sabato 9 dicembre 2017

MAURIZIO BLONDET - IL SUPERSTATO CANAGLIA. MA BERLINO (forse) SI SMARCA.

     

“Non accetteremo mai  l’occupazione e  la tentata annessione della Crimea”, ha scandito Rex Tillerson a Vienna: “Le sanzioni resteranno fino a quando la Russia restituirà il pieno controllo  della penisola all’Ucraina”. Poche ore dopo, volato a  Parigi, vi ha incontrato il premier libanese  Hariri, che aveva ritirato le dimissioni date a Ryad sotto costrizione del reuccio saudita.  Tillerson ha “Incoraggiato il governo libanese e altri stati ad agire in modo più aggressivo per  limitare l’attività destabilizzatrice  di Hezbollah nella  regione, ciò che  renderà più forte e stabile il Libano”.   Non importa la semplice verità, che Hezbollah nel sequestro saudita di Hariri abbia operato come forza di stabilità. Ormai è chiaro:  le posizioni della Casa Bianca si sono irrigidite e puntano al conflitto con l’Iran e i suoi alleati.
Da sinistra: Lavrov, il segretario dell’OSCE Thomas Greminger, il ministrro degli esteri austriaco Kurz e Tillerson alla riunione di Vienna.  Dove il piano di Mosca per la pacificazione del Donbass è stato frantumato... 
A Vienna, riunione dell’OSCE, Tillerson ha respinto e frantumato la proposta Putin (accettata cautamente da  Germania e Francia) per allentare la crisi del Donbass: sostituire gli “osservatori OSCE” che nulla osservano, con caschi blu dell’ONU nelle zone separatiste, che consentano e sorveglino la tenuta di libere elezioni in vista di un  ritorno in una Ucraina federale.
Per mandare a monte la proposta, il regime di Kiev –  senza impegnarsi a promettere né uno status speciale per il Donbass né un’amnistia per i  combattenti  – ha posto due condizioni: che non solo l’ONU assuma il governo delle regioni secessioniste, ma che i Caschi Blu siano posizionati  anche sul confine tra Donbass e Russia – oggi incustodito – e che fra i Caschi Blu non siano ammessi soldati russi, dato che la Russia “è parte in causa”.  In realtà, per gli accordi di Minsk , Mosca non è parte in causa, bensì mediatore.  E mettere truppe sul confine russo-Donbass significa affamare le popolazioni, perché da lì arrivano i rifornimenti alimentari e sanitari per i secessionisti.  Il Washington Post (che è ufficialmente  il  quotidiano del Deep State  da quando Jeff Bezos, il miliardario di Amazon, l’ha acquistato per conto della CIA) ha definito la proposta di Putin “una trappola”.  A Vienna,  Tillerson ha se possibile rincarato la dose: “la Russia  arma, guida e combatte insieme alle forze anti-governo”, e poi appunto: “mai accetteremo l’annessione della Crimea”, eccetera.  Il tono è stato tale, che il  ministro Lavrov s’è detto “allarmato del  tentativo di trasformare il senso della nostra proposta di sostituire  l’OSCE con l’ONU”, e ha detto che a questo punto, “non ci sarebbe più processo di Minsk”.
Tillerson  ha detto anche: “I russi hanno resistito a lungo ad una forza di  mantenimento della pace, ma ora hanno accettato…”.  Anders Rasmussen , già capo civile della NATO fino al 2014, nel forum di politica estera  Berlino,ha suggerito che i Caschi Blu da piazzare in Ucraina (praticamente solo truppe NATO) dovrebbero essere diecimila. “La Russia deve capire che una normalizzazione delle relazioni tra Russia e Occidente  dipende dal rapporto  fra Mosca e Kiev. Questo deve capire  la Russia”: Insomma  secondo istruzioni, la Russia è stata messa sul banco degli accusati  per non riconoscerla come  mediatrice. Una tattica ben nota.
Il punto è  tirare in lungo, mentre si affama  la popolazione del Donbass.  Il Programma Alimentare Mondiale  delle Nazioni Unite ha  annunciato che da febbraio interromperà le consegne di  alimentari nell’Est Ucraina, per mancanza di fondi:   ha chiesto ai paesi donatori 200 milioni di dollari, ne ha ricevuto solo il 30%. Nelle attuali condizioni, la popolazione nell’Ucraina orientale  ha di fronte la carestia. Anche questa una tattica di guerra ibrida ben nota, vedi Yemen.
Fortuna che Lavrov non ha perso il suo proverbiale senso dell’humour.  A margine dell’incontro, a proposito della decisione unilateraledi Donald di  fare di Gerusalemme la capitale di Sion, ha rivelato  ai giornalisti. “Rex [Tillerson] mi ha lasciato capire che gli Usa si attendono di fare “l’accordo del secolo” che risolverà il conflito israelo-palestinese d’un solo colpo. Certamente vogliamo capire come vedono avvennire questo”.


Sigmar Gabriel   critica Washington e  “ammira” Pechino

Da segnalare come fatto positivo il cambiamento di tono del ministro tedesco degli Esteri Sigmar Gabriel  (che  probabilmente resterà su quella poltrona se si riforma la grande coalizione di governo).    Miracolo dello  sbiadire di Angela Merkel, il 5 dicembre a Berlino, Gabriel  ha ammesso che “la percezione implicita del ruolo fondamentalmente protettore degli Stati Uniti nonostante dispute occasionali, comincia a collassare”, ed ha espressamente sottolineato che questo resterà anche se Trump venisse mandato via dalla Casa Bianca. “Il ritiro degli Stati Uniti non dipende da  un solo presidente.  Ciò non cambierà in modo fondamentale nemmeno dopo le elezioni”.  Sostanzialmente, con precisione “implacabile che fa pensare a una risoluzione operative” (così Philippe Grasset), Gabriel  ha scandito: gli Usa non fanno più la loro parte; debbono diventare per noi (Germania, Europa) un  blocco  di potenza fra gli altri; la Germania si deve rifiutare di seguire gli Usa nelle sue avventure di politica estera  che sono completamente estranee ai nostri interessi e alla nostra visione del mondo”: Qui  ha citato le sanzioni alla Russia,  che mettono in pericolo “gli interessi economici  nostri”; sulla Siria, al contrario di Roosevelt che consigliava di “parlare piano e agitare un grosso bastone” noi “abbiamo gridato forte e agitato un bastone piccolo”; poi c’è   il ripudio Usa dell’accordo con l’Iran, e adesso la decisione di Trump di riconoscere Gerusalemme come capitale ebraica.
Mai in nessun momento Sigmar Gabriel ha citato la NATO. Per contro, ha citato ampiamente   la iniziativa One Belt One Road” (la nuova Via della Seta) come “concetto geostrategico in cui la Cina applica le sue concezioni d’ordine: politica commerciale, geografia, geopolitica, ed eventualmente anche forza militare”. Precisando subito che  le sue parole “non hanno affatto  lo scopo di “biasimare la Cina”,  ma al contrario di “suscitare il rispetto e l’ammirazione. Noi, in Occidente, potremmo  essere  a giusto titolo  criticati per non aver concepito alcuna strategia paragonabile”.
Possibile che Angela Kasner in arte Merkel sia così  sbiadita?  Che la Germania si svegli dal sonno dogmatico?
Forse contribuisce al risveglio l’interesse. Nell’ambito della One Belt One  Road , Pechino guida l’iniziativa ”16 + 1” che sta rafforzando la cooperazione con 11 paesi membri della UE e cinque  paesi balcanici: Albania, Bosnia ed Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Macedonia, Montenegro, Polonia, Romania, Serbia, Slovacchia e Slovenia. La regione ha una popolazione di 120 milioni di persone.
La ferrovia Ungheria-Serbia fatta coi cinesi.  E’ solo il primo tratto di una futura rete che unirà i Balcani meridionali.  Anzi, molto oltre: 
la linea Baku-Tbilisi -Kars che unirà il Mar Nero al Caspio.

La cooperazione ha come punta   di  lancia  le  INFRASTRUTTTURE.  Il premier Orban  ha stretto con la Cina un accordo per una linea ferroviaria  nord-Sud dalla Polonia ai Balcani meridionali.   La maggior parte degli investimenti cinesi   sarà concentrata in Ungheria.  Il 28  novembre è partito da Mortara il primo treno merci cinese diretto  a  Chendu Cina, 17 vagoni con merci italiane. La frequenza  dei convogli dipenderà  dall’intensià del’interscambio.
Naturalmente “nostra” classe “dirigente” ha ben più concrete preoccupazioni:
Virginia Raggi: “Il Movimento 5 Stelle è da sempre di sinistra, siamo antifascisti”


 Altro che immigrati, delinquenza e disoccupazione….abbiamo paura dei fassisti.
E Virginia Raggi: “Il Movimento 5 Stelle è da sempre di sinistra, siamo antifascisti”
Ora e sempre resistenza!

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