulla su tutto il resto. Ricordate i terribili delitti di Virginia Raggi, fra nomine illegittime (Marra sr., Marra jr., Romeo ecc.), tangenti e compravendite di voti camuffate da polizze-vita, collusioni con la destraccia romana e naturalmente sesso sfrenato con chiunque le capitasse a tiro? Tutte balle: l’ha detto la stessa Procura, chiedendo di archiviare tutto perché tutte le nomine erano legittime e delle polizze la sindaca non sapeva nulla, salvo una sua dichiarazione all’Anticorruzione sul ruolo di Marra nella nomina del fratello. Ricordate la soffiata di Renzi a De Benedetti sul decreto banche, che fruttò all’Ingegnere 600 mila euro di plusvalenze in Borsa?
Tutto vero: lo dicono le telefonate fra il finanziere e il suo broker, scoperte dalla Consob e a dir poco trascurate dalla Procura, che s’è appena vista respingere dal gip la richiesta di archiviazione e ordinare altre indagini.
Questa serie ravvicinata e impressionante di fiaschi collezionata dalla Procura capitolina si può leggere in due modi: una sequela di disavventure investigative slegate fra loro, frutto di sciatteria, incapacità, pressappochismo, complice la formidabile pressione politico-mediatica che accompagnava ogni indagine; o una certa condiscendenza, magari addirittura inconsapevole ma irresistibile, alle aspettative dei palazzi del potere che, a Roma, sono tutti concentrati in un fazzoletto di terra e molto aperti ai reciproci spifferi. Nel marzo del 1996, quando il pool di Milano scese nella Capitale per arrestare il giudice Squillante e gli avvocati del giro Previti-B. che lo tenevano a libro paga, scoprirono che nell’ambiente tutti sapevano quel che facevano “Renatino”&C., ma anche magistrati illibati come il procuratore Coiro, leader storico di Md chiudevano gli occhi per quieto vivere. Perché “a Roma si fa così”. Francesco Saverio Borrelli, con la sua prosa tagliente ed efficace, osservò allibito: “Mi rendo conto come a Roma, per un magistrato, sia assai più difficile lavorare in totale indipendenza, per la concentrazione di poteri politico-istituzionali che c’è, e che si traduce in una sorta di… pressione atmosferica. Che talvolta può essere sentita inconsapevolmente e talvolta può portare a connivenze o complicità”.
Noi non possiamo sapere se anche negli ultimi anni quella “pressione atmosferica” si sia fatta sentire anche in un ambiente molto diverso dal vecchio “porto delle nebbie”. Ci limitiamo a segnalare tutte queste coincidenze a chi volesse studiare come sono cambiate negli ultimi anni la magistratura e la stampa. È un fatto però che, finché Renzi è rimasto al potere, tutto è andato secondo i suoi piani: per lui, nemmeno un avviso di garanzia per insider trading; per chi entrava nel suo mirino, guai a non finire. Renzi voleva distruggere la giunta Raggi politicamente, ma anche moralmente e penalmente, per fare di Roma la Caporetto dei 5Stelle in chiave nazionale. Ed è stato accontentato: per due anni s’è parlato quasi soltanto dei guai giudiziari della sindaca e della sua giunta, e pazienza se non c’era neppure l’ombra di fatti che facessero sospettare tangenti o collusioni criminali. Infatti il bilancio finale è la sindaca imputata per una frase e un dirigente suo collaboratore a giudizio per una casa regalata da un palazzinaro ai tempi di Alemanno. Renzi aveva accusato la Muraro di essere tutt’uno con Mafia Capitale, annunciando mirabolanti sviluppi. E fu accontentato con indagini che non si capiva cosa riguardassero, ma si gonfiavano come panna montata, inversamente proporzionali ai fatti che (non) emergevano. Infatti il bilancio finale è una richiesta di archiviazione pure per l’infrazione ambientale superstite sui quantitativi di rifiuti smaltiti in due impianti Ama. Una caccola.
Renzi aveva preannunciato, nel suo libro e in vari comizi, novità sconvolgenti sul complotto ordito a colpi di prove false ai danni suoi e dei suoi cari da Scafarto, Woodcock e Fatto. E fu accontentato, con indagini sulle indagini ben più penetranti e clamorose dell’inchiesta sul vero scandalo scoperto dai pm di Napoli (che infatti ne fu completamente oscurata, anche se si reggeva su fatti inoppugnabili): i traffici dell’imprenditore Romeo per truccare la gara Consip del più grande appalto d’Europa con l’aiuto di babbo Renzi e del suo galoppino Carlo Russo, che l’imprenditore intendeva ricompensare con 30 mila e 2.500 euro al mese; e le fughe di notizie che salvarono il padre del premier e gli altri da guai peggiori (fino alla rimozione delle cimici dalla sede Consip). Infatti il bilancio provvisorio del Riesame (in attesa della Cassazione) è questo: i falsi attribuiti a Scafarto erano in parte errori in buona fede, piuttosto frequenti in indagini così complesse e mai perseguiti dai pm, e in parte ipotesi investigative tutt’altro che infondate; le rivelazioni di segreto, normali passaggi di carte già note ai destinatari e agli indagati; il depistaggio, una bufala; Scafarto “perseguì l’accertamento della verità” anche quando era scomoda per l’accusa (“salvò” persino Marco Carrai, che il Noe sospettava aver incontrato l’ad di Consip Marroni, scoprendo che si trattava in realtà del quasi omonimo Marco Canale, presidente di Manutencoop); e gli unici fatti certi sono i “consistenti elementi indiziari sul coinvolgimento di Tiziano Renzi nella vicenda Consip”, come la “discussione registrata fra Romeo e Bocchino” sui “compensi da attribuire (anche) a Tiziano Renzi, determinati, nelle intenzioni, in 30.000 euro al mese” e “annotati in appunti con indicazione di cifre significativamente corrispondenti”.
Non ci voleva un genio, per capire come stavano le cose e come sarebbero andate a finire. Bastava leggere gli atti, ancorarsi ai fatti, mantenere buona memoria e non lasciarsi trasportare dalle campagne depistanti del renzismo arrembante. Infatti, come qualche lettore attento ricorderà, il Fatto tenne sempre la barra dritta, resistendo a ogni “pressione atmosferica”. Anche quando tutti dicevano il contrario, atteggiandosi a cacciatori di fake news (proprio mentre ne fabbricavano e spacciavano a piene mani) e facendoci apparire come difensori d’ufficio di Tizio o nemici preconcetti di Caio. Ora che il vento è cambiato, è facile dire certe verità. Prima del 4 marzo, un po’ meno.---

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